Impugnazione del lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto relative al merito e norme transitorie
08 Giugno 2016
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L'art. 829, terzo comma, c.p.c., nella sua formulazione precedente alle modifiche subite dal d.lgs. n. 40 del 2006, disponeva che i lodi arbitrali fossero impugnabili per la violazione delle regole di diritto attinenti al merito della controversia anche ove sul punto le parti nulla avessero stabilito nella convenzione arbitrale. Il vigente testo della norma, dopo le cennate modifiche, prevede, attualmente, che l'impugnazione dei lodi arbitrali per violazione delle norme di diritto sostanziale è ammessa soltanto se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. Il principio enunciato è dunque in senso contrario a quello che era stato posto in precedenza: l'impugnabilità è ricollegata ad una esplicita pattuizione di parte o alla volontà della legge. Tale circostanza ha condotto a ritenere che il silenzio serbato dagli interessati, dapprima irrilevante, era divenuto, nell'assetto normativo innovato, una situazione preclusiva del gravame, se proposto per i motivi in argomento. Le norme transitorie dettate dal d.lgs. n. 40 del 2006 hanno tuttavia fatto sorgere una questione interpretativa che era stata variamente risolta dalla giurisprudenza. La problematica concerne l'applicazione della nuova normativa alle domande di arbitrato proposte dopo l'entrata in vigore del decreto ma aventi il loro titolo in convenzioni stipulate anteriormente a tale momento. Sul punto, l'art. 27 del predetto d.lgs. n. 40 del 2006 ha disposto che l'art. 829, terzo comma, come modificato, si applica ai procedimenti arbitrali intrapresi con domanda proposta dopo la vigenza della subentrata disciplina, anche nel caso di anteriorità ad essa della convenzione arbitrale. Nonostante questo esplicito tenore della norma transitoria, in giurisprudenza si sono formati due orientamenti interpretativi di contenuto opposto, con un contrasto che le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono state chiamate a comporre. b
Orientamento che sostiene una interpretazione coerente al principio di irretroattività Ripetute pronunce della Corte di cassazione hanno affermato che l'art. 27 del d.lgs. n. 40 del 2006 deve essere interpretato in coerenza con il principio generale di irretroattività della legge e con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. In proposito, e ad esempio, si era sostenuto le modifiche apportate all'art. 829, comma 3, c.p.c. dalla legge di riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sono volte a delimitare l'ambito di impugnabilità del lodo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima della sua entrata in vigore continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l'impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente, sicché, in difetto di una disciplina che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria (Cass., sez. I, 19 aprile 2012, n. 6148, cui adde Cass., sez. I, 28 ottobre 2015, n. 22007; Cass., sez. I, 19 gennaio 2015, n. 745; Cass., sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898; Cass., 3 giugno 2014, n. 12379). Consegue all'orientamento così espresso che il nuovo testo dell'art. 829, comma 3, del d.lgs. n. 40 del 2006 non vale a precludere l'impugnazione per errores in judicando dei lodi arbitrali emessi sulla base di clausole compromissorie stipulate prima della sua introduzione.
Orientamento che ritiene ininfluente l'anteriorità della convenzione di arbitrato In senso contrario alle pronunce ricordate si è affermato che l'art. 27, comma 4, del d.lgs. n. 40 del 2006 è chiarissimo nello stabilire che l'art. 829, comma 3, nel nuovo testo, si applica ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, pur se quella domanda è riferita a clausole compromissorie stipulate in epoca anteriore. Più precisamente si è sostenuto che ai sensi dell'art. 829, comma 3, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006), gli errores in judicando possono essere fatti valere, quale causa di nullità del lodo, solo laddove tale possibilità sia espressamente prevista dalla legge ovvero contemplata dalle parti, in maniera chiara ed inequivocabile, nella clausola compromissoria o in altri atti anteriori all'instaurazione del procedimento arbitrale, non potendosi ritenere sufficiente la mera previsione, ivi contenuta, di una decisione secondo diritto, sostanzialmente riproduttiva dell'art. 822 c.p.c. ed astrattamente riconducibile, pertanto, alla volontà di estendere il potere degli arbitri di decidere secondo equità (Cass., sez. I, 25 settembre 2015, n. 19075; in senso analogo, Cass., sez. VI, 17 settembre 2013, n. 21205; Cass., sez. I, 20 febbraio 2012, n. 2400). Secondo queste decisioni il testo innovato dell'art. 829, comma 3, si applica anche ai lodi arbitrali emessi in base a clausole compromissorie stipulate prima del 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del ricordato d.lgs. n. 40 del 2006, preclusivo dell'impugnazione ove non espressamente prevista. c
Con il ricorso per cassazione, nella vicenda di specie era stato proposto, tra gli altri, un motivo di gravame con il quale si censurava la sentenza d'appello che, nell'escludere l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sostanziale, aveva, nell'assunto del ricorrente, attribuito alla clausola compromissoria inter partes un significato diverso da quello che essa aveva al momento della sua sottoscrizione. La prima sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite di risolvere il contrasto esistente in giurisprudenza relativamente all'applicazione del nuovo testo dell'art. 829, comma terzo, c.p.c. anche al caso in cui la convenzione arbitrale è stata stipulata prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006. Nel caso in esame la convenzione conclusa tra le parti risaliva al 22 dicembre 2004 e nulla aveva disposto circa l'impugnabilità del lodo per la violazione delle norme di diritto sostanziale relative al merito della controversia. d
La limpida motivazione della pronuncia delle Sezioni Unite (del 9 maggio 2016, n. 9284) dà atto del non equivoco dettato della norma transitoria che ha dato occasione al contrasto interpretativo denunciato. La norma dispone a chiare lettere che le disposizioni di cui agli artt. 21, 22, 23, 24 (di modifica dell'art. 829, comma 3, c.p.c.) e 25 del d.lgs. n. 40 del 2006 si applicano ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all'entrata in vigore del provvedimento, quand'anche sulla base di clausole compromissorie stipulate precedentemente. E tuttavia, si afferma, la questione controversa va risolta con l'interpretazione dell'art. 829, terzo comma, nel testo vigente. Tale disposizione prevede che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. In proposito occorre domandarsi quale sia la “legge” la cui espressa previsione può rendere ammissibile l'impugnazione del lodo arbitrale anche per la violazione delle norme di diritto sostanziale. Tale legge, si osserva, non può che essere diversa dallo stesso art. 829, comma 3, che ad essa rinvia; non può che riguardare la convenzione di arbitrato, perché è questa convenzione a definire i limiti di impugnabilità del lodo; e non può che essere una legge vigente nel momento in cui la convenzione viene stipulata, perché è solo la legge vigente in quel momento che può ascrivere al silenzio delle parti un significato normativamente predeterminato. Se la convenzione nulla prevede sul punto dell'impugnazione, il conseguente silenzio è, di per sé, privo di contenuto; mentre un significato gli è attribuito dal contesto normativo proprio al luogo e al momento della pattuizione. A proposito di questo contesto, si rileva esser possibile che una legge sopravvenuta privi di effetti una determinata convenzione contrattuale e impedisca che, in base ad essa, per il futuro si azioni il rapporto arbitrale (in motivazione si cita ad esempio la disposizione di cui all'art. 3, comma 2, del d.l. 11 giugno 1998, n. 180, in tema di esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione in territori colpiti da calamità naturali). Ma, si afferma, non è possibile che la legge sopravvenuta assegni al silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il tempo successivo in termini diversi da quelli che esso aveva al momento della conclusione del contratto. Né varrebbe osservare che le parti, consapevoli del sopravvenuto mutamento legislativo, avrebbero potuto rinnovare la convenzione, circostanza che richiederebbe il consenso anche dei soggetti interessati al mantenimento del vincolo precedente. Neppure ha rilievo il mutamento di giurisprudenza intervenuto nel 2013, con il riconoscimento della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale, atteso che la natura processuale dell'attività degli arbitri non esclude che sia pur sempre la convenzione di arbitrato a determinare i limiti di impugnabilità dei lodi. Tanto premesso, la conclusione è risultata logicamente conseguente. Nella fattispecie processuale considerata dalle Sezioni Unite, la convenzione di arbitrato era stata stipulata prima del d.lgs. n. 40 del 2006 e risultava dunque regolata dal previgente art. 829, comma, 3 c.p.c., il quale consentiva, come regola di principio, l'impugnazione per nullità del lodo inosservante delle regole di diritto sostanziale, a meno che le parti avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero espressamente escluso tale tipo di impugnazione. Per il collegio giudicante, è questa la legge che, richiamata dal sopravvenuto nuovo testo dell'art. 829, terzo comma, disciplina le convenzioni arbitrali concluse al tempo in cui tale norma era in vigore e che consente tuttora l'impugnazione per violazione delle regole sostanziali, in difetto di contraria previsione di parte, nei rapporti che trovano titolo in dette anteriori convenzioni, anche se la domanda di arbitrato è successiva alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40 del 2006. Nella vicenda esaminata la convenzione arbitrale era stata conclusa in momento temporale nel quale la legge vigente ammetteva l'impugnazione in argomento né le parti avevano disposto diversamente. Ne risultava, pertanto, che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, nel caso di specie era ammissibile l'impugnazione del lodo per errores in judicando. L'impugnata sentenza d'appello è stata cassata con rinvio. |