La competenza nelle azioni di responsabilità civile contro più giudici, di merito e di legittimità o solo di legittimità
10 Luglio 2018
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L'art. 4, comma 1, della l. n. 117/1988 prevede che l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato, subito per effetto di atti, comportamenti e provvedimenti giudiziari posti in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni, deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e che competente a conoscerne è il tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p. e dell'art. 1 delle relative norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, approvate con d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271. Il criterio di determinazione della competenza territoriale ai sensi delle richiamate disposizioni viene ritenuto prevalente, per specialità, rispetto a quello di cui all'art. 152 del d.lgs. n. 196/2003, nonché agli altri previsti dal codice di rito civile (ex multis, Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4084; Cass. civ., sez. VI, ord., 11 settembre 2015, n. 18000). Non è controverso – in ogni caso, qualsiasi residuo dubbio in proposito deve ritenersi essere stato fugato dalla pronuncia delle Sezioni Unite in commento – che, qualora il giudizio abbia ad oggetto soltanto i comportamenti, atti o provvedimenti di uno o più magistrati della Corte di cassazione, la competenza per territorio a conoscere della domanda risarcitoria nel giudizio di responsabilità deve essere attribuita secondo la regola del forum commissi delicti, spettando, pertanto, in ogni caso, in primo grado, al tribunale di Roma, quale foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione non essendo applicabile la regola dello spostamento della competenza ex art. 11 c.p.p. giacché la Suprema Corte è ufficio di competenza nazionale (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2005, n. 6551; Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2005, n. 7922). É, del pari, incontroverso che, in presenza di una pluralità di atti, comportamenti o provvedimenti di uno o più giudici di merito che abbiano agito in un'unica vicenda giudiziaria, la competenza territoriale spetti al giudice determinato ai sensi dell'art. 11 c.p.p. (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2005, n. 6551). Viceversa, si sono registrati differenti orientamenti in ordine al criterio di collegamento da fruire per la determinazione della competenza territoriale allorché gli atti, comportamenti o provvedimenti assunti a fondare la domanda di risarcimento, pur se intervenuti nell'ambito della stessa vicenda giudiziaria, siano da attribuire in parte a giudici di merito e in parte a giudici di legittimità. b
Secondo un primo orientamento, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, il criterio di collegamento di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4 della l. n. 117/1988, deve ritenersi operativo nei confronti di tutti i magistrati, compresi quelli delle istituzioni di vertice, non ostandovi, sul piano lessicale, il termine «distretto», adoperato nell'art. 4 l. cit., atteso che tutti i magistrati, anche quelli che non hanno un «distretto» di appartenenza, operano comunque in una sede (dell'ufficio giudiziario viene in rilievo la sede – Roma, nel caso della Corte di cassazione – e non l'ambito territoriale di competenza), rispetto alla quale può individuarsi la sede diversa ex art. 11 c.p.p. (Perugia, nel caso di Roma), al fine di assicurare che i giudici competenti a decidere sulla responsabilità non siano prossimi ai giudici cui la responsabilità è ascritta (Cass. civ., sez. VI, ord. 5 giugno 2012, n. 8997; Cass. civ., sez. VI, 20 giugno 2012, n. 10224; Cass. civ., sez. VI, 11 gennaio 2013, n. 668). La domanda di risarcimento dei danni in relazione all'attività giurisdizionale, dolosa o gravemente colposa, svolta da più magistrati nell'ambito dello stesso giudizio ha, invero, carattere unitario e non può scindersi in una pluralità di azioni ciascuna delle quali fondata sulla specifica attività svolta nel corso del medesimo giudizio dai detti più magistrati. Conseguentemente, è unico non solo l'eventus damni, ma anche il fatto costitutivo rappresentato dalle distinte condotte dei magistrati che convergono tutte ad integrare un'unica fattispecie illecita. «Ne consegue che, rispetto all'unica azione risarcitoria proposta nei confronti dello Stato e fondata in relazione sia alle condotte dei magistrati del tribunale e della Corte d'appello, sia alle condotte dei magistrati della Corte di cassazione, il criterio di radicamento della competenza è quello previsto dal primo comma dell'art. 4 l. n. 117/1988, secondo cui è competente il tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'appello da determinarsi ai sensi dell'art. 11 c.p.p. con riguardo alle pronunce rese nella fase di merito» (Cass. civ., sez. I, ord., 22 maggio 2004, n. 9880; Cass. civ., sez. VI, ord., 5 giugno 2012, n. 8997). Secondo un altro orientamento, invece, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, il criterio di collegamento di cui all'art. 11 c.p.p. è da ritenere inapplicabile nei casi in cui sia dedotta in giudizio la responsabilità di magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, in quanto tale istituzione, per organizzazione e compiti funzionali, opera a livello nazionale e non è «ufficio compreso» in distretto di Corte d'appello, con la conseguenza che in detta ipotesi la competenza va stabilita facendo applicazione delle ordinarie norme che disciplinano la competenza per territorio e, in particolare, secondo i principi fissati dall'art. 25, c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 6 aprile 1996, n. 3243; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2005, n. 6551; Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2005, n. 7922). Così che, qualora l'azione di risarcimento sia volta contestualmente ad una pluralità di magistrati, di merito e di legittimità, la causa deve essere scissa e ciascuna sua parte deve essere regolata dalle diverse regole di competenza territoriale precedentemente ricordate (art. 11 c.p.p. per i magistrati di merito; art. 25 c.p.c. per i magistrati in servizio presso la Corte di cassazione). c
Con ordinanza interlocutoria del 3 novembre 2017, n. 26237, la Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, adita in sede di regolamento di competenza, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa all'individuazione del giudice territorialmente competente a decidere le cause di responsabilità civile promosse ai sensi della l. n. 117/1988 ed inerenti a magistrati in servizio presso la Corte Suprema di cassazione, i cui comportamenti, atti e provvedimenti erano venuti, nel caso concreto, in rilievo unitamente a comportamenti, atti e provvedimenti tenuti da giudizi di merito nelle precedenti fasi del giudizio. Ciò in considerazione della non univocità delle soluzioni date in materia dalla giurisprudenza. d
Con sentenza 7 giugno 2018, n. 14842, le Sezioni Unite, dando soluzione al «quesito» posto dalla Sezione semplice remittente, hanno affermato a) che, nei giudizi di responsabilità civile promossi contro lo Stato ai sensi della legge n. 117/1988, laddove si prospetti l'ipotesi che più magistrati, di merito e di legittimità, abbiano cooperato a fatti dolosi o colposi anche diversi nell'ambito della stessa vicenda giudiziaria, la causa è necessariamente unitaria e la competenza per territorio deve essere attribuita per tutti in base al criterio di cui all'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 4, comma 1, della legge citata; b) che, qualora, invece, il giudizio abbia ad oggetto solo i comportamenti, atti o provvedimenti di magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, non applicandosi in tal caso lo spostamento di competenza previsto dal citato art. 11 c.p.p., la competenza per territorio deve essere attribuita secondo la regola del forum commissi delicti, spettando, pertanto, in ogni caso al tribunale di Roma, ai sensi dell'art. 25 c.p.c., quale foro del luogo in cui è sorta l'obbligazione. Le Sezioni Unite sono pervenute a tale conclusione per gradi, seguendo un «preciso ordine logico». i) Applicabilità dell'art. 11 c.p.p. ai magistrati della Corte di cassazione. Preliminarmente, le Sezioni Unite si sono poste la questione di stabilire se la particolare regola di competenza per territorio dettata dall'art. 11 c.p.p., espressamente richiamata dall'art. 4, comma 1, della l. n. 117/1988, sia o meno applicabile anche ai magistrati che svolgono le loro funzioni presso la Corte di cassazione. A tale questione le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa, ritenendo di dover dare continuità ai principi affermati in proposito dalla Prima Sezione della Corte con le sentenze n. 3243 del 6 aprile 1996 e n. 7922 del 15 aprile 2005, pronunciate entrambe negli ambiti di un giudizio di responsabilità civile promosso soltanto contro magistrati della Corte di cassazione e ricordando che tali sentenze avevano concordemente escluso l'applicabilità dell'art. 11 c.p.p., e, di conseguenza, dell'art. 4 l. cit., in relazione ai magistrati di legittimità, ritenendo che l'individuazione del tribunale competente per le cause di responsabilità civile rivolte contro i magistrati di legittimità dovesse essere effettuata sulla base delle norme comuni (art. 25 c.p.c.). Affermazioni – queste ultime – fatte sul rilievo che la Suprema Corte, «per organizzazione e compiti giurisdizionali, opera su livello nazionale, e comunque, non è "ufficio compreso" in un distretto d'appello» e sull'ulteriore rilievo (fatto da Cass. civ., n. 3246/1996) che non fosse giustificabile un'interpretazione estensiva dell'art. 11 c.p.p. «nel senso di ritenere la Corte di cassazione, sia pure soltanto ai fini in discorso, inclusa nel distretto della Corte d'appello di Roma, per il mero fatto della sua collocazione geografica», sia in ragione della lettera della norma, la quale, «con le parole "ufficio compreso", adotta un'espressione tecnica dell'ordinamento giudiziario, rivolta ad identificare l'organo che si inserisca per funzioni all'interno di una determinata Corte d'appello», sia, comunque, per carenza di supporti nella ratio legis. Nel giungere alla medesima conclusione, le Sezioni Unite hanno, dapprima, annotato che la stessa era stata in più occasioni condivisa dalla giurisprudenza penale della Corte, sul rilievo che la disciplina dell'art. 11 c.p.p. non poteva trovare applicazione con riguardo ai magistrati della Corte di cassazione, trattandosi di un ufficio di competenza nazionale (ex multis, Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 2009, n. 30760) ed hanno, quindi, precisato, ribadendo il pensiero già espresso dalle ricordate sentenze delle Sezioni semplici civili, che la Corte di cassazione è «un ufficio di rilevanza nazionale, riguardo al quale non è prospettabile alcun collegamento con un distretto di Corte d'appello geograficamente inteso». Ed invero, la circostanza che la Suprema Corte operi in Roma (come previsto dall'art. 65, comma 2, del R.d. 30 gennaio 1941, n. 12) si collega al fatto che essa è «organo supremo di giustizia» che «assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. 65, comma 1, R.d. cit.) e la sua collocazione è conseguente al ruolo di capitale d'Italia che spetta alla città di Roma. Il che, peraltro, non significa che la Corte faccia parte o abbia qualche forma di collegamento con il distretto della Corte d'appello di Roma e ciò è stato ulteriormente confermato, da un punto di vista amministrativo, dalla circostanza – che dà ulteriore supporto all'assunto di assenza di qualsiasi legame con la Corte d'appello di Roma e con il Consiglio giudiziario esistente presso quest'ultima – per cui i provvedimenti che riguardano i magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale presso la medesima (trasferimenti, incarichi, progressioni di carriera) debbono essere esaminati, prima di essere definitivamente deliberati dal Consiglio superiore della magistratura, dal Consiglio direttivo appositamente istituito dal d.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25 presso la stessa Corte (art. 7). ii) Individuazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile promosse nei confronti di magistrati di merito e di legittimità in relazione alla stessa vicenda. In secondo luogo, è stata affrontata la questione di stabilire come vada individuata la competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile dei magistrati qualora la domanda di risarcimento abbia ad oggetto contemporaneamente condotte di magistrati di merito e di legittimità asseritamente dolose o colpose, in rapporto alla medesima vicenda giudiziarianei vari gradi del giudizio (ipotesi, questa, venuta in rilievo nel caso di specie). A tale riguardo, le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover preliminarmente stabilire se la trattazione delle cause aventi ad oggetto le condotte di magistrati di merito e di quelle aventi ad oggetto le condotte di magistrati di legittimità debba essere unitaria oppure separata, optando per la prima di tali soluzioni, ritenendo inaccettabile la seconda «per una serie di convergenti ragioni»: a) Nel sistema delineato dalla legge n. 117/1988 (art. 2), il «danneggiato» deve agire nei confronti dello Stato (in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri), senza possibilità di azione diretta contro il magistrato che abbia tenuto la condotta riprovata. La posizione di convenuto viene, dunque, sempre ad essere assunta unicamente dal predetto soggetto, anche qualora il giudizio risarcitorio venga promosso in relazione all'operato di una pluralità di magistrati. «L'illecito commesso dal magistrato è, in questa fase, non ancora perseguibile direttamente e, perciò, non si presenta come scindibilein rapporto alle varie fasi del giudizio». Conseguendone la necessità di una trattazione unitaria. b) Il giudizio di responsabilità civile nei confronti dei magistrati è costruito dalla legge n. 117/1988 come una sorta di extrema ratio da perseguire nell'ipotesi in cui il sistema non sia riuscito a correggere gli errori, anche dolosi o colposi, con l'ordinario sistema delle impugnazioni (v. art. 4, comma 2, l. cit.). Va pienamente condiviso il pensiero espresso da Cass. civ., sez. I, ord., 22 maggio 2004, n. 9880, secondo cui «soltanto quando il provvedimento è divenuto definitivo può essere determinato, nell'an e nel quantum, il danno del quale lo Stato deve rispondere in relazione alla attività giurisdizionale di uno o più magistrati, resa nell'ambito di uno o più gradi del giudizio» e secondo cui, pertanto, è unico non solo l'eventus damní,ma anche il fatto costitutivo rappresentato dalle distinte condotte dei magistrati che convergono tutte ad integrare un'unica fattispecie illecita della quale lo Stato risponde secondo lo schema disciplinato dall'art. 28 Cost.. Per l'effetto, la domanda di risarcimento proposta in relazione all'attività giurisdizionale, dolosa o gravemente colposa, svolta da più magistrati in diversi gradi dello stesso giudizio «ha carattere unitario e non può scindersi in una pluralità di azioni ciascuna delle quali fondata sulla specifica attività svolta nel corso del giudizio da uno o più magistrati». c) Il frazionamento del giudizio di responsabilità nei confronti dei magistrati di merito e di cassazione in relazione alla medesima vicenda è da ritenere contrario ai principi di economia processuale, giacché costringerebbe il soggetto che si ritiene danneggiato a promuovere due diversi giudizi anche in sedi diverse, con aggravio di spese. Una simile scelta, inoltre, potrebbe comportare il rischio di un contrasto di giudicati. iii) Unitarietà della causa. Criterio di individuazione della competenza per territorio. Le Sezioni Unite hanno ritenuto, dando così continuità al pensiero esposto dalle Sezioni semplici con le sentenze n. 4084 del 25 febbraio 2005 e n. 18000 dell'11 settembre 2015 (v. § 1.), che nella «contesa» tra due fori entrambi inderogabili, da un lato quello indicato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 117/1988, che richiama l'art. 11 c.p.p., e, da un altro lato, quello indicato dall'art. 25 c.p.c., si debba dare prevalenza al primo, nei casi di giudizi di responsabilità civile promossi nei confronti di magistrati di merito e di legittimità in riferimento alla medesima vicenda processuale. Ciò in ragione, in primo luogo, della previsione di un foro inderogabile nella legge speciale appositamente dedicata alla materia della responsabilità civile dei magistrati e, in secondo luogo, in ragione dell'assenza, nella stessa legge, di una norma specifica per la Corte di cassazione. Ciò in ragione, inoltre, del fatto che, mentre il foro inderogabile dell'art. 25 c.p.c. ha una valenza generale, investendo, in linea di principio, tutte le ipotesi in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, il criterio di individuazione della competenza territoriale dettato dall'art. 4, comma 1, della legge n. 117/1988 è, invece, specifico, e risulta dettato proprio per le cause di responsabilità civile dei magistrati, per dare congrua risposta all'esigenza di porre una separazione di luoghi tra la sede dove il magistrato del cui operato si discute ha svolto o svolge le sue funzioni e la sede dei colleghi che saranno chiamati a giudicare su di lui (sul tema si veda la sentenza della Consulta n. 147/2004, secondo cui gli artt. 4 e 8 della l. n. 117/1988, sottraendo alle ordinarie regole di competenza territoriale le controversie civili riguardanti l'operato dei magistrati, «intendono evitare ogni rischio di incidenza sulla serenità del giudice, conseguente alla preesistenza di rapporti personali con il magistrato interessato alla causa»). La legge n. 117/1988 non consente alcuna scelta tra fori e radica, con particolare forza, la competenza, assumendo come unico parametro il locus commissi delicti, in relazione al quale si determina lo spostamento nella sede vicina appositamente ed obbligatoriamente individuata. iv) Individuazione della competenza per territorio nelle cause di responsabilità civile promosse nei confronti dei soli magistrati della Corte di cassazione. Da ultimo, le Sezioni Unite, decidendo, ultra petita, con riguardo ai giudizi di responsabilità aventi ad oggetto unicamente l'operato di magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, hanno ritenuto che il criterio di regolazione della competenza per territorio non possa essere rinvenuto nell'art. 4, comma 1, della legge n. 117/1988, né direttamente né in via di interpretazione analogica od estensiva, mancando qualsiasi riferimento e collegamento della Corte di cassazione con il distretto della Corte di appello di Roma [v. più sopra, sub i)]. Tuttavia, considerato che l'art. 4 cit., attraverso il richiamo all'art. 11 c.p.p., «fissa un principio di carattere generale, valevole per tutti i giudizi di responsabilità nei confronti dei magistrati, in forza del quale la competenza territoriale di base, su cui si innesta solo per i magistrati di merito lo spostamento di competenza, è individuata con riferimento esclusivo al forum commissi delicti»,le Sezioni Unite hanno ritenuto che ciò comporti l'esclusione dell'operatività del forum destinatae solutionis previsto dall'art. 25 c.p.c., dovendosi comunque assumere come riferimento esclusivo il luogo di commissione dell'illecito, luogo in cui è sorta l'obbligazione Per l'effetto, la competenza per territorio nei giudizi in esame deve ritenersi da radicare presso il tribunale di Roma.
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