Difetto di giurisdizione: la Cassazione cambia orientamento sul diritto di ripensamento della parte soccombente nel merito

12 Dicembre 2016

Le Sezioni Unite, allineandosi all'orientamento sinora espresso sulla questione all'interno della sola giurisprudenza amministrativa, sanciscono il principio in forza del quale l'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto.
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La questione risolta dalle Sezioni Unite della Corte origina da un ricorso proposto da una parte soccombente nel merito davanti al Tribunale regionale di Giustizia amministrativa. La stessa parte, pur essendo quella che aveva incardinato la causa innanzi al Giudice amministrativo, riteneva, infatti, di interporre appello al Consiglio di Stato contestandone la giurisdizione sul rilievo che il rapporto fatto valere in giudizio non fosse qualificabile come di “accreditamento” (art. 8 e ss. d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502) ma come un rapporto convenzionale (art. 48, l. 23 dicembre 1978 n. 833). Il Consiglio di Stato aveva rigettato l'appello fondandosi su quell'orientamento che considera abuso del processo la contestazione della giurisdizione da parte di un soggetto che abbia prescelto proprio quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato vittorioso proprio sulla adita giurisdizione, con pronuncia esplicita o implicita.

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L'orientamento per il quale la parte soccombente sulla giurisdizione non può rimettere la stessa in discussione in sede di impugnazione

La questione controversa risolta come da massima dalle Sezioni Unite origina da un iniziale disorientamento tra la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella della Suprema Corte. Infatti secondo i giudici amministrativi la parte che abbia incardinato la giurisdizione amministrativa e poi sia rimasta soccombente nel merito non può rimettere in discussione la stessa giurisdizione, trattandosi di un comportamento abusivo che, nello specifico, si pone in contrasto con il divieto di venire contra factum proprium e con le regole di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c. La prima sentenza di questo corso processuale è Cons. Stato sez. V 7 febbraio 2012 n. 656 secondo cui integra abuso del processo la contestazione della giurisdizione da parte del soggetto che abbia optato per quella giurisdizione e che, pur se soccombente nel merito, sia risultato vittorioso, in forza di una pronuncia esplicita o di una statuizione implicita, proprio sulla questione della giurisdizione: invero, la sollevazione di detta auto-eccezione in sede di appello, per un verso, integra trasgressione del divieto di venire contra factum proprium - paralizzabile con l'exceptio doli generalis seu presentis - e, per altro verso, arreca un irragionevole sacrificio alla controparte, costretta a difendersi nell'ambito del giudizio da incardinare innanzi al nuovo giudice in ipotesi provvisto di giurisdizione, adito secondo le regole in tema di translatio iudicii dettate dall'art. 11 c. proc. amm. Questa pronuncia inaugura il nuovo corso in questo senso e viene, infatti, seguita da sentenze più recenti, tutte ricordate nella pronuncia delle Sezioni Unite e, specificamente, Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2015 n. 5484; Cons. Stato, sez. VI, 29 febbraio 2016 n. 856; in un obiter, precedente alla sentenza nr. 656/2012, il principio era affermato anche da Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2011 n. 1537).

L'orientamento per il quale la parte soccombente sulla giurisdizione può contestare la stessa nei successivi gradi di giudizio

Soluzione del tutto opposta sulla questione veniva offerta dalla giurisprudenza di legittimità. Si affermava, infatti, che l'eccezione di difetto di giurisdizione non è preclusa alla parte per il solo fatto di avere adito un giudice (nella specie, il Tar) che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione; ben può quindi, detta parte proporre l'eccezione per la prima volta in appello (nella specie, davanti al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia), essendo la questione di giurisdizione preclusa solo nel caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato esplicito o implicito (Cassazione civile Sezioni Unite 27 dicembre 2010 n. 26129). La sentenza fa seguito ad un'altra molto più risalente che già aveva espresso il principio per cui il difetto di giurisdizione può essere sollevato in cassazione dalla parte che abbia adito il giudice del quale contesta la stessa giurisdizione (Cassazione civile 8 luglio 1968 n. 2328).

Non solo, ma in senso contrastante con il principio posto dal Consiglio di Stato, la Cassazione ha più volte affermato:

  • che la questione di giurisdizione può essere sempre posta, anche nel giudizio di cassazione, purché almeno una delle parti l'abbia sollevata tempestivamente nel giudizio di appello, con ciò impedendo la formazione del giudicato sul punto. In presenza di tale condizione, la questione di giurisdizione può essere posta anche dalla stessa parte che ha adito un giudice e ne ha successivamente contestato la giurisdizione in base all'interesse che deriva dalla soccombenza nel merito. In questo caso, però, il giudice può condannare tale parte alla rifusione delle spese del giudizio di impugnazione anche se la stessa sia risultata vincitrice in punto di giurisdizione, potendo ravvisarsi in simile comportamento la violazione del dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 27 luglio 2011, n. 16391; Cass. civ., Sez. Un., 29 marzo 2011 n. 7097; Cass. civ, Sez.Un., 28 maggio 2014 n. 11916);
  • che può essere proposta la questione di giurisdizione innanzi alla Corte Suprema dalla stessa parte che l'ha tempestivamente sollevata davanti al Consiglio di Stato dopo avere, di fronte al giudice ordinario cui inizialmente la causa era stata incardinata dall'altra parte, sostenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. civ., Sez. Un., 20 gennaio 2014, n. 1006);
  • infine, che la parte che nei gradi precedenti di giudizio, abbia espresso orientamento opposto, può comunque sollevare la questione di giurisdizione in cassazione, purché almeno una delle parti l'abbia tempestivamente fatta valere in appello per evitare la formazione del giudicato implicito (Cassazione civile Sezioni Unite 20 maggio 2014 n. 11022).

Se, quindi, nella giurisprudenza del Consiglio di Stato è invalsa l'idea che la parte non ha diritto di “pentimento” rispetto alla scelta del giudice qualora sia rimasta soccombente nel merito e non sulla giurisdizione, invece nella giurisprudenza delle Sezioni Unite era finora invalso il principio opposto, secondo cui alla parte è sempre riconosciuto il diritto di pentirsi della propria scelta in punto di giurisdizione e di farlo valere nei successivi gradi di giudizio, sino alla Corte regolatrice. In particolare l'idea posta a base di questa tesi si fonda su alcuni principi: il fatto che il ricorso per regolamento di giurisdizione è riconosciuto a “ciascuna parte” dall'art. 41, primo comma, c.p.c.; il fatto che esista un interesse ad impugnare correlato alla posizione di merito della parte e l'irrilevanza della rinuncia nella materia della giurisdizione che è indisponibile. Se la parte esercitasse il proprio diritto di ripensamento in punto di giurisdizione solo al fine di pregiudicare l'interesse e il diritto della controparte ad una pronuncia ottenuta in tempi ragionevoli, allora questo comportamento potrebbe essere sanzionato con la ripartizione delle spese per violazione dell'art. 88 c.p.c..

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Il ricorso che ha originato la decisione delle Sezioni Unite qui commentata è un ricorso contro la decisione del Consiglio di Stato con cui è stato ritenuto precluso l'esame della questione di giurisdizione perché sollevata dalla parte che ha agito in primo grado tramite la scelta del giudice di cui, poi, nell'appello, ha disconosciuto e contestato la giurisdizione; sicché esso viene deciso dalle Sezioni Unite perché va inteso come proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell'art. 111, ultimo comma, Cost. e art. 362, primo comma, c.p.c..

Spetta, infatti, alle Sezioni Unite non solo il giudizio relativo all'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato relativo all'applicazione delle disposizioni che regolano la deducibilità e il rilievo del difetto di giurisdizione. In tal senso vengono richiamate in motivazione anche Cass., Sez. Un., 23 novembre 2012, n. 20727 secondo cui il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato, con la quale sia stato ritenuto precluso l'esame della questione di giurisdizione, reiterata con l'appello, sul presupposto della formazione del giudicato sul punto - dovuto alla mancata impugnazione della sentenza del g.o. di primo grado, che aveva declinato la propria giurisdizione in favore di quello amministrativo - è da considerare proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli art. 111, ultimo comma, cost., e art. 362, comma 1, c.p.c., e perciò ammissibile, spettando alla Corte di cassazione non soltanto il giudizio vertente sull'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione, ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni, non meramente processuali, che regolano il rilievo del difetto di giurisdizione, nonché di quelle correlate attinenti al sistema delle impugnazioni (nello stesso senso Cass., Sez. UN., 9 marzo 2015 n. 4682).

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La Corte nella pronuncia in commento (Cass., Sez. Un., n. 21260/2016) ricorda come un nuovo corso sia stato recentemente inaugurato nella giurisprudenza del Supremo Collegio.

In particolare si è affermato che l'eccezione di difetto della giurisdizione amministrativa, sollevata con l'appello al Consiglio di Stato dalla medesima parte che in primo grado ha adito il giudice amministrativo, non integra abuso del processo, sanzionabile con declaratoria d'inammissibilità dell'eccezione, qualora il tema della giurisdizione sia stato posto dalla controparte, in fattispecie complessa (nella specie, per cumulo di domande), sì da giustificare il ripensamento della linea difensiva e la necessità di chiarimento; dall'altro lato, tuttavia, si è affermato in tema di ricorso straordinario al Capo dello Stato, che la parte ricorrente che abbia allegato, come indefettibile presupposto della sua domanda, la giurisdizione del giudice amministrativo, senza che l'intimato abbia esercitato l'opposizione ex art. 48 c.p.a., né abbia contestato la sussistenza di tale presupposto, eventualmente proponendo regolamento preventivo di giurisdizione, non può proporre ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8, Cost. e art. 362 c.p.c. avverso il decreto del Presidente della Repubblica che abbia deciso il ricorso su conforme parere del Consiglio di Stato reso sull'implicito - o esplicito - presupposto della sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo allegato dalla parte stessa, sul punto non soccombente.

In linea con queste pronunce che, pur escludendo l'abuso del processo, iniziano a muoversi in senso opposto rispetto al generale orientamento della giurisprudenza di legittimità fino a questo momento, le Sezioni Unite nell'ordinanza in commento affermano che la tesi, prevalente nella giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo cui l'attore, soccombente nel merito, può proporre appello contestando la giurisdizione del giudice da lui stesso adito, si fonda sull'idea che in capo all'attore soccombente nel merito vi sia l'interesse ad impugnare per “diminuire” la propria soccombenza, passando da una decisione negativa in punto di merito ad una decisione negativa in punto di rito, con conseguente translatio iudicii e possibilità di rivalutazione nel merito della domanda da parte di una diversa giurisdizione.

Secondo la Corte questo orientamento va, invece, ripensato. In primo luogo sulla base del principio ormai pacifico della formazione del giudicato sul difetto di giurisdizione; esso, in linea con la giurisprudenza ormai consolidata del Supremo Collegio può essere eccepito anche oltre la scadenza del termine posto dall'art. 38 c.p.c. fino a quando la causa non sia decisa nel merito in primo grado; la sentenza di primo grado può a sua volta essere impugnata per difetto di giurisdizione solo se non si formi il giudicato esplicito o implicito sulla giurisdizione; il giudice può rilevare il difetto di giurisdizione d'ufficio sempre purché non si sia formato il giudicato esplicito o implicito sulla questione. Questi principi, variamente affermati nella giurisprudenza della Corte (Cass., Sez. Un., 9 ottobre 2008 n. 24883; Cass., Sez. Un. 7 ottobre 2016 n. 20191) si basano sulla considerazione che l'accertamento della giurisdizione è un “capo autonomo” della sentenza idoneo, pertanto, al passaggio in giudicato anche nell'ipotesi di pronuncia implicita.

Considerazioni conclusive

Le pronunce giurisprudenziali in tema di rilevabilità del difetto di giurisdizione sono state recepite dall'art. 9 c.p.a. a norma del quale il difetto di giurisdizione è rilevato anche d'ufficio in primo grado ma nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con motivo specifico contro il capo della pronuncia impugnata che abbia deciso implicitamente o esplicitamente sulla giurisdizione stessa. Analoga disposizione è ora contenuta nell'art. 15 del codice di giustizia contabile (d.lgs. 26 agosto 2016 n. 174).

Questo diritto vivente è lo sfondo per il ripensamento dell'orientamento della Corte di Cassazione; secondo le Sezioni Unite l'attore non può ritenersi legittimato a contestare il capo relativo alla giurisdizione su cui non è soccombente; non può, pertanto, “trasferire” la propria soccombenza nel merito utilizzandola per censurare il capo su cui non è rimasto soccombente. L'unico soggetto che, alla stregua delle regole generali avrebbe interesse e legittimazione ad impugnare il capo sulla giurisdizione (e sempre che non abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito della stessa) è il convenuto. Del resto il principio era già stato espresso dalla Corte che aveva affermato che anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest'ultima sia possibile) da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. civ., Sez. Un., 6 marzo 2009 n. 5456).

Negato, pertanto, che l'inammissibilità dell'appello proposto dall'attore soccombente nel merito possa porsi in contrasto con la garanzia dell'art. 25 Cost. e con l'attinenza del riparto di giurisdizione all'ordine pubblico processuale, la Corte afferma che nemmeno può ritenersi dirimente il fatto che l'art. 41 c.p.c. consenta a ciascuna parte l'istanza di regolamento di giurisdizione. Infatti il regolamento è uno strumento preventivo e non un mezzo di impugnazione e la possibilità, riconosciuta anche all'attore, di accedere ad una pronuncia regolativa della giurisdizione, si spiega in funzione della posizione della Suprema Corte e dell'efficacia delle sue pronunce al fine di evitare un inutile dispendio di attività processuale nell'ottica anche del rispetto della ragionevole durata.

Viceversa l'appello per difetto di giurisdizione è precluso perché l'ordinamento non può consentire all'attore, una volta che sia stata decisa la causa nel merito, di interporre una scelta contraddittoria rispetto a quella inizialmente operata in punto di giurisdizione e, come conseguenza, di ottenere una diversa pronuncia sul merito secundum eventum litis. Secondo la Corte questa soluzione appare più ragionevole e più in linea con l'idea della giurisdizione come risorsa “scarsa” che va utilizzata e adoperata in modo razionale dalle parti.

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