Le Sezioni Unite sulla compensazione del credito sub iudice

14 Marzo 2017

La questione giuridica attiene alla possibilità o meno di opporre in compensazione un credito che sia sub iudice ovvero un credito controverso nell'an. L'art. 1243 c.c. nulla precisa in merito alla certezza del diritto di credito. Stando alla lettera della norma, pertanto, sarebbe possibile dichiarare l'estinzione di ogni ragione fino a reciproca concorrenza, anche se si tratta di crediti la cui esistenza potrebbe essere solo provvisoria. È proprio questa circostanza, che ha aperto la strada alla pronuncia n. 23573/2013 ed ha originato il dibattito e il contrasto circa la compensabilità del credito litigioso.
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La questione giuridica in esame attiene alla possibilità o meno di opporre in compensazione un credito che sia sub iudice ovvero un credito controverso nell'an.

In particolare, la questione in esame originava dalla seguente vicenda processuale: in un giudizio di opposizione a precetto veniva dichiarato estinto il credito della società opposta per compensazione con altro credito che la società opponente vantava verso di essa, sebbene detto controcredito difettasse del requisito della certezza, poiché fondato su sentenza non ancora passata in giudicato. La decisione veniva confermata in sede di appello e contro di essa la società opposta proponeva ricorso per cassazione, rilevando che non poteva farsi luogo a compensazione legale poiché il credito opposto in compensazione difettava del necessario requisito della certezza, in quanto fondato su sentenza non ancora passata in giudicato e, ancora, che la prova del passaggio in giudicato spettasse alla società opponente, diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata.

La pronuncia unificatrice in commento, dunque, si sofferma sui presupposti e sulle modalità operative della compensazione legale alla luce dei principi più volte ribaditi dalla Suprema Corte in materia, rilevando come gli stessi siano messi fortemente in dubbio da una recente sentenza della Corte stessa (n. 23573/2013), la quale ha affermato che «la circostanza che l'accertamento di un credito sia oggetto di altro giudizio pendente, e non ancora definito con il suo riconoscimento in forza di cosa giudicata, non è d'ostacolo alla possibilità che il suo titolare lo eccepisca in compensazione nel giudizio che contro di lui il suo debitore introduca per far valere un proprio credito». In effetti, giova evidenziare, come il requisito della certezza non si desuma dalla formulazione dell'art. 1243, comma 1, c.c., che detta i presupposti per l'operatività della compensazione ex lege. Tale norma, nel distinguere tra compensazione legale e giudiziale, afferma che la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili.

L'art. 1243 c.c., quindi, nulla precisa in merito alla certezza del diritto di credito. Stando alla lettera della norma, pertanto, sarebbe possibile dichiarare l'estinzione di ogni ragione fino a reciproca concorrenza, anche se si tratta di crediti la cui esistenza potrebbe essere solo provvisoria. È proprio questa circostanza, che ha aperto la strada alla pronuncia n. 23573/2013 ed ha originato il dibattito e il contrasto circa la compensabilità del credito litigioso.

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ORIENTAMENTO CHE SOSTIENE L'INAMMISSIBILITÀ DELLA COMPENSAZIONE DI UN CREDITO SUB IUDICE

L'orientamento prevalente e consolidato della giurisprudenza di legittimità che esclude la compensazione legale nell'ipotesi in cui uno dei crediti sia sub iudice, appare consapevole della circostanza per cui il dato normativo (art. 1243, comma 1, c.c.) non menzioni la “certezza” tra i presupposti utili al fine dell'operare della compensazione ex lege. La norma, infatti, parla soltanto di liquidità ed esigibilità. L'orientamento de quo chiarisce, peraltro, la distinzione tra liquidità e certezza, affermando che mentre la liquidità (credito determinato nell'ammontare in base al titolo) attiene all'oggetto della prestazione, la certezza concerne l'esistenza stessa dell'obbligazione e, quindi, del titolo costitutivo del credito. Proprio partendo da tale consapevolezza l'indirizzo maggioritario ritiene che se è vero che la contestazione del titolo non è contestazione sull'ammontare del credito, tuttavia se questo è controverso la liquidità e l'esigibilità sono temporanee e a rischio. Pertanto, l'orientamento in esame ritiene che in considerazione della finalità satisfattoria reciproca dell'istituto della compensazione, la stessa non possa verificarsi se la coesistenza del credito è provvisoria. Sulla base di tale ragionamento la giurisprudenza da tempo risalente (Cass. n. 620/1970) ha affermato che non ricorre il requisito della liquidità del credito non solo quando esso non sia certo nel suo ammontare (liquidità sostanziale), ma anche quando ne sia contestata l'esistenza (liquidità processuale). Da qui deriva il consolidato principio per cui ai fini dell'operatività della compensazione legale il titolo del credito deve essere incontrovertibile non solo nella sua esattezza, ma anche nella sua esistenza.

ORIENTAMENTO CHE SOSTIENE L'AMMISSIBILITÀ DELLA COMPENSAZIONE DI UN CREDITO SUB IUDICE

Come anticipato, in senso contrario all'orientamento consolidato si è consapevolmente espressa la terza sezione civile della Corte di cassazione con la sent. n. 23573/2013. Tale rivoluzionaria pronuncia, collegando la disciplina sostanziale dell'eccezione di compensazione con quella processuale, ha tentato di individuare una soluzione di carattere processuale in grado di consentire al debitore convenuto in un giudizio di condanna, di eccepire il proprio controcredito, ancorché sub iudice e, dunque, litigioso.

Dalla complessa trama argomentativa di tale difforme pronuncia in cui, come già rilevato, si offre maggiore rilievo ai profili processuali e agli strumenti a disposizione del giudice per coordinare i due procedimenti aventi ad oggetto credito e controcredito, si evince, in sostanza, che per individuare il momento della coesistenza dei due crediti reciproci, non si deve far riferimento a quello del verificarsi della certezza processuale (passaggio in giudicato della sentenza che accerta la fattispecie costitutiva del controcredito), atteso che i tre presupposti sostanziali alla cui ricorrenza l'ordinamento subordina l'operatività della compensazione (i.e. la certezza, intesa come liquidità, l'omogeneità e la coesistenza) sono del tutto indipendenti dalla vicenda processuale. La pronuncia palesa, quindi, una dimensione dell'art. 1243 c.c., comma 2, di tipo processuale, che obbedisce a logiche sottese alle norme processuali che nel c.p.c. si occupano del fenomeno della compensazione, cioè l'art. 35 c.p.c., e l'art. 40 c.p.c. (e sullo sfondo l'art. 274 c.p.c.).

La pronuncia in questione, evidenzia che l'art. 1243 c.c., comma 2, disciplina esclusivamente il fenomeno per cui viene eccepito in compensazione un controcredito che sia oggetto di contestazione e il suo accertamento debba essere fatto dallo stesso giudice originariamente adito; tale norma non si occupa di disciplinare la situazione in cui la deduzione del controcredito eccepito in compensazione e contestato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello adito, né la situazione in cui detta deduzione riguardi un controcredito che sia oggetto di accertamento in altro giudizio pendente davanti a diverso ufficio giudiziario. La disciplina di tali due ipotesi, evidenzia la sentenza, non si evince dalla lettura dell'art. 1243 c.c. e dalle norme del codice civile sulla compensazione, tuttavia, l'art. 35 c.p.c. contiene elementi decisivi per risolvere il problema della deducibilità in compensazione del credito su cui penda altro giudizio. L'art. 35 c.p.c., infatti, ammette la possibilità che, una volta eccepito in compensazione un credito che ecceda la competenza per valore del giudice adito (contestato dall'attore), possa operare il meccanismo compensativo secondo le regole dettate dalla stessa norma. Su tale scorta per l'orientamento de quo risulta, allora, difficile giustificare ragionevolmente la non deducibilità in compensazione di un controcredito che sia già sub iudice dato che in tal caso, in sostanza, la contestazione viene solo ad essere “rinnovata” nel giudizio in cui esso viene eccepito. Pertanto:

  • ove il giudizio sul controcredito penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, il coordinamento fra i due giudizi così connessi ai fini dell'operare della compensazione deve avvenire tramite il meccanismo della riunione dei procedimenti e, all'esito di essa, il giudice davanti al quale i processi sono riuniti potrà procedere nei modi indicati dal comma 2 dell'art. 1243 c.c.;
  • ove nel caso precedente la riunione non sia possibile ed ove il giudizio nel quale è in discussione il credito eccepito in compensazione penda davanti ad altro giudice (e non sia possibile una rimessione ad esso ai sensi dell'art. 40 c.p.c., a seguito della quale il coordinamento avverrà nei modi su indicati) oppure penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia sul credito principale di una condanna con riserva all'esito della decisione sul credito eccepito in compensazione e la rimessione sul ruolo della decisione sulla sussistenza delle condizioni della compensazione, seguita da sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o 337, comma 2, c.p.c. fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito.
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Tale essendo il quadro giurisprudenziale, la Terza sezione della Corte di Cassazione, rilevando un contrasto circa la possibilità di opporre in compensazione un credito sub iudice, con l'ord. n. 18001/2015 ha rimesso alle Sezioni Unite il compito di risolvere l'insorto contrasto, sottolineando come i principi espressi dalla recente decisione della Corte di Cassazione sembrino porre nel dubbio quelli, enunciati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, alla stregua dei quali l'operatività della compensazione legale è impedita qualora uno dei crediti sia ancora sub iudice.

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La pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., n. 23225/2016) risolve il contrasto nel senso di dare preferenza all'orientamento consolidato, ritenendo, già sin dalle prime battute della motivazione, non condivisibile l'iter argomentativo seguito dalla sentenza Cass. n. 23573/2013 e, quindi, in sostanza, valutando non ammissibile il collegamento della disciplina sostanziale dell'eccezione di compensazione con quella processuale, ivi operato.

Rilevano le Sezioni Unite che in verità i piani tra le norme sulla competenza e la disciplina sostanziale sulla compensazione non si intersecano affatto.

Infatti, evidenziano, che una corretta lettura dell'art. 1243, comma 2, c.c. (che disciplina la compensazione giudiziale) condurrebbe solo ed esclusivamente ad ammettere la possibilità per il giudice del credito principale di liquidare il controcredito opposto in compensazione, se e solo se il suo ammontare è facilmente e prontamente liquidabile in base al titolo; in sostanza, il controcredito deve essere certo nella sua esistenza e non controverso. Qualora il controcredito sia contestato, come prevede l'art. 35 c.p.c., allora non è certo, e quindi non è idoneo ad operare come compensativo sul piano sostanziale, e l'eccezione di compensazione va respinta.

Secondo le Sezioni Unite l'ambito di contestazione di cui all'art. 1243, comma 2, c.c., è limitato alla liquidità e non all'esistenza del controcredito. In tale ipotesi il giudice del credito principale avrebbe o (i) la possibilità di dichiarare la compensazione per la parte di controcredito già liquida, o (ii) di sospendere eccezionalmente la condanna sul credito principale fino alla liquidazione di tutto il credito opposto in compensazione, ma non di ritardare la decisione sino all'accertamento del controcredito, poiché diverrebbe del tutto pleonastica la precisazione contenuta nella norma “di pronta e facile liquidazione”. Soggiungono come, al fine di ammettere la compensabilità di un credito sub iudice, non si possa nemmeno invocare l'applicazione analogica dell'art. 35 c.p.c., per diversità di ratio rispetto all'art. 1243, comma 2, c.c..

Nello scalfire l'impianto motivazionale della sent. n. 23573/2013 le Sezioni Unite fanno inoltre notare come neanche le norme processuali sulla modificazione della competenza per ragione di connessione legittimino il meccanismo processuale della condanna con riserva e della sospensione del giudizio sulla compensazione che la sent. n. 23573/2013 ritiene applicabile all'ipotesi dell'eccezione di compensazione di un credito non certo. Pertanto, l'interpretazione corretta dell'art. 1243, co. 2, c.c. non solo non collide con la disposizione contenuta nell'art. 35 c.p.c., ma ne costituisce conferma: entrambe le norme, infatti, prevedono che a decidere i contrapposti crediti sia il giudice dinanzi al quale essi sono contemporaneamente dedotti, mentre il meccanismo di cui all'art. 35 c.p.c. è attivabile nel caso in cui il giudice del credito principale non possa conoscere di quello opposto in compensazione.

Concludono quindi le Sezioni Unite affermando che le norme di cui agli artt. 34, 35, 36, 40, 295 e 337 c.p.c., sia che la controversia sull'esistenza del controcredito sorga nel giudizio sul credito principale, sia che già penda dinanzi ad un giudice di pari grado o superiore, non rilevano sulla disciplina sostanziale delineata dall'art. 1243, comma 2, c.c., dal momento che le norme sulla competenza per accertare l'esistenza del controcredito sono estranee alla compensazione giudiziale.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno deciso di non accogliere il revirement attuato dalla Terza sezione con la sent. n. 23573/2013 e, per converso, hanno aderito all'orientamento tradizionale secondo cui i requisiti di omogeneità, esigibilità, liquidità e certezza sono propri sia della compensazione legale che di quella giudiziale, non potendo ammettersi l'eccezione suddetta qualora il controcredito risulti contestato nell'an.

In conclusione le Sezioni Unite affermano i seguenti principi:

  1. se il credito opposto in compensazione è certo, ma non liquido, nel senso di non determinato, in tutto o in parte, nel suo ammontare, il giudice può provvedere alla relativa liquidazione se è facile e pronta; quindi, o può dichiarare estinto il credito principale per compensazione giudiziale fino alla concorrenza con la parte di controcredito liquido, o può sospendere cautelativamente la condanna del debitore fino alla liquidazione del controcredito eccepito in compensazione;
  2. se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale, o in altro giudizio già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione (art. 35 c.p.c.) il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale;
  3. la compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243, comma 2, c.c. presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (in tal caso è esclusa la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale sia ai sensi dell'art. 295 c.p.c., che dell'art. 337, comma 2, c.p.c. in considerazione della prevalenza della disciplina speciale del citato art. 1243 c.c.).

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