Ripetizione di indebito e onere della prova della prescrizione: la parola alle Sezioni Unite

Francesco Bartolini
19 Dicembre 2018

La questione controversa rimessa alle Sezioni Unite riguarda l'onere della prova ove da parte della banca si opponga l'eccezione della maturata prescrizione delle rimesse del cliente comprensive di interessi da questi asseritamente non dovuti (in quanto anatocistici).
a

Con il ricorso si deduce che l'eccezione della convenuta avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per la sua genericità, in quanto formulata senza l'indicazione e senza la prova di quali fossero le rimesse solutorie, le uniche prescrivibili. Alla parte onerata si era sostituito il giudice nel compito di individuare queste rimesse, per tal modo violando il principio della ripartizione dell'onere probatorio nel processo. Spettava alla banca, si sostiene, l'onere di vincere la presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse, natura alla quale consegue la decorrenza del termine prescrizionale, per l'azione di ripetizione del debito, differita al finale momento della chiusura del conto. Controparte ha replicato con il sostenere non esser necessaria l'elencazione specifica delle singole rimesse cadute in prescrizione ed ha aggiunto che erroneamente il giudice di appello aveva disatteso l'ulteriore difesa secondo cui la prescrizione si deve intendere decorrente da ciascuna annotazione sul conto.

Con le rispettive domande le parti hanno posto alla Corte un quesito logicamente preliminare alla vera questione oggetto del contendere. Occorre, infatti, stabilire quale sia la data di decorrenza della prescrizione nello specifico caso dell'azione di indebito contro la banca sull'assunto dell'illecita pretesa di interessi maggiorati sul fido concesso. Nel caso in cui si ritenga che l'estinzione dei diritti del cliente opera dalla chiusura del conto non ha rilievo il momento in cui sono state eseguite le singole operazioni. Ma la giurisprudenza distingue (concordemente) la natura dei versamenti effettuati dal correntista nel corso del rapporto con una differenziazione che ha importanza immediata sul tema della prescrizione. Le rimesse che il cliente effettua entro i limiti della somma sino alla quale è stato concesso il fido hanno natura ripristinatoria del complessivo affidamento concesso e l'eventuale indebito per l'illecita applicazione di interessi anatocistici si rivela ed è computabile soltanto quando il rapporto viene estinto e ne risulta un saldo ingiustamente negativo per il correntista. Per contro, i versamenti eseguiti per rientrare nel fido, superato con prelievi allo scoperto, riparano al comportamento scorretto del cliente ed hanno natura solutoria. Essi sono caratterizzati da una propria individualità autonoma, extra contratto, e devono essere considerati alla strega di veri e propri pagamenti, isolabili nel tempo. Ne risulta per questi un regime che, ai fini della prescrizione, non può che essere specifico, dovendosi considerare le varie date in cui ciascuno di quei versamenti è stato eseguito. Ma, se così si assume, ne deriva la questione demandata, per la risposta, alle Sezioni Unite: come devono essere individuate, tra le numerose rimesse del cliente, quelle da computare alla chiusura del conto e quelle da considerare, invece, avvenute nel risalente momento in cui sono state eseguite? L'allegazione e la prova onerano le parti o può attivarsi il giudice, d'ufficio?

b

Un punto di partenza fermo in questa materia fu stabilito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418. La pronuncia chiarì che l'azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente correntista di una banca è soggetta alla prescrizione decennale, la quale, nell'ipotesi in cui i versamenti contestati abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, decorre non dalla data di annotazione nel conto di ogni singola posta (in ipotesi, degli interessi illegittimamente addebitati) ma dalla data di estinzione del conto con il saldo di chiusura. Ciò perché la prescrizione non può iniziare a decorrere se non da quando sia intervenuto un atto giuridico che l'attore pretende essere indebito: atto che, nel corso del rapporto di conto corrente non può che essere costituito dalla quantificazione del saldo di fine rapporto per i movimenti pecuniari funzionali all'esecuzione di questo. Diversa considerazione meritano le rimesse solutorie, destinate a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento e il cui effetto è quello di determinare uno spostamento patrimoniale a favore dell'accipiens. Esse non ripristinano la provvista e devono essere riguardate come veri e propri pagamenti.

Una volta accettato il principio così stabilito, deve convenirsi che la diversa natura delle rimesse, incidente sul momento di decorrenza della prescrizione, abbisogna di risultare in causa in un modo che costituisca un fatto ad essa acquisito per il tramite di una prova. Al riguardo si sono formati gli opposti orientamenti che la prima sezione della Corte ha chiesto vengano sottoposti al vaglio delle Sezioni Unite.

Per un primo orientamento l'eccezione formulata dalla banca in modo generico, con riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto, senza indicazione di quelle aventi natura solutoria, è inammissibile. L'assunto che fonda questa opinione è che si presuma la natura ripristinatoria dei versamenti: sì che spetta alla banca dimostrare il contrario, vincendo la presunzione con riferimento a ciascuna rimessa. In questo senso si erano espresse Cass. civ., sez. I, n. 4518/2014, Cass. civ., sez. VI-I, n. 20933/2017 e Cass. civ., sez. I, n. 12977/2018, per la quale la banca ha l'onere di provare non soltanto il decorso del tempo ma anche l'ulteriore circostanza dell'avvenuto superamento, ad opera del cliente, del limite dell'affidamento. Non occorre, si precisa, una allegazione analitica; ma l'esposizione deve comunque recare un grado di specificità tale da consentire alla controparte un adeguato diritto di difesa sul punto.

A questo orientamento se ne contrappone un altro, decisamente maggioritario. Non compete alla banca convenuta, si afferma, fornire l'indicazione specifica delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Una volta che la banca abbia formulato la propria eccezione di prescrizione compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, siano irrilevanti ai fini dell'estinzione, non potendo essere considerate pagamenti. Una siffatta presa di posizione viene giustificata osservandosi che le parti hanno l'onere di produrre in giudizio gli estratti conto e che, pertanto, il giudice ha tutti gli strumenti necessari per effettuare l'accertamento: la prova è nella disponibilità del giudice, se l'interessato assolve al suo onere di produzione. Conformemente si sono pronunciate Cass. civ., sez. V-I, n. 4372/2018; Cass. civ., sez. III, n. 15790/2016; Cass. civ., sez. I, n. 15631/2016; Cass. civ., sez. I, n. 9993/2016; Cass. civ., sez. V-III, n. 1064/2014; Cass. civ., sez. III, n. 28292/2011; Cass. civ., sez. lav., n. 21752/2010; Cass. civ., sez. III, n. 14576/2007; Cass. civ., sez. I, n. 11843/2007; Cass. civ., sez. I, n. 21321/2005; Cass. civ., sez. lav., n. 16573/2004.

c

La Corte di cassazione con ordinanza n. 27680/2018 ha rimesso al Primo Presidente gli atti relativi ad una causa di ripetizione di indebito, intentata contro un istituto di credito, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite onde comporre un segnalato contrasto interpretativo. La questione controversa riguarda l'onere della prova ove da parte della banca si opponga l'eccezione della maturata prescrizione delle rimesse del cliente comprensive di interessi da questi asseritamente non dovuti (in quanto anatocistici). In proposito risultano diverse le decisioni della stessa Corte di legittimità, essendosi alcune volte accollata la prova dei fatti determinativi della prescrizione alla banca ed altre volte, invece, essendosi in proposito ritenuto sussistente un potere di accertamento d'ufficio del giudice.

L'ordinanza di rimessione al Primo Presidente cita come fonte dell'orientamento maggioritario la sentenza delle Sezioni Unite 25 luglio 2002, n. 10955, secondo cui l'elemento costitutivo dell'eccezione di prescrizione è l'inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio mentre la determinazione della durata di questa, al cui compimento si produce l'effetto estintivo, si configura come una quaestio juris concernente l'identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge: con la conseguenza per cui la riserva alla parte del potere di sollevare l'eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell'effetto, non anche di indicare direttamente le norme applicabili al caso di specie, l'identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice. É, poi, jus receptum che costituiscano questioni di diritto l'individuazione della natura della prescrizione (ordinaria, speciale o presuntiva) e l'eventuale avvenuta interruzione del decorso estintivo. In proposito si assume attribuito al giudice un potere di rilievo d'ufficio, posto che jura novit curia.

Non può, naturalmente prevedersi se le Sezioni Unite confermeranno l'orientamento prevalente, ove ad esse sarà effettivamente demandato di risolvere il quesito concernente l'onere probatorio nel caso di una eccezione di prescrizione che riguarda la diversa natura delle rimesse sul conto corrente e la data della loro effettuazione. Va comunque osservato che l'accoglimento dell'eccezione riferita alle rimesse indebite richiede siano selezionati gli accadimenti storici (i singoli versamenti) dei quali va determinata la natura ripristinatoria o solutoria. Questa determinazione si risolve in un accertamento in fatto per il quale al giudice devono essere forniti i dati necessari dalla parte interessata oppure si tratta anche questa volta di una questione in diritto rimessa al potere del giudice? È davvero sufficiente che la parte deduca l'inerzia del suo creditore per poi attendere che l'ufficio verifichi se questa inerzia è effettivamente esistita, per quanto si è protratta, se integra un fatto estintivo di ordine generale o se deve essere applicata una norma di ordine speciale o specifico? E nel particolare caso in cui occorra distinguere tra diritti estinti ed altri persistenti a seconda della rispettiva natura delle prestazioni operate (le rimesse sul conto singolarmente prescrivibili e quelle prescrivibili soltanto alla chiusura del rapporto) la parte che eccepisce può limitarsi a formulare la sua deduzione per poi lasciare l'accertamento al giudice o a un suo consulente? Più semplicemente, se la prova del fatto compete alla parte mentre il risolvere la questione di diritto è compito del giudice, individuare tra le altre le rimesse solutorie cui applicare la prescrizione è questione in fatto oppure questione in diritto?

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.