Contestazione della CTU in sede di comparsa conclusionale

14 Marzo 2022

Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla c.t.u., ove non integrino eccezioni di nullità del procedimento, ex artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello.
QUESTIONE CONTROVERSA

La questione controversa riguarda la configurabilità in capo alle parti del giudizio del potere di contestare i risultati di una consulenza tecnica d'ufficio per la prima volta in comparsa conclusionale, nonché la correlata possibilità di compiere tali contestazioni, laddove reputate tardive in primo grado, in appello, sottraendosi la consulenza tecnica di parte alle preclusioni di cui all'art. 345 c.p.c.

Con l'ordinanza interlocutoria n. 1990/2020, la Seconda sezione civile della Corte di cassazione ha preso posizione sulla questione e, riconosciutane la particolare importanza ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

ORIENTAMENTI CONTRAPPOSTI

L'ordinanza interlocutoria osserva che:

  1. secondo alcuni, con la comparsa conclusionale la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e di contestazione avverso le valutazioni e le conclusioni del consulente tecnico, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che come tali non ampliano l'ambito oggettivo della controversia (Cass. civ., 22 giugno 2006, n. 14457; Cass. civ., 10 marzo 2000, n. 2809; Cass. civ., 21 maggio 1977, n. 1666);
  2. secondo altri, invece, le «osservazioni critiche alla consulenza tecnica d'ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale - e, pertanto, se ivi contenute, non sono esaminabili dal giudice - perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale» (Cass. civ., 26 novembre 1998, n. 11999; Cass. civ., 1 luglio 2002, n. 2809; Cass. civ., 9 settembre 2013, n. 20636).

Quest'ultima tesi è più di recente stata ripresa, affermandosi che i rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio integrano eccezioni rispetto al suo contenuto, per cui sono soggette al termine di preclusione di cui all'art. 157, comma 2, c.p.c., dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. civ., 25 febbraio 2014, n. 4448; Cass. civ., 6 settembre 2006, n. 19128). In sostanza, per quest'indirizzo, il giudice legittimamente non è tenuto a prendere in considerazione le critiche alla relazione del consulente tecnico d'ufficio contenute nella comparsa conclusionale, essendo quest'ultima destinata solo ad illustrare le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le conclusioni già precisate.

Più di recente, l'orientamento restrittivo è stato ulteriormente precisato, osservandosi che, una volta espletata la consulenza tecnica d'ufficio, le contestazioni sollevate alla stessa ad opera delle parti possono riguardare il procedimento o il contenuto di essa. Pertanto, laddove le parti non abbiano rispettato il termine fissato dal giudice per il deposito della consulenza di parte che alla CTU rivolga osservazioni, occorre distinguere: 1) se i rilievi tardivi riguardano eventuali nullità del subprocedimento relativo alla consulenza, essi soggiacciono alla disciplina di cui agli artt. 156 e 157 c.p.c., per cui sono da ritenersi inammissibili; 2) viceversa, laddove riguardino il contenuto della relazione peritale, costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, per cui possono essere svolte nella comparsa conclusionale sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove e purché il breve termine a disposizione per la memoria di replica, comparato con il tema delle osservazioni, non si traduca, con valutazione da effettuarsi caso per caso, in un'effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa, spettando al giudice sindacare la lealtà e correttezza di una siffatta condotta della parte alla stregua della serietà dei motivi che l'abbiano determinata (Cass. civ., 26 novembre 2012, n. 20866; Cass. civ., 3 febbraio 2011, n. 2566; Cass. civ., 26 luglio 2016, n. 15418, nonché più di recente Cass. civ., 21 agosto 2018, n. 20829, Cass. civ., 22 maggio 2019, n. 13869 e Cass. civ., 29 gennaio 2019, n. 2516).

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE

La Corte, premesso che nel caso posto al suo esame non trova applicazione ratione temporis la disciplina introdotta dall'art. 46 della legge n. 69/2009, che ha "procedimentalizzato" la formazione della consulenza tecnica, rileva che sulla questione sopra illustrata non si registra un orientamento univoco e che i profili interpretativi portati alla sua attenzione presentano i caratteri della “questione di massima di particolare importanza”, tale da imporre l'adozione di ordinanza di rimessione del procedimento al Primo Presidente, affinché valuti l'opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.

Per la decisione in epigrafe, in particolare, l'indirizzo restrittivo da ultimo riportato suscita non poche perplessità, considerando che: 1) esso non pare essere compatibile con la procedimentalizzazione del mezzo istruttorio ad opera della legge 69/2009, la quale ha previsto che il giudice fissi tre termini «con una formazione progressiva del mezzo, che vede la collaborazione tra giudice, esperto, parti e loro consulenti; meccanismo che, sia pure imperniato su termini ordinatori, pare difficilmente compatibile con la possibilità di nulla eccepire sino alla comparsa conclusionale»; 2) la distinzione tra contestazioni relative al procedimento e contestazioni relative al contenuto, non è sempre evidente, «essendoci vizi del procedimento che si ripercuotono sul contenuto della consulenza (si pensi all'ipotesi dell'indagine tecnica che si estenda oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, vizio del procedimento che si riflette sul contenuto della relazione tecnica)».

Per tale motivo, la decisione in epigrafe rimette gli atti al Primo Presidente affinché valuti l'opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

  1. laddove le critiche alla consulenza tecnica siano sollevabili per la prima volta in comparsa conclusionale, se l'ammissibilità dei rilievi sia subordinata a una valutazione caso per caso del giudice solo per i processi per cui non trovano applicazione i riformati artt. 191 e 195 c.p.c. ovvero anche per i procedimenti successivamente all'entrata in vigore della legge n. 69/2009 e, in caso positivo, se vi siano conseguenze per la parte, sotto il profilo dell'attribuzione delle spese del giudizio o sotto altri profili;
  2. laddove si escluda la possibilità di sollevare critiche alla consulenza tecnica per la prima volta in comparsa conclusionale, «se ciò vada ricondotto all'applicazione del disposto di cui all'art. 157, comma 2 c.p.c. alla generalità dei vizi attinenti la consulenza tecnica, quale categoria comprensiva anche dei vizi che attengono al contenuto dell'atto, ovvero quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla formazione della consulenza, così come stabilito dal giudice con la fissazione dei termini di cui all'art. 195 c.p.c., e, in quest'ultimo caso, se ciò valga solo per i procedimenti cui si applicano i riformati artt. 191 o 195 c.p.c. ovvero anche per i processi ove (come nel caso in esame) il giudice abbia fissato, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., un termine per il deposito di osservazioni; infine, se l'inammissibilità in primo grado comporti o meno l'inammissibilità nel giudizio di appello della (ri)proposizione dei rilievi formulati in comparsa conclusionale».

In attesa della composizione del contrasto ad opera delle Sezioni Unite, sia consentito svolgere alcune brevi considerazioni.

A parere di chi scrive le considerazioni svolte dalla S.C. non sembra colgano nel segno almeno con riguardo alla prima obiezione avanzata dalla decisione in epigrafe all'orientamento più recente, giacché alcun argomento risolutivo della questione circa la producibilità della relazione del CTP anche oltre l'udienza di precisazione delle conclusioni può trarsi dalla riforma dell'art. 195 c.p.c. operata dalla legge n. 69/2009 ed invero, come sottolineato dalla stessa S.C., i termini per lo svolgimento di osservazioni tecniche ivi regolati non sono stati qualificati dal legislatore come perentori, per cui deve ammettersi la possibilità per i litiganti di produrre proprie relazioni o note tecniche anche al di fuori del subprocedimento disciplinato da detta norma.

Mi pare invece che, pur non essendo considerata la consulenza un mezzo di prova vero e proprio, nello svolgimento dell'attività del consulente tecnico, debba essere sempre assicurato il rispetto del principio del contraddittorio (Vellani, voce Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Digesto Civ., III, Torino, 1982, 525 ss., in part. 532 ss.), assicurando al consulente tecnico di parte la facoltà di partecipare alle operazioni peritali svolte dal consulente tecnico d'ufficio, nonché a partecipare all'udienza ogni volta che vi prenda parte il consulente tecnico d'ufficio. Solo in tal modo, infatti, 1) le parti esplicano il loro diritto di difesa, attuando un effettivo controllo sull'operato del CTU; 2) i risultati delle indagini tecniche d'ufficio vengono esaminati dal giudice in una prospettiva dialettica capace di chiarirne i contenuti e di rafforzarne il valore. Se ciò è vero, deve allora escludersi che le osservazioni tecniche di parte possono essere svolte in un momento successivo al deposito della relazione peritale e ciò anche in considerazione che oggi la consulenza tecnica costituisce un «subprocedimento» che si chiude con il deposito della relazione.

Soluzione

Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere la questione così come delineata dal Collegio remittente, osservano in primo luogo che, sebbene le modifiche apportate dalla l. 69/2009 agli artt. 191 e 195 c.p.c. non possono trovare applicazione al giudizio pendente, «ciò non esclude, da un lato, che, nell'esercizio dei poteri di direzione del processo assegnati dall'art. 175 c.p.c., il giudice già in precedenza potesse procedere a scadenzare le attività del consulente tecnico e delle parti (e, d'altra parte, si è già evidenziato che le modifiche introdotte nel 2009 danno seguito proprio a tale prassi formatasi nei Tribunali) e, dall'altro, che il principio del contraddittorio - costituzionalmente irrinunciabile - trovasse piena applicazione anche prima della riforma».

Ciò premesso e ribadito che nel sistema delineato dal codice di rito vigente il consulente tecnico riveste la qualità di ausiliare del giudice che ha il compito non solo di rispondere a quanto di tecnico gli viene richiesto, ma anche e soprattutto quello di assistere il giudice nella risoluzione della lite, fornendo a quest'ultimo le necessarie nozioni tecniche di cui non è naturalmente dotato il magistrato, le Sezioni Unite ribadiscono che la consulenza tecnica di parte non può essere considerata un mezzo di prova, ma un mero atto difensivo, la cui produzione non è riconducibile al divieto di cui all'art. 345 c.p.c. (così Cass. civ., sez. un., 3 giugno 2013, n. 13902); pertanto, essa può essere riprodotta all'interno degli atti defensionali (anche finali) delle parti.

Stabilito dunque che la comparsa conclusionale può contenere motivi di dissenso e di contestazione avverso le valutazioni e le conclusioni del consulente, la Corte passa poi a verificare se l'inserimento all'interno della comparsa conclusione di tali rilievi critici non fatti valere in precedenza sia ammissibile senza alcun limite o se debbano essere compiuti dei distinguo in merito.

Dando seguito all'orientamento restrittivo inaugurato da Cass. civ., 26 luglio 2016, n. 15418, il Supremo Collegio nella sua massima composizione ritiene necessario operare una distinzione tra le censure che attengono alla deduzione di vizi procedurali e quelle relative al «"merito", cioè a contestazioni "valutative" delle indagini peritali».

Mentre i vizi del procedimento di consulenza tecnica, essendo qualificabili quali nullità relative, sono soggetti al regime di preclusione di cui all'art. 157 c.p.c., per cui la parte interessata deve eccepire la relativa nullità per la mancanza del requisito stesso entro il termine di decadenza costituito dalla prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso, le contestazioni alle valutazioni poste in essere dal perito d'ufficio all'interno della consulenza, costituendo mere argomentazioni difensive, possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, ma si riferiscano all'attendibilità e alla valutazione delle risultanze della CTU e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio. Tale precisazione, ad avviso delle Sezioni unite, permette altresì di superare l'obiezione sostenuta da chi osserva che l'introduzione nella comparsa conclusionale delle osservazioni critiche alla CTU sarebbe idonea a determinare la lesione del principio del contraddittorio; infatti, se costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità quello per cui non dà luogo ad una violazione del contraddittorio l'introduzione di una nuova causa petendi (per i diritti autoindividuati, configurandosi altrimenti una inammissibile mutatio libelli), a condizione che essa non si fondi sull'introduzione in giudizio di fatti nuovi e non si determini un mutamento delle conclusioni già rassegnate nel giudizio, «non si vede allora perché, alle medesime condizioni (senza, cioè, ammettere fatti nuovi né mutamenti delle conclusioni già rassegnate), non dovrebbe essere consentito lo svolgimento delle critiche alla CTU per la prima volta nella comparsa conclusionale».

Le Sezioni Unite concludono pertanto nel senso dell'ammissibilità della proposizione di censure alla CTU nei termini appena delineati anche in comparsa conclusionale e pure in appello e ciò, sia nel corso di un processo cui sia applicabile ratione temporis la vigente normativa relativa alla consulenza tecnica, sia nel caso in cui sia applicabile tale normativa nella sua precedente formulazione, qualora il giudice investito della causa, in virtù dei poteri di poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia assegnato un termine per il deposito di osservazioni alla CTU.

La Cassazione, infine, precisa che qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla CTU, non integranti eccezioni di nullità del procedimento, siano stati formulati oltre i termini concessi alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, resta nella facoltà del giudice adito valutare, in considerazione delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., con la conseguenza che laddove tale valutazione abbia esito positivo dovrà tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite, in applicazione dell'art. 92, primo comma, ultima parte c.p.c., trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost.

Ora, non è certo questa la sede per poter esaminare funditus la questione, la quale, come è evidente, tocca alcuni snodi cruciali nella geografia del processo civile che fanno leva sul principio della domanda, sul principio del contraddittorio, sul principio dispositivo e, non ultimo, sul tema aperto delle nullità processuali; si può solo osservare come la difficoltà nel delineare la fisionomia e i caratteri della consulenza tecnica, nonché i poteri del perito, del giudice e delle parti si riverberi inevitabilmente sui contorni della decisione in commento, la quale non riesce a dare una risposta di giustizia soddisfacente, sia nella parte in cui quasi apoditticamente distingue tra vizi procedimentali e contestazioni e rilievi alla consulenza, senza fornire all'interprete uno strumento utile per operare un tale distinguo nella pratica, sia in quella in cui fa confluire nella responsabilità processuale di cui all'art. 92 c.p.c. la contestazione alla CTU effettuata dalla parte nella comparsa conclusionale, apparendo francamente contraddittorio da un lato ammettere la possibilità per i litiganti di produrre proprie relazioni o note tecniche anche al di fuori del subprocedimento di consulenza tecnica e dall'altro considerare tale comportamento censurabile, al punto da influire sulla regolamentazione delle spese di lite.

Riferimenti:

  • A. Alfieri, Riflessioni sulla natura e sugli effetti dei vizi riguardanti la consulenza tecnica, in Giusto proc. civ., 2020, 1162 ss.;
  • V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile. Problemi e funzionalità, Milano 2011;
  • A. Bonafine, Note a prima lettura sull'ordinanza interlocutoria sull'ammissibilità delle critiche alla c.t.u. sollevate nell'ambito del giudizio ordinario per la prima volta in comparsa conclusionale, in Judicium, 2020, 269;
  • M. Bove, Il sapere tecnico nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2011, 143;
  • F. De Santis, Note in tema di consulenza tecnica d'ufficio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 435 ss..

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