Se il giudice di appello è incompetente deve dichiararlo e fissare il termine per la riassunzione
20 Settembre 2016
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Contro una sentenza pronunciata dal tribunale di Milano il soccombente propone appello alla corte d'appello di Brescia: a suo modo di vedere competente perché il condominio che lo aveva convenuto in giudizio in primo grado annovera tra i condomini un magistrato di quel tribunale. La corte d'appello di Brescia dichiara inammissibile l'impugnazione. Questi, in proposito, i termini della questione. L'art. 341 c.p.c. stabilisce che l'appello contro le sentenze del giudice di pace e del tribunale si propone rispettivamente al tribunale ed alla corte d'appello nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato la sentenza. La disposizione fissa dunque un duplice criterio di individuazione del giudice dell'impugnazione: da un lato verticale (l'appello si propone al giudice superiore), dall'altro lato orizzontale-territoriale (l'appello si propone al giudice, come si è detto superiore, nel cui ambito territoriale si trova quello che ha pronunciato la sentenza impugnata). Che cosa accade se l'appello è proposto ad un giudice diverso da quello identificato dalla norma? E le conseguenze sono le stesse sia se è stato violato il criterio verticale (ad esempio l'appellante ha proposto appello contro la sentenza del tribunale ad un altro tribunale o, addirittura, per assurdo, ad un giudice di pace, oppure ha appellato una sentenza del giudice di pace alla corte d'appello) sia se è stato violato il criterio orizzontale-territoriale (scegliendo, ad esempio, come nel nostro caso, la corte d'appello di Brescia in luogo di quella di Milano)? In particolare, la proposizione dell'appello ad un giudice individuato in violazione dell'art. 341 c.p.c. possiede un effetto «conservativo», al pari della domanda proposta in primo grado a giudice incompetente (e oggi finanche ad un giudice carente di giurisdizione: v. art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69), alla quale consegue (sempre che l'incompetenza sia stata ritualmente eccepita o rilevata) la dichiarazione di incompetenza, con la conseguente fissazione del termine per la riassunzione dinanzi al giudice dichiarato competente ai sensi dell'art. 50 c.p.c.? E tale effetto «conservativo» si realizza sia in caso di violazione del criterio verticale, sia in caso di violazione del criterio orizzontale-territoriale? O, al contrario, nel caso di violazione dell'art. 341 c.p.c., l'appello è inammissibile, sicché il giudizio si chiude con il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado? b
L'appello a giudice incompetente ha effetto conservativo, ma nel solo caso di incompetenza territoriale Secondo un orientamento ampiamente maggioritario, l'appello proposto davanti ad un giudice territorialmente — si badi bene: territorialmente — incompetente non dà luogo a un'ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione, ma determina l'instaurazione di un valido rapporto processuale destinato a proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il congegno di translatio iudicii disciplinato dall'art. 50 c.p.c. (Cass. 2 luglio 2004, n. 12155; Cass. 30 agosto 2004, n. 17395; Cass. 9 giugno 2015, n. 11969). Dunque, se l'appellante sbaglia nell'applicare il criterio orizzontale-territoriale, nulla di grave: si rimedierà con la dichiarazione di incompetenza e la successiva riassunzione. Se l'appellante sbaglia nell'applicare il criterio verticale, l'appello si chiude in rito con pronuncia di inammissibilità. Perché questa distinzione che a una prima impressione può apparire non agevolmente comprensibile? In breve, sia pur semplificando un po' troppo, l'argomento che la sostiene può essere spiegato così: quella orizzontale-territoriale è una competenza vera e propria, assimilabile alla competenza di cui discorre l'art. 38 c.p.c.; quella verticale è qualcosa di diverso, è una ipotesi di competenza funzionale che, se così si può dire, somiglia più alla giurisdizione, che non alla competenza: per dirla con Enrico Redenti l'individuazione del giudice d'appello nel giudice superiore da parte dell'art. 341 c.p.c. dà luogo ad una «attribuzione istituzionale», la quale non può perciò essere violata se non a prezzo della dichiarazione d'inammissibilità. Per questa via la SC ha in più occasioni ritenuto inammissibile l'appello nelle ipotesi di sua proposizione dinanzi allo stesso giudice o ad un giudice di pari grado rispetto a quello che aveva emesso la sentenza impugnata (v. Cass. 9 dicembre 1981, n. 6515; Cass. 24 settembre 1998, n. 9554; Cass. 12 giugno 1999, n. 5814; Cass. 12 novembre 2002, n. 15866; Cass. 2 luglio 2004, n. 12155; Cass. 6 settembre 2007, n. 18716). In altre pronunce l'operatività dell'effetto conservativo è stato escluso in tutti i casi di impugnazione proposta dinanzi ad un giudice di grado diverso da quello previsto dalla norma (v. Cass. 29 gennaio 2003, n. 1269; Cass. 6 settembre 2007, n. 18716; Cass. 2 febbraio 2010, n. 23661, per il caso di sentenza del pretore impugnate dinanzi al tribunale anziché alla corte d'appello dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado). Di qui si è giunti ad ammettere la translatio iudicii nel solo caso di incompetenza semplicemente territoriale del giudice adito in appello (v. Cass. 30 agosto 2004, n. 17395; Cass. 9 giugno 2015, n. 11969).
Il congegno della translatio iudicii non si applica all'appello proposto ad un giudice diverso da quello normativamente indicato Un indirizzo radicalmente diverso è stato proposto da Cass. 10 febbraio 2005, n. 2709, secondo cui i criteri di individuazione dell'ufficio giudiziario innanzi al quale proporre l'impugnazione non sono riconducibili alla nozione di competenza adoperata dal codice di procedura civile nel Capo I del Titolo I del Libro I, in quanto, se anche la disciplina della individuazione del giudice dell'impugnazione assolve ad uno scopo di massima simile sul piano funzionale a quello che ha la disciplina della individuazione del giudice competente in primo grado, l'una e l'altra afferendo a regole che stabiliscono avanti a quale giudice debba svolgersi un determinato tipo di processo civile, in ragione del grado, tuttavia appare impossibile ravvisare fra i due fenomeni normativi una eadem ratio sufficiente a giustificare l'estensione anche parziale di aspetti applicativi della seconda alla prima sul piano dell'analogia. Ne consegue che a quest'ultima non trovano applicazione né la norma dell'art. 50 c.p.c. sulla cosiddetta translatio judicii né quella dell'art. 38 dello stesso codice sul regime di rilevazione della incompetenza. Secondo quest'indirizzo (poi ribadito almeno da Cass. 7 dicembre 2011, n. 26375 e Cass. 2 novembre 2015, n. 22321) la soluzione indicata trova applicazione in tutte le possibili combinazioni in cui un'impugnazione (quindi non soltanto l'appello) venga proposta ad un giudice diverso da quello previsto dalla legge sia sul piano verticale, che su quello orizzontale-territoriale. c
Avvedutasi del contrasto, la Corte di cassazione, con ordinanza 9 dicembre 2015, n. 24856 ha rimesso alle Sezioni unite la questione degli effetti dell'incompetenza del giudice d'appello: ponendo la questione per l'appunto in termini di competenza e, così, mostrando già solo per questo di prendere le distanze dall'orientamento minoritario di cui si è poc'anzi detto. d
La soluzione adottata dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 14 settembre 2016, n. 18121), che sembra trarre in più punti argomento da una nota dottrinale pubblicata a commento dell'ordinanza di rimessione, propende per applicabilità a largo spettro della regola della translatio iudicii anche in grado di appello. Secondo la pronuncia non sarebbe possibile negare che l'art. 341 c.p.c. contempli una ipotesi di «competenza», intesa come frazione dell'intero esercizio della funzione giurisdizionale. Viene riconosciuto tuttavia che si tratta di una competenza sui generis, in ragione della contemporanea previsione di criteri d'individuazione sia in senso verticale (giudice superiore) che orizzontale (giudice che ha sede nella circoscrizione di quello che ha pronunciato la sentenza): si tratta cioè di «competenza funzionale» (in questo senso viene richiamata l'autorità di Cass., Sez. Un., 22 novembre 2010 n. 23594, la quale ha stabilito che l'incompetenza territoriale del giudice d'appello non può stabilizzarsi per il fatto di non essere stata tempestivamente eccepita o rilevata). Nel ritenere l'applicabilità al giudizio di appello dell'art. 50 c.p.c., dettato per la translatio iudicii, le Sezioni Unite hanno osservato: - che il vizio derivante dall'individuazione di un giudice di appello diverso rispetto a quello determinato ai sensi dell'art. 341 c.p.c. non rientra né tra i casi per i quali è espressamente prevista dalla legge la sanzione della inammissibilità dell'impugnazione, né tra i casi in cui non sia configurabile il potere di impugnare; - che il citato art. 50 c.p.c. è collocato tra le disposizioni generali contenute nel titolo primo del libro primo, sicché la sua applicazione non è sottoposta alla verifica di compatibilità prevista dall'art. 359 c.p.c.; - che lo stesso art. 50 c.p.c. non opera alcuna distinzione tra competenza di primo e secondo grado; - che il carattere «funzionale» della competenza del giudice d'appello non osta all'applicazione della detta norma, ove si consideri che la translatio iudicii è prevista addirittura tra diversi plessi giurisdizionali, ai sensi dell'art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nonché nei rapporti tra giudici ad arbitri (Corte cost. n. 223/2013), sicché a maggior ragione deve essere ritenuta applicabile nei riguardi dell'appello. Immancabile, a suffragio della soluzione adottata, è il richiamo «al principio della effettività della tutela giurisdizionale, immanente nel nostro ordinamento», che sembra indurre talora a considerare il rispetto delle forme quasi come un ostacolo al dispiegarsi della tutela dei diritti, nello stesso modo in cui l'aria costituisce ostacolo al volo degli uccelli (nel che si dimentica che è proprio l'aria a sostenerne il volo). L'esito interpretativo cui pervengono le Sezioni Unite finisce per andare al di là dello stesso orientamento maggioritario del quale in precedenza si è dato conto, con l'affermazione dell'applicabilità del principio della translatio iudicii non solo nella ipotesi di erronea individuazione del giudice territorialmente competente, ma anche in quella di erronea individuazione del giudice competente per grado: in entrambi i casi, infatti, chiariscono le Sezioni Unite, si è in presenza di un errore che cade esclusivamente sull'individuazione del giudice dinanzi al quale deve essere proposto l'appello avverso la decisione di primo grado, e che, quindi, non incide sull'esistenza del potere di impugnazione, ma solo sul modo di esercizio di tale potere. Il principio affermato è infine il seguente. L'appello proposto dinanzi ad un giudice diverso da quello indicato dall'art. 341 c.p.c. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame. Non è chiaro il perché di quest'ultimo passaggio concernente il rilievo dell'errore nell'applicazione del criterio verticale, visto che in questo caso la sentenza di un tribunale era stata impugnata, per quest'aspetto correttamente, dinanzi ad una corte d'appello: sicché l'affermazione pare collocarsi al di fuori della ratio decidendi. Certo è che, grazie alle Sezioni Unite, il nostro appellante — quello che ha dato luogo alla pronuncia della sentenza in esame — la prossima volta potrà impugnare una sentenza del tribunale di Milano non solo dinanzi alla corte d'appello di Brescia, ma, a suo piacimento, anche, tanto per dire, al giudice di pace di Canicattì.
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