La c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario si applica solo in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo
23 Dicembre 2016
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La questione controversa, sottoposta dalla Sesta Sezione Civile all'esame delle Sezioni Unite in quanto questione di massima di particolare importanza, è relativa alla disarmonia nella giurisprudenza di legittimità sulla determinazione dell'ambito di applicabilità dell'art. 2953 c.c. con riferimento alla riscossione mediante ruolo di diversi tipi di crediti, rispettivamente degli enti previdenziali, oppure per sanzioni amministrative pecuniarie e/o per violazioni di norme tributarie e così via. In particolare la Sesta Sezione Civile chiedeva alle Sezioni Unite di stabilire se l'art. 2953 c.c. sia applicabile anche nei casi in cui la definitività dell'accertamento derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato. b
Secondo l'orientamento dominante e più antico la conversione del termine di prescrizione da breve a decennale ex art. 2953 c.c. si può avere soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato o di decreto ingiuntivo che abbia acquistato efficacia di giudicato formale e sostanziale (in tal senso, tra le altre, Cass. 29 febbraio 2016 n. 3987; Cass. 27 gennaio 2014 n. 6628; Cass. 24 marzo 2006 n. 6628). Con riferimento specifico alla riscossione coattiva dei crediti la norma in questione è ritenuta applicabile soltanto quando il titolo in base al quale viene iniziata la riscossione coattiva non è più quello amministrativo ma un titolo giudiziale diventato definitivo. Ciò perché il titolo amministrativo, indipendentemente dal credito cui si riferisce, non ha attitudine al giudicato perché è espressione del potere di autotutela della P.A. e, di conseguenza, la scadenza del termine perentorio per l'opposizione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito e non effetti di tipo processuale. Il principio in questione era stato ribadito anche dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un., 10 dicembre 2009 n. 25790) e dalla giurisprudenza successiva (per tutte si veda da ultimo Cass. 13 giugno 2016 n. 12074) con riferimento al giudicato su ricorsi contro provvedimenti di irrogazione di sanzioni tributarie amministrative; si era infatti affermato che se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione quinquennale. Ed era, infine, pacifico nella giurisprudenza della Sezione Lavoro il principio per cui l'ordinanza-ingiunzione di pagamento delle sanzioni pecuniarie è un provvedimento amministrativo e non giurisdizionale e si diversifica, pertanto, nettamente, dal decreto ingiuntivo (Cass., sez. I, 12 novembre 1992 n. 12189 e, da ultimo, Cass., sez. II, 27 luglio 2012 n. 13516). In questo panorama abbastanza pacifico si è inserita una giurisprudenza della Sezione Lavoro che ha individuato per la prima volta la categoria dei c.d. “titoli esecutivi paragiudiziali” accanto a quella dei titoli giudiziali, che avrebbero l'attitudine a divenire, in caso di mancata opposizione o di opposizione intempestiva, definitivi ed incontrovertibili (per tutte Cass. Sez. Lav., 24 settembre 1991, n. 9944). Il principio era, poi, stato esteso alla cartella esattoriale di pagamento relativa alla riscossione dei contributi previdenziali (Cass., Sez. Lav., 11 agosto 1993 n. 8624).
Un'effettiva disarmonia nel sistema rispetto all'applicazione dell'art. 2953 c.c. è derivata, peraltro, da una pronuncia della Sezione tributaria (Cass., sez. V, 26 agosto 2004 n. 17051), secondo cui per effetto della iscrizione a ruolo (con riferimento all'IVA) l'ufficio forma un titolo esecutivo cui è sicuramente applicabile il termine di prescrizione di 10 anni previsto dall'art. 2946 c.c., senza ulteriori spiegazioni. Sulla scia di questa pronuncia, la Sezione lavoro (a partire da Cass., 24 febbraio 2014 n. 4338) ha affermato che, una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva a causa della mancata proposizione dell'opposizione alla cartella esattoriale, non è più soggetto ad estinzione per prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale ad esso relativa e l'unica che può prescriversi è l'azione diretta all'esecuzione del titolo così formatosi in via definitiva, rispetto alla quale, in difetto di diverse disposizioni, trova applicazione il termine di prescrizione ordinario decennale dell'art. 2946 c.c. Anche la più recente Cass., Sez. Lav., 15 marzo 2016 n. 5060 ha ribadito il principio dell'applicazione del termine ordinario decennale di prescrizione con riferimento alla mancata o tardiva proposizione di opposizione a cartella esattoriale rispetto ad una pretesa contributiva previdenziale. Ed è altresì questa l'unica pronuncia in cui si è certamente affermata l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. alla cartella di pagamento divenuta definitiva perché non opposta nei termini. c
La questione controversa in esame è stata rimessa alle Sezioni Unite da Cass., sez. VI, 29 gennaio 2016 n. 1799: tale ordinanza è stata resa in una fattispecie relativa alla disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali di cui al d.lgs. 46/1999 e, in particolare, al riferimento dell'art. 24 del medesimo decreto al termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento per proporre opposizione alla pretesa contributiva. Fatto inutilmente scadere detto termine perentorio senza proporre opposizione ne deriva l'intangibilità della pretesa contributiva. Secondo l'ordinanza la questione dell'interpretazione dell'art. 2953 c.c. e, in particolare, dell'operatività o meno della ivi prevista conversione del termine di prescrizione breve in decennale, nelle fattispecie derivanti da atti di riscossione mediante ruolo o, comunque, di riscossione coattiva di crediti di enti previdenziali o di crediti relativi ad altre entrate, tributarie ed extratributarie, dello Stato, Regioni, Province, Comuni ecc. In particolare, dall'ordinanza di rimessione si ricava che è necessario stabilire definitivamente se la disposizione dell'art. 2953 c.c. si applichi o meno alle ipotesi in cui la definitività dell'accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato (o a un decreto ingiuntivo che abbia acquistato tale efficacia). Con riguardo specifico alla fattispecie sottoposta all'esame della Sesta Sezione, il problema da risolvere è se la decorrenza del termine perentorio sopra ricordato per l'opposizione alla cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dalla possibilità di impugnarla, produca soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito tributario ovvero determini anche l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. nel senso di consentire la conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale. d
Secondo le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23397) se non ci sono motivi per discostarsi dall'orientamento tradizionale sopra ricordato, anche in considerazione del fatto che la disciplina della prescrizione è di stretta “osservanza” ed insuscettibile di applicazione analogica. La conferma che la conversione del termine di prescrizione ex art. 2953 c.c. si applichi soltanto laddove vi sia un atto giurisdizionale passato in giudicato, si ha dalla giurisprudenza consolidata secondo cui, in materia di riscossione di imposte e sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, questa conversione non opera se la definitività dell'accertamento deriva non già da una sentenza passata in giudicato, ma dalla dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti (in questo senso da ultimo Cass. 6 marzo 2015 n. 4574). Poiché sia la cartella di pagamento che gli altri titoli che consentono la riscossione coattiva dei crediti dello Stato e/ o degli Enti previdenziali sono atti amministrativi privi di attitudine alla cosa giudicata, essi non possono comportare l'applicazione dell'art. 2953 c.c. in parte qua. La scadenza del termine per proporre l'opposizione ovviamente avrà il suo effetto decadenziale in ordine alla possibilità di proporre l'impugnazione, e produrrà l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito. Ma, per tutte tali ragioni, questa scadenza non può comportare l'applicazione dell'art. 2953 c.c. ai fini dell'operatività della conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale. Peraltro un simile allungamento del termine di prescrizione si porrebbe, a parere delle Sezioni Unite, in contrasto con la ratio posta a base della perentorietà del termine per l'opposizione; poiché, infatti, questa ratio risiede nell'esigenza di consentire una rapida riscossione del credito, l'allungamento del termine di prescrizione in favore dell'ente creditore metterebbe il debitore in una situazione di incertezza perenne, oltre a porsi in evidente contrasto, come detto, con le ragioni giustificative della perentorietà. L'orientamento dominante, ora confermato dalle Sezioni Unite, pare senz'altro condivisibile. Infatti la dottrina da tempo aveva affermato che per “sentenza di condanna” ai sensi dell'art. 2953 c.c. va considerato ogni provvedimento giurisdizionale che abbia le caratteristiche della decisorietà e della definitività, compresi i provvedimenti ad essi equivalenti ma aventi i medesimi requisiti, mentre non può mai essere ritenuto tale un provvedimento di tipo meramente amministrativo né un provvedimento contrattuale quale il lodo irrituale (a differenza di quello rituale che, a maggior ragione ora ai sensi della norma dell'art. 824 bis c.p.c. ha efficacia pari a quella della sentenza dell'autorità giudiziaria). Per un approfondimento della questione si rinvia a Roselli, Vitucci, La prescrizione e la decadenza, in Trattato Rescigno, vol. XX, Torino, 1998. |