Alle Sezioni Unite la questione del regime della nullità della CTU

23 Agosto 2021

Nella giurisprudenza di legittimità si è recentemente generato un contrasto sulla natura giuridica della nullità della CTU, e sul conseguente rilievo officioso, o su istanza di parte, della stessa.
Questione controversa

La questione oggetto di dibattito verte sull'ampiezza dei poteri di integrazione istruttoria del C.T.U. e sul regime applicabile alle nullità dell'elaborato peritale, in particolare in relazione all'ipotesi di svolgimento di attività d'indagine su temi non indicati nei quesiti predisposti dal giudice o su circostanze neppure allegate dalle parti, ovvero nel caso di acquisizione di documenti non già ritualmente prodotti dalle parti medesime.

Da un lato, infatti, l'art. 157, comma 2, c.p.c., invocato dall'orientamento giurisprudenziale tradizionale, prevede un regime di nullità relativa degli atti processuali, ritenuto applicabile anche ai vizi della CTU, con la conseguenza che graverebbe sulla parte interessata l'onere di eccepire la nullità dell'elaborato peritale «nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso», restando altrimenti sanata la dedotta nullità; dall'altro, secondo la tesi più recente, ma ancora minoritaria, la violazione del principio dispositivo da parte del C.T.U. (configurabile nel caso di svolgimento di indagini su fatti esulanti dal «thema decidendum» o di acquisizione di documenti non tempestivamente prodotti dalle parti), coerentemente con l'inderogabilità delle norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile (artt. 112, 115 e 183 c.p.c.), comporterebbe la nullità assoluta della CTU, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti.

Orientamenti contrapposti

La giurisprudenza tradizionale fa rientrare tutte le ipotesi di vizi della CTU - comprese quelle inerenti all'eventuale allargamento dell'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, nonché quella consistente nell'aver tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa - nella nullità relativa, che va fatta valere dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata.

Si tratterebbe, dunque, di nullità soggetta al regime dell'art. 157, comma 2, c.p.c., non rilevabile d'ufficio dal giudice (Cass. civ., 15 giugno 2018, n. 15747; Cass. civ., 31 gennaio 2013, n. 2251; Cass. civ., 15 aprile 2002, n. 5422; Cass. civ., 14 agosto 1999, n. 8659).

Tale principio, ad es., è stato affermato in relazione alla nullità della CTU derivante: dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali (Cass. civ., 15 luglio 2016, n. 14532); dall'omesso invio alle parti della bozza di relazione ex art. 195 c.p.c. (Cass. civ., 11 settembre 2018, n. 21984; Cass. civ., 9 ottobre 2017, n. 23493); dall'inosservanza della norma della legge professionale che vieta al geometra ed al perito edile di occuparsi di determinate costruzioni (Cass. civ., 12 novembre 2007, n. 23504); dall'ampliamento dell'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente (Cass. civ., 15 giugno 2018, n. 15747).

Si è, altresì, precisato che il mancato rispetto delle esigenze del contraddittorio dà luogo a nullità della consulenza solo se ed in quanto abbia influito sulle conclusioni del consulente e pregiudicato il diritto di difesa delle parti, per non essere state queste poste in grado di intervenire alle operazioni (Cass. civ., 10 febbraio 2020, n. 3047; Cass. civ., 14 febbraio 2017, n. 3893; Cass. civ., 26 maggio 2016, n. 10933 in relazione alla comunicazione fatta alla parte personalmente e non al difensore costituito; Cass. civ., 7 luglio 2008, n. 18598), cosicché l'eccezione di nullità non può essere generica, dovendo la parte specificare quali lesioni di tale diritto siano conseguite alla denunciata irregolarità (Cass. civ., 7 marzo 2018, n. 5491; Cass. civ., 6 luglio 2010, n. 15874). In senso parzialmente contrario rispetto a quanto da ultimo rilevato, però, si è anche sostenuto che l'espletamento di tutte le attività dell'ausiliario senza alcun coinvolgimento delle parti, alle quali sia mancata qualunque comunicazione sia del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni del consulente, sia di quelli della relativa prosecuzione, implica una lesione autoevidente delle potenzialità di difesa, valutata «ex ante» ed in via preventiva dal legislatore, dalla quale consegue la nullità della consulenza, che, se tempestivamente eccepita, non è sanata dalla mera possibilità di riscontro o verifica «a posteriori» dell'elaborato del consulente (Cass. civ., 18 novembre 2020, n. 26304).

In ogni caso, a prescindere dalla tipologia del vizio inficiante la CTU, secondo l'orientamento tradizionale della giurisprudenza si tratterebbe, pur sempre, di nullità relative che rimangono sanate se non eccepite nella prima udienza o difesa successiva al deposito della consulenza (Cass. civ., 14 gennaio 2011, n. 746; Cass. civ., 29 marzo 2006, n. 7243), anche se si tratta di udienza di mero rinvio per esame della CTU (purchè non vi sia sostanziale contestualità fra l'udienza ed il deposito dell'elaborato: Cass. civ., sez. un., 11 novembre 1991, n. 12008), atteso che la denuncia dei vizi formali non richiede la conoscenza del contenuto della relazione (Cass. civ., 14 febbraio 2013, n. 3716). Se tale eccezione viene disattesa, la parte ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata (Cass. civ., 11 giugno 2014, n. 13230).

Al consolidato orientamento giurisprudenziale si è contrapposta una recente decisione della Suprema Corte, secondo cui, in tema di CTU, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al «thema decidendum» della controversia o l'acquisizione ad opera dell'ausiliare di elementi di prova (ad es., documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti (Cass. civ., 6 dicembre 2019, n. 31886).

Secondo tale innovativa pronuncia, poiché la violazione delle norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (in tal senso, Cass. civ., 26 giugno 2018, n. 16800, in relazione all'onere dell'attore di produrre, a pena di inammissibilità, i documenti costituenti prova del fatto costitutivo della domanda entro il secondo termine di cui all'art. 183 c.p.c., fissato per l'indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali, e ciò indipendentemente dalla tardiva costituzione della controparte oltre il detto termine e dagli argomenti da essa introdotti, atteso che tale circostanza non consente la remissione in termini né l'applicazione del principio di non contestazione), l'ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può - nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti - indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati da queste ultime, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova.

A tale regola può derogarsi solo quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche (c.d. consulenza percipiente, ricorrente, ad es., nel caso di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, attesa l'innegabilità delle conoscenze tecnico-specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità: Cass. civ., 26 febbraio 2013, n. 4792), oppure laddove la consulenza si renda necessaria per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti, e non quando i documenti acquisiti dal C.T.U. riguardino fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Cass. civ., 28 gennaio 2015, n. 1611; Cass. civ., 27 dicembre 2013, n. 28669).

Si sostiene, in particolare, che il principio del carattere relativo della nullità della CTU venne in origine affermato in relazione all'ipotesi di omissione dell'avviso ad una delle parti della data di inizio delle operazioni peritali, ossia ad un vizio di natura procedimentale, inerente alla regolare instaurazione del contraddittorio, in ordine al quale era sembrato corretto riservare alla parte, il cui diritto di difesa fosse stato vulnerato dall'omissione della comunicazione predetta, la facoltà di eccepire la nullità delle operazioni peritali.

Successivamente, però, il principio della nullità relativa venne esteso anche ad altri vizi della CTU, come nel caso di svolgimento delle operazioni peritali su fatti estranei al «thema decidendum» o di acquisizione da parte del C.T.U. di documenti non ritualmente prodotti dalle parti. Tuttavia, tale impostazione - se poteva considerarsi coerente, all'epoca (ossia nella vigenza del rito anteriore alla riforma di cui alla l. 353/90), con un giudizio di cognizione non caratterizzato da rigide barriere e preclusioni istruttorie, in cui tutte le nullità non potevano che essere relative, in mancanza della previsione di termini perentori per il compimento di attività istruttoria - contrasta con l'attuale impianto del processo civile, caratterizzato, invece, da preclusioni assertive ed asseverative la cui violazione è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (in tal senso, anche Cass. civ., 18 marzo 2008, n. 7270).

Pertanto, se il divieto per le parti di compiere attività assertiva ed istruttoria, non più consentita una volta maturate le relative preclusioni, è presidiato da una nullità di carattere assoluto, rilevabile d'ufficio dal giudice anche in caso di acquiescenza delle parti, in quanto preposta alla tutela di un interesse generale, non può non pervenirsi alla medesima conclusione anche in relazione all'operato del C.T.U., che non può violare le predette preclusioni con una condotta foriera di una nullità solo relativa, perché ritenuta diretta alla tutela di un interesse non più generale, ma particolare.

Alla luce di tale orientamento, quindi, mentre le nullità inerenti a violazioni formali e procedimentali (come quelle derivanti dalla mancata comunicazione della data di inizio delle operazioni peritali o della bozza della relazione ai difensori delle parti, o dalla partecipazione alle operazioni peritali di un difensore privo di mandato o di un consulente di parte privo di nomina) resterebbero inquadrate nel regime delle nullità relative, quelle consistenti nella violazione, da parte del C.T.U., del principio dispositivo, ossia di norme (gli artt. 112, 115 e 183 c.p.c.) dettate a tutela di interessi generali - per aver il consulente svolto indagini su fatti mai prospettati dalle parti ovvero per aver acquisito da queste ultime o da terzi documenti che erano nella disponibilità delle parti, e che non furono tempestivamente prodotti - sarebbero da considerare nullità assolute, non sanabili per acquiescenza delle parti e sempre rilevabili d'ufficio (salvo il giudicato), a nulla rilevando che non siano state eccepite nella prima difesa successiva al compimento dell'atto nullo.

Tale conclusione è ulteriormente avvalorata dal rilievo per cui non è consentito al C.T.U. sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare «aliunde» i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua e che non gli siano stati forniti (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa), acquisendoli dalla parte che non li abbia tempestivamente prodotti, nonostante l'opposizione della controparte, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell'onere probatorio, in violazione sia dell'art. 2697 c.c., che del principio del contraddittorio, nonché in spregio al principio del giusto processo, presidiato dall'art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (Cass. civ., 15 settembre 2017, n. 21487; Cass. civ., 19 aprile 2011, n. 8989), principi, questi ultimi, affermati anche dall'art. 6, § 1, CEDU, cui rinvia l'art. 6, comma 3, del Trattato sull'Unione Europea (nel testo consolidato risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con l. 130/2008). In effetti, attribuire al C.T.U. poteri istruttori officiosi altera la parità delle parti e costringe le parti stesse a confrontarsi con fonti di prova acquisite dopo il maturare delle preclusioni istruttorie, rispetto alle quali non potrebbe negarsi loro il diritto alla controprova, con conseguente allungamento dei tempi del processo.

Significativo, sulla stessa scia, è anche il principio affermato da Cass. civ., 30 ottobre 2019, n. 27776, secondo cui, in tema di CTU, anche quando questa sia percipiente, ossia disposta per l'acquisizione di dati la cui valutazione sia rimessa all'ausiliario, quest'ultimo non può avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena l'inutilizzabilità delle conclusioni del consulente fondate sui detti documenti in violazione delle regole di riparto dell'onere probatorio, essendo in conseguenza irrilevante la mancata tempestiva proposizione dell'eccezione di nullità della consulenza.

Rimessione alle Sezioni Unite

La Prima sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanze interlocutorie del 31 marzo 2021 n. 8924 e del 14 aprile 2021, n. 9811, ha quindi rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, atteso che la discrasia giurisprudenziale, venutasi a creare sulla questione del regime e della rilevabilità dei vizi della CTU, oltre ad avere incidenza nei casi concreti sottoposti al vaglio della Suprema Corte (inerenti all'asserita nullità, rispettivamente, di una consulenza contabile perché basata su un documento acquisito d'ufficio dal consulente e di una consulenza grafologica che aveva allargato il campo d'indagine anche a sottoscrizioni non disconosciute), «si palesa, per un verso, di notevole rilevanza sistematica, involgendo i principi fondamentali del processo civile, e, d'altro canto, è gravida di considerevoli conseguenze pratico-operative, giacchè afferisce al regime dei vizi inficianti uno strumento - lato sensu istruttorio - di diffusissima applicazione, quale la consulenza tecnica d'ufficio».

Sono, quindi, evidenti l'incidenza e le pesanti conseguenze che, anche sui processi in corso, potrà avere l'opzione delle Sezioni Unite per l'uno o l'altro orientamento.

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