Conseguenze del mancato deposito del fascicolo di parte in appello: la questione alle Sezioni Unite
28 Giugno 2022
Questione controversa
La questione tornata all'attenzione della giurisprudenza riguarda le conseguenze della mancanza nel giudizio d'appello dei documenti posti dal giudice di primo grado alla base della sua decisione, qualora tale mancanza sia stata determinata dall'omesso deposito in appello del fascicolo di primo grado della parte appellata. L'orientamento espresso in proposito dalle Sezioni Unite con le due note pronunce del 2005 e del 2013 – secondo cui è onere dell'appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame – potrebbe ritenersi non più attuale in conseguenza dell'introduzione del processo civile telematico, che ha portato alla formazione diun unico fascicolo digitale, in cui confluiscono sia gli atti delle parti che i provvedimenti giudiziali, con inevitabile superamento della distinzione tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte presente nelle norme del codice di rito. Poiché, infatti, il giudice d'appello può telematicamente apprendere l'intero fascicolo digitale di primo grado, potrebbe non essere più configurabile l'onere, per la parte appellante, di produrre i documenti acquisiti in primo grado, a pena di rigetto dell'appello per la mancata dimostrazione dei motivi di gravame. Orientamenti contrapposti
Le Sezioni Unite, con la sent., 23 dicembre 2005, n. 28498, partendo dal rilievo per cui il giudizio d'appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (novum judicium), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (revisio prioris instantiae), hanno affermato che grava sull'appellante l'onere di fornire la dimostrazione delle singole censure prospettate, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale. Ciò comporta che l'appellante è tenuto a produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque ad attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, affinchè questi documenti possano essere sottoposti all'esame del giudice di appello. Dovendo, quindi, l'appellante essere inteso quale parte processualmente attrice nell'ambito del giudizio di gravame, spettando allo stesso dimostrare il fondamento delle spiegate censure al fine di superare la presunzione di legittimità che assiste la decisione di primo grado, ne consegue che egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte (ad es., perchè rimasta contumace), quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare. Alcune pronunce si sono, però, discostate da tale indirizzo, essendosi sostenuto che la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello, e non ridepositi quindi i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli (Cass. civ., 8 gennaio 2007, n. 78; Cass. civ., 12 aprile 2006, n. 8528). Sul tema sono ritornate le Sezioni Unite (sent., 8 febbraio 2013, n. 3033), che, riconfermando il loro precedente indirizzo, hanno ribadito che l'appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d'appello, e su di lui ricade l'onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l'appellante si dolga dell'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l'onere di estrarne copia ai sensi dell'art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame. La giurisprudenza successiva (Cass. civ., 9 giugno 2016, n. 11797; Cass. civ., 7 marzo 2017, n. 5622; Cass. civ., 17 dicembre 2021, n. 40606) si è uniformata a tale orientamento, arrivando anche a sostenere che l'appellante può richiedere al giudice che ordini, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., all'appellato non costituito l'esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata, trattandosi non di prove nuove, bensì di prove già acquisite agli atti di causa, rispetto alle quali l'iniziativa dell'appellante è meramente recuperatoria (Cass. civ., 22 gennaio 2013, n. 1462); inoltre, in un'ottica di superamento della distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d'ufficio, si è affermato che «i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell'art. 72, comma 2, disp. att. c.p.c., fintanto che rimangono ivi depositati, perché non ritirati, ai sensi dell'art. 77 disp. att. c.p.c. Ne consegue che, qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d'ufficio ex art. 126 disp. att. c.p.c., la trasmissione dovrà riguardare il fascicolo d'ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati…» (Cass. civ., 19 giugno 2019, n. 16506). Rispetto alle predette pronunce delle Sezioni Unite si è però registrato, negli ultimi anni, un mutamento normativo con l'introduzione del processo civile telematico, che ha portato alla formazione, per ciascun procedimento, di un fascicolo digitale, nel quale confluiscono, come si desume dall'art. 34, co. 1, d.m. 44/2011, sia gli atti inviati telematicamente dagli avvocati, sia tutti gli atti che si formano nel processo ad opera del giudice, dell'ausiliario e del cancelliere. Con la formazione di un fascicolo unico, che raccoglie tutti i documenti, dovrebbe pervenirsi al superamento della distinzione tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte prevista dalle citate disposizioni del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione, con conseguente automatica risoluzione della questione in esame, posto che, non essendo contemplata la possibilità di ritiro dei documenti informatici, questi vengono telematicamente appresi, con piena attuazione del principio di immanenza delle prove, dal giudice di secondo grado con l'acquisizione dell'unico fascicolo ed a prescindere dal comportamento dell'appellato. Ciò comporterebbe anche l'abbandono dell'orientamento che, basandosi sulla distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d'ufficio, sostiene che il giudice di appello non può tenere conto dei documenti del fascicolo della parte, sebbene sia stato trasmesso dal cancelliere del giudice di primo grado con il fascicolo di ufficio, qualora detta parte, già presente nel giudizio di primo grado, non si sia costituita in quello di appello (Cass. civ., 8 gennaio 2007, n. 78; Cass. civ., 17 novembre 2020, n. 26115, che, in relazione al processo tributario, ha statuito che «i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d'ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 25 del d.lgs. 546/1992, e non possono essere ritirati dalle parti, che possono solo acquisire copia autentica dei documenti e degli atti ivi contenuti»). Tuttavia, il superamento del sistema cartaceo è ben lungi dall'essere completato: se per quanto concerne il giudice di pace il processo telematico è ancora in fase sperimentale (il d.l. 80/2021 ha prorogato al 31 ottobre 2025 l'applicazione del processo telematico ai procedimenti davanti al medesimo), anche nei tribunali si ha una situazione “mista”, di deposito telematico e cartaceo degli atti e documenti. Infatti, dapprima, con l'art. 16-bis d.l. 179/2012 e con il d.l. 90/2014 si è introdotto nei tribunali, a decorrere dal 30 giugno 2014, l'obbligo del deposito telematico degli atti delle parti, ma soltanto ove queste siano già costituite, sicchè l'obbligo del deposito telematico non vale per le prove documentali depositate all'atto della costituzione in giudizio. L'art. 221 d.l. 34/2020, che ha dettato misure urgenti connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, ha previsto, al comma 3, che gli atti e i documenti sono depositati esclusivamente con le modalità telematiche, ma questo solo «negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico» e con previsione appunto limitata al periodo emergenziale (fermo restando che il testo della l. 206/2021, contenente la delega per l'efficienza del processo civile, dispone che «nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d'appello e alla Corte di cassazione, il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche»). Allo stato, quindi, per quanto concerne i giudizi di primo grado, può accadere che le prove precostituite siano state depositate in modo telematico ovvero in modo misto, alcune telematicamente e alcune in formato cartaceo, ovvero ancora tutte in formato cartaceo. Queste differenze offrono lo spunto per riflettere sull'opportunità di rivedere l'orientamento espresso nel 2005 e nel 2013 dalle Sezioni Unite, anche in relazione alle situazioni in cui i documenti che hanno portato all'accoglimento della domanda di primo grado non sono disponibili in appello perché, depositati in formato cartaceo in primo grado, non sono stati ridepositati in appello. Tale rivisitazione non deve necessariamente comportare l'abbandono della impostazione teorica proposta dalle Sezioni Unite, che vuole l'appellante tenuto a fornire «la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata». Potrebbe infatti, più semplicemente, essere valorizzato quanto affermato nella pronuncia n. 28498/2005 (in qualche modo pretermesso nella pronuncia n. 3033/2013) circa la necessità, a tutela dell'interesse al corretto esercizio dell'attività giurisdizionale e del principio di acquisizione delle prove, di subordinare il ritiro del fascicolo di parte al deposito dei documenti probatori in esso inseriti, ricavando la prescrizione dalla necessità che il ritiro sia autorizzato dal giudice (art. 77 disp. att. c.p.c.), ovvero ancora potrebbe essere considerato quanto sostenuto da alcune pronunzie circa la possibilità per il giudice d'appello di ordinare alla parte il deposito dei documenti che ritenga necessari al fine della decisione (in tal senso, la citata Cass. 1462/2013), potere che è d'altro canto riconosciuto al giudice d'appello dall'art. 123-bis disp. att. c.p.c., sia pure in relazione all'impugnazione della sentenza non definitiva. Rimessione alle Sezioni Unite
La Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 9 maggio 2022, n. 14534, ha quindi rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, affinchè queste si pronuncino sui seguenti profili:
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