Le Sezioni Unite si pronunciano sulle conseguenze della caducazione del titolo esecutivo nel corso del giudizio di opposizione
05 Ottobre 2021
Questione controversa
La questione oggetto di rimessione al Primo Presidente affinché valuti se sottoporla all'attenzione delle Sezioni Unite nasce dalla seguente vicenda: avverso un'intimazione di sfratto per morosità, convalidata per mancata opposizione del conduttore intimato, veniva proposta dal medesimo intimato opposizione tardiva alla convalida, la quale veniva però rigettata nel merito. La sentenza veniva appellata, ma, nelle more del giudizio di secondo grado, i proprietari dell'immobile iniziavano l'esecuzione forzata per rilascio. Il conduttore proponeva, allora, opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., la quale, tuttavia, veniva rigettata. Nel frattempo la Corte di appello accoglieva l'opposizione tardiva alla convalida proposta, dichiarando la nullità dell'ordinanza di convalida emessa in assenza dell'intimato e respingendo la domanda di risoluzione del contratto locativo per difetto di legittimazione attiva degli attori all'esercizio dell'azione. Il conduttore proponeva, quindi, appello avverso la sentenza di rigetto dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., allegando l'intervenuta revoca del titolo esecutivo, cioè della ordinanza di convalida di sfratto. La Corte di appello rigettava l'appello, affermando che, trattandosi di fatto estintivo successivo, non poteva essere preso in considerazione, dato che nel giudizio di opposizione all'esecuzione può riconoscersi rilevanza solo ai fatti sopravvenuti idonei a determinare l'inesistenza del titolo esecutivo. Il conduttore proponeva, dunque, ricorso per cassazione. La terza sezione adita ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente rilevando che sulla questione processuale relativa alla rilevanza della caducazione del titolo esecutivo giudiziale nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, con riferimento alla decisione da adottare ed anche alle conseguenti ricadute in ordine alla liquidazione delle spese di lite vi è un contrasto giurisprudenziale. Il collegio ritiene, altresì, che anche un'altra questione, sollevata nel caso di specie, meriti un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, integrando una questione di massima di particolare importanza, la quale concerne la corretta individuazione del giudice competente avanti a cui proporre la domanda risarcitoria dei danni provocati da una esecuzione intrapresa in difetto della normale prudenza ex art. 96, comma 2, c.p.c. (dovuta dalla caducazione del titolo esecutivo): ci si chiede se tale domanda risarcitoria vada proposta nel giudizio sul merito in cui si contesta il titolo oppure nel giudizio di opposizione all'esecuzione. I ricorrenti avevano, infatti, proposto, in sede di opposizione all'esecuzione avverso un'ordinanza di convalida di sfratto, sia una domanda di risarcimento danni c.d. generica, sia la domanda per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c., dichiarate inammissibili dalla Corte d'appello. Quest'ultima, infatti, aveva affermato che il giudice competente a decidere sulla responsabilità processuale fosse il giudice che aveva accertato l'inesistenza del diritto per il quale si è proceduto ad esecuzione forzata. Orientamenti contrapposti
La Corte è chiamata, dunque, a risolvere le problematiche connesse all'efficacia da attribuire alla caducazione del titolo esecutivo nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione ed alle sue conseguenze in ordine alla liquidazione delle spese di lite. Secondo un orientamento fatto proprio dalla terza Sezione, in sede di opposizione all'esecuzione la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, in conformità del generale principio della domanda, non determina ex se la fondatezza dell'opposizione ed il suo accoglimento, bensì la cessazione della materia del contendere per difetto di interesse, sicché, nel regolare le spese dell'intero giudizio, il giudice dell'opposizione non può porle senz'altro a favore dell'opponente,ma deve utilizzare il criterio della soccombenza virtuale, secondo il principio di causalità, considerando, a tal fine, l'intera vicenda processuale. Secondo quest'indirizzo la soluzione proposta consente di rispettare il principio della domanda che nelle opposizioni esecutive (ed agli atti esecutivi in particolare) riceve una ulteriore cristallizzazione in virtù della tipologia dei motivi legittimanti la proposizione di ciascuna categoria di opposizione e della delimitazione dell'oggetto della opposizione all'esame dei motivi concretamente proposti. Si ritiene, infatti, che il principio sarebbe violato ove si optasse per la tesi secondo cui nell'ambito del giudizio di opposizione all'esecuzione la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, benché sia intervenuta per motivi del tutto autonomi e diversi da quelli rispetto ai quali era stata proposta originariamente l'opposizione, porti tout court all'accoglimento dell'opposizione (cfr. Cass. civ., 17 gennaio 2020, n. 1005; Cass. civ., 11 dicembre 2018, n. 31955; Cass. civ., 29 novembre 2018, n. 30857; Cass. civ., 9 marzo 2017, n. 6016). Seguendo tale tesi, inoltre, il giudice dell'opposizione non potrà riconoscere le spese a favore dell'opponente, ma dovrà utilizzare il criterio della soccombenza virtuale, secondo il principio di causalità, considerando, a tal fine, l'intera vicenda processuale e, in particolare, i motivi sui quali era stata basata l'opposizione. La Suprema Corte, infatti, ha ribadito come il principio di causalità rispetto alla domanda svolta informi l'onere delle spese; tale principio, peraltro, risulta ulteriormente declinato nella regola generale della soccombenza virtuale, afferente alla regolazione delle spese nell'ipotesi di cessazione della materia del contendere. Ove si abbandonasse tale strada, la redistribuzione dei costi di lite sarebbe basata sull'inaccettabile criterio temporale della caducazione del titolo, suscettibile addirittura di incentivare utilizzi strumentali delle opposizioni esecutive. Secondo un altro orientamento, recentemente ripreso dalla seconda Sezione della Corte di cassazione, invece, «l'accertamento dell'idoneità del titolo a legittimare l'azione esecutiva si pone come preliminare dal punto di vista logico per la decisione sui motivi di opposizione, anche se questi non investano direttamente la questione. Pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto del preliminare rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, per qualunque motivo sia stata proposta, l'opposizione deve ritenersi fondata, e in tale situazione il giudice dell'opposizione non può, in violazione del principio di soccombenza, condannare l'opponente al pagamento delle spese processuali, sulla base della disamina dei motivi proposti, risultando detti motivi assorbiti dal rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo con conseguente illegittimità ex tunc dell'esecuzione» (cfr. Cass. civ., 9 agosto 2019, n. 21240; Cass. civ., 6 settembre 2017, n. 20868; Cass. civ., 13 marzo 2012, n. 3977). Secondo tale impostazione, l'esecuzione diviene ingiusta se, durante lo svolgimento del processo esecutivo, viene cassata la sentenza posta in esecuzione. La sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, rilevabile anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo, causa il venir meno del presupposto fondamentale dell'azione esecutiva, determinando, di conseguenza, l'illegittimità dell'esecuzione forzata con effetto ex tunc. Il giudice, pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere per effetto dell'avvenuta caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione, per qualunque motivo sia stata proposta, dovrà ritenere fondata l'opposizione e porre, pertanto, le spese a carico dell'opposto. In conclusione, se da un lato, le pronunce riportate sono concordi sulla definizione della causa con una pronuncia di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse, giacché venuto meno il titolo, viene meno ogni interesse alla decisione nel merito dell'opposizione, dall'altro lato, non si può non evidenziare che il contrasto sul criterio da utilizzare per il riparto delle spese di lite permane. Su tale terreno le due tesi restano distanti: l'una fondata sul criterio della soccombenza virtuale, secondo il principio di causalità, e l'altra sulla automaticità della fondatezza dell'opposizione proposta e della conseguente soccombenza del creditore opposto. Rimessione alle Sezioni Unite
La terza Sezione civile, con la pronuncia in esame, dato il contrasto esistente tra le sezioni semplici, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della seguente questione di diritto: se la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo (giudiziale) determini la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione all'esecuzione forzata (promossa o minacciata sulla scorta di quel titolo) e comporti la regolazione delle spese secondo il criterio della soccombenza virtuale, oppure conduca all'accoglimento dell'opposizione all'esecuzione o, alternativamente, alla cessazione della materia del contendere, ma in ogni caso con liquidazione delle spese di lite in favore dell'opponente (salva la facoltà di compensazione), indipendentemente dai motivi posti a fondamento dell'opposizione esecutiva, da reputarsi ex se fondata ab origine. Con la medesima ordinanza la terza Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza concernente la sede processuale – giudizio di merito ovvero giudizio in cui si contesta il titolo esecutivo oppure giudizio di opposizione all'esecuzione – nella quale proporre le domande di risarcimento dei danni provocati da una esecuzione intrapresa in difetto della normale prudenza, specialmente nel caso in cui la procedura sia avviata sulla scorta di un titolo esecutivo giudiziale provvisorio. Soluzione
Pur pronunciando la cassazione senza rinvio, ex art. art. 382, 3 comma, c.p.c., della sentenza impugnata, a causa della tardività dell'appello proposto avverso la decisione di primo grado, le Sezioni Unite, avvalendosi del meccanismo di cui all'art. 363, 3 comma, c.p.c., hanno ritenuto opportuno pronunciarsi sui quesiti ad esse posti dall'ordinanza interlocutoria, trattandosi di questioni di particolare importanza anche alla luce della giurisprudenza della stessa Corte di legittimità, a mente della quale l'enunciazione del principio di diritto è consentita in caso di estinzione del giudizio di cassazione per rinuncia (Cass civ., sez. un., 6 settembre 2010, n. 19051) ed anche in presenza di un singolo motivo di ricorso inammissibile, benché all'esito di una pronuncia di complessivo rigetto del ricorso (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601). Ciò posto, la S.C., premessa l'immanenza nel nostro ordinamento del principio nulla executio sine titulo, ha ricordato - a dimostrazione di quanto sia importante che un titolo esecutivo valido ed efficace esista sin dall'inizio dell'esecuzione e permanga per tutta la durata dello stesso - che «il giudice dell'opposizione all'esecuzione è tenuto a compiere d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità, la verifica sull'esistenza del titolo esecutivo, rilevandone l'eventuale sopravvenuta carenza». Hanno pertanto osservato che, laddove nel corso del giudizio di opposizione il giudice adito accerti il venir meno - per qualunque causa - del titolo esecutivo, deve escludersi che il giudizio di opposizione all'esecuzione possa concludersi con il suo accoglimento, dovendo il giudice pronunciare la cessazione della materia del contendere quali che siano le ragioni poste a fondamento dell'opposizione, giacché l'inesistenza sopravvenuta del titolo, avendo efficacia ex tunc, rende irrilevanti i motivi posti a fondamento dell'opposizione, in quanto superati «per effetto del preliminare rilievo dell'avvenuta caducazione del titolo». Fissati questi punti fermi, comuni ad entrambi i contrapposti orientamenti riportati nel precedente paragrafo, le SS. UU. ritengono di dover accogliere la tesi a mente della quale a seguito della pronuncia di cessazione della materia del contendere deve conseguire la regolazione delle spese secondo i criteri della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione. Più precisamente, poiché costituisce principio pacifico quello secondo cui nelle opposizioni esecutive non è consentito proporre motivi di contestazione diversi ed ulteriori rispetto a quelli già fatto valere nel ricorso introduttivo, giacché anche in questi giudizi si impone il rigoroso rispetto del principio della domanda (Cass. civ., 14 dicembre 2020, n. 28387), deve ritenersi che «la caducazione del titolo esecutivo giudiziale avvenuta in sede di cognizione rappresenta […] un evento esterno, rispetto al quale i motivi dell'opposizione all'esecuzione possono coincidere o meno». Se ciò è vero, allora, ritenere che in tale ipotesi l'opposizione proposta sia da ritenere fondata, significa ammettere la possibilità per il giudice di accoglierla per motivi diversi da quelli effettivamente proposti; «il che risulta disarmonico rispetto alla ricostruzione del sistema». Tale conclusione, ad avviso della Corte, si giustifica anche per altri due motivi. Il primo è rappresentato dalla necessità di evitare la proposizione di opposizioni strumentali da parte del debitore, il quale potrebbe sollevare un'opposizione infondata nella speranza di lucrare le relative spese in caso di successiva caducazione del titolo; il secondo motivo è dato dalla circostanza che la liquidazione delle spese del giudizio di opposizione all'esecuzione secondo il criterio della soccombenza virtuale non solo permette al giudice dell'opposizione di verificare se e in quale misura, a prescindere dalla caducazione del titolo avvenuta nella diversa sede di cognizione, l'opposizione sia o meno fondata, ma soprattutto che esso «è quello normalmente assunto quando il giudizio si conclude con la cessazione della materia del contendere». Ora, a prescindere dalla condivisibilità o meno della tesi propugnata, merita in questa sede di essere osservato come le SS.UU. non abbiano tenuto in adeguata considerazione che la soluzione di siffatta questione produce una serie di conseguenze di particolare rilievo di carattere sistematico, le quali, pertanto, avrebbero meritato una più ampia riflessione. Ci si limiti a due brevi osservazioni. La prima. Ponendosi il solo problema del rilievo della caducazione del titolo esecutivo da parte del giudice dell'opposizione all'esecuzione, le SS. UU. scelgono di non prendere in considerazione il problema della rilevabilità ufficiosa dell'inesistenza originaria del titolo da parte del g.e., né, di conseguenza, di effettuare un coordinamento di tale potere con quello del giudice dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. Come è stato al riguardo autorevolmente notato, (Luiso, L'esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 94 ss.), infatti, laddove si consentisse al g.e. di dichiarare di ufficio la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, si potrebbe giungere all'assurdo che la stessa questione (l'esistenza del titolo esecutivo) sia passibile di decisione da parte di due giudici diversi a seconda del dato del tutto casuale se l'ufficio esecutivo abbia o meno esercitato il potere di rilevare la sopravvenuta mancanza del titolo, in quanto nel primo caso la questione sarebbe di competenza del giudice dell'opposizione agli atti, proposta dal creditore procedente, nel secondo dal giudice dell'opposizione all'esecuzione, al quale il debitore potrebbe rivolgersi. La Corte, in secondo luogo, pare implicitamente (ma, date le conseguenze, sarebbe stata opportuna un'affermazione esplicita sul punto) aderire alla tesi dell'oggetto ristretto del giudizio di opposizione all'esecuzione, come tale riguardante il solo diritto di procedere in executivis. Difatti, sposando la diversa tesi che estende l'efficacia del giudicato della decisione sull'opposizione esecutiva all'esistenza del diritto di credito parrebbe doversi escludere la possibilità di pronunciare una sentenza di cessazione della materia del contendere, in quanto la semplice fine dell'esecuzione non è in grado di esaurire l'interesse del debitore ad una pronuncia che, ad ogni effetto, accerti l'inesistenza del diritto stesso. Queste brevi osservazioni rendono dunque evidente come una parola chiara della Corte sarebbe stata assai opportuna, in quanto «in grado di evitare contrastanti soluzioni che, come visto, non attengono solo a profili di “estetica “processuale» (Scala, Sugli effetti nel giudizio di opposizione all'esecuzione della sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo: la parola alle Sezioni Unite, in corso di pubblicazione). La seconda questione sottoposta alle Sezioni Unite riguarda l'individuazione del giudice competente ad emettere la pronuncia di risarcimento danni, ex art. 96, comma 2, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto l'esecuzione forzata senza la normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato. Sul punto, la Corte ribadisce il tradizionale orientamento, a mente del quale, trattandosi di un illecito processuale, la competenza a decidere sulla domanda di risarcimento del danno spetta al giudice della causa nella quale il comportamento scorretto è stato tenuto (v., tra le altre, Cass. civ., 27 maggio 1987, n. 4731; Cass. civ., 26 novembre 1992, n. 12642; Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12952); più precisamente, con riguardo alla specifica ipotesi portata all'attenzione della S.C., competente è «il giudice del processo nell'ambito del quale il titolo esecutivo si è formato, quando trattasi di titolo esecutivo giudiziale» e, dunque, il giudice del grado di appello (o dell'opposizione a decreto ingiuntivo) o, laddove sia stata proposta opposizione all'esecuzione, il giudice di quest'ultimo giudizio «perché è quello il giudice cui è demandato l'accertamento dell'ingiustizia dell'esecuzione forzata» (Cass. civ., 23 gennaio 2013, n. 1590; Cass. civ., 14 luglio 2015, n. 1465). La concentrazione nel medesimo giudizio delle azioni permette infatti di ridurre il contenzioso, così evitando lo spreco di attività giurisdizionale»; al contrario, ritenere possibile la proposizione dell'azione di risarcimento del danno in un giudizio autonomo condurrebbe a risultati «paradossali», ben potendo verificarsi l'eventualità che la parte la quale ha agito con mala fede o colpa grave «possa vedersi compensate le spese di lite nel giudizio presupposto, e soccombere nel giudizio di responsabilità ex art. 96 c.p.c.». Le Sezioni Unite, pertanto, concludono nel senso che la domanda di cui all'art. 96, comma 2, c.p.c. va proposta nel giudizio di cognizione in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale. «Ricorrendo, invece, quest'ultima ipotesi, la domanda andrà posta al giudice dell'opposizione all'esecuzione; e, solamente quando sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all'esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo».
Riferimenti:
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