La correzione dell'errore materiale sulle spese di lite alle Sezioni Unite
01 Agosto 2018
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L'art. 287 c.p.c. prevede la possibilità di correzione di sentenze (non appellate) ed ordinanze (non revocabili) in caso in cui il giudice sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo. Il procedimento di correzione persegue la finalità di correggere le statuizioni errate nei limiti anzidetti. Nella sentenza in commento si affronta la specifica questione della possibile correzione della sentenza in caso di mancata liquidazione delle spese nella parte dispositiva della sentenza ove, invece, nella motivazione, il giudice aveva espressamente pronunciato sul punto, ponendole a carico della parte soccombente. Il tema affrontato coinvolge la stessa nozione dell'errore materiale e della qualificazione della attività del giudice nella determinazione delle spese processuali. Con riguardo al primo aspetto la stessa sentenza sottolinea come nella elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale i confini dell'errore materiale siano stati costantemente riaggiornati passando dal concetto di «errore materiale in contrapposizione all'errore di giudizio» rispetto al quale la correggibilità è in funzione non già della stessa formazione del giudizio ma solo della documentazione del giudizio stesso, per addivenire alla individuazione dell'errore come attinente alla difformità tra «il concetto della sentenza e la sua materiale espressione». Si è esclusa ogni indagine sulla volontà del giudice ponendo in rilievo il solo «difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione nel provvedimento». Il richiamo alla sentenza n. 16037/2010 delle Sezioni Unite, affermativa della correttezza della procedura della correzione dell'errore materiale in caso di omessa pronuncia sulla istanza di distrazione delle spese processuali, segna il decisivo passo avanti nella interpretazione dell'errore materiale in quanto nel corpo della decisione la Corte evidenzia la propria adesione al concetto di errore materiale, anche omissivo, determinato dalla mancata statuizione, obbligatoria per il giudice, a contenuto predeterminato e comunque consequenziale al complessivo decisum. Si tratta di ipotesi nelle quali «quello che si “ricostruisce” non è la volontà “soggettiva” del giudice emergente dallo stesso atto, bensì la sua volontà “oggettiva”, da considerarsi (necessariamente) immanente nell'atto per dettato ordinamentale». Nel concetto espresso devono ritenersi ricomprese tutte le ipotesi in cui «la decisione positiva (sulla istanza) è essenzialmente obbligata da parte (…del giudice), e la relativa declaratoria necessariamente “accede” nel decisum complessivo della controversia, senza, in fondo, assumere una propria autonomia formale». La natura accessoria della liquidazione delle spese è legata allo svolgimento di una operazione tecnico-contabile da parte del giudice nei limiti dei parametri contenuti nella legge, e tale da non alterare, nella sua eventuale omissione, il contenuto della decisione complessiva resa dal giudice sulla domanda proposta. Due, quindi, le condizioni individuate dalle Sezioni Unite del 2010: il carattere obbligatorio della pronuncia e la sua natura accessoria. A queste deve aggiungersi il limite “esterno” posto alla possibilità di correzione, e cioè la presenza nella parte motiva della sentenza della statuizione invece omessa nel dispositivo. Dai predetti requisiti parte la decisione in commento per confermarne l'attualità, anche valutando la applicabilità del procedimento di correzione, così come ricostruito, ai procedimenti trattati con il rito del lavoro, per i quali la anticipata lettura del dispositivo in udienza potrebbe essere di ostacolo rispetto alla necessaria condizione di presenza nella motivazione (successiva). b
dell'errore materiale il mezzo esperibile per le spese omesse (Cass. civ., n. 3007/1973), partivano dal presupposto che ciò era inevitabile con riferimento al ricorso per cassazione in quanto non poteva «la Suprema Corte disporre la correzione di errori materiali contenuti nelle sentenze dei giudici di merito». Successivamente, nel solco della correzione, è stato chiarito che «l'omissione riscontrata riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi» (Cass. civ., n. 19229/2009). Con la sentenza n. 16959/2014 il Supremo Collegio torna a dire che «La procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l'omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell'estensore». A questa fanno seguito la decisione Cass. civ., n. 15650/2016 e Cass. civ., n. 11215/2018 confermative dell'orientamento favorevole alla correzione.
Sul fronte opposto, alla metà degli anni '90, il Giudice di legittimità si era attestato sull'orientamento di esclusione della possibilità della correzione rilevando che «la mancata statuizione delle spese del giudizio integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto» (Cass. civ. n. 2869/1995; cfr. Cass. civ., n. 3570/1997; Cass. civ., n. 12297/1993). L'orientamento è stato confermato anche in anni più recenti con le sentenze Cass. civ., n. 255/2006; Cass. civ., n.19229/2009 e successivamente, non molto addietro, con Cass. civ., n.17221/2014 seguita da Cass. civ., n. 4170/2017. In entrambe è affermato che «La sentenza che contenga una corretta statuizione sulle spese nella parte motiva, conforme al principio della soccombenza, ma non contenga poi alcuna liquidazione di esse nel dispositivo, non è emendabile con la procedura di correzione dell'errore materiale, in quanto, ai fini della concreta determinazione e quantificazione delle spese, si rende necessaria la pronuncia del giudice». In questo periodo si inserisce anche la decisione delle Sezioni Unite n. 11348/2013 che afferma: «È inammissibile l'istanza di correzione degli errori materiali proposta avverso un'ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione la quale, dopo aver dichiarato in motivazione che il ricorrente, in ragione della sua totale soccombenza, era tenuto al rimborso delle spese in favore delle parti vittoriose, abbia nel dispositivo compensato per intero le stesse tra le parti, atteso che la composizione del contrasto logico esistente tra motivazione e dispositivo presuppone un'attività di interpretazione dell'effettivo decisum non consentita in sede di correzione». Le date delle decisioni appalesano il contrasto creatosi tra orientamenti coevi.
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La Seconda Sezione civile della Corte di cassazione con ordinanza interlocutoria n. 21048/2017 dell'11/9/2017, ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare «l'opportunità di demandare l'esame della controversia alla Sezioni Unite, evidenziando un contrasto nella giurisprudenza di legittimità relativo alla questione oggetto del ricorso incidentale e chiedendo di chiarire se, a fronte della mancata liquidazione delle spese in dispositivo, debba farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 287 c.p.c. o esperire gli ordinari mezzi di impugnazione». Il Primo Presidente ha rimesso a queste Sezioni Unite la seguente questione ritenuta di particolare importanza: «se a fronte della mancata liquidazione delle spese in dispositivo, sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve esperire gli ordinari mezzi di impugnazione oppure fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss.c.p.c.». d
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 16415/2018 resa all'udienza del 30 gennaio 2018, ha risolto il predetto contrasto giurisprudenziale affermando il principio di diritto secondo cui «a fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art.429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss.c.p.c. per ottenerne la quantificazione». La soluzione adottata ritiene quindi preferibile l'orientamento espresso da Cass. civ., n. 15650/2016 e Cass. civ., n. 11215/2018, e lo fa esprimendo le ragioni che, partendo dai caratteri identificativi dell'errore materiale (come già individuati dalla precedente decisione delle Sezioni Unite n. 16037/2010), conducono a rendere possibile la correzione di quelle «statuizioni che avrebbero dovuto essere emesse dal giudice senza margine di discrezionalità in forza di un obbligo normativo, per poi estenderla a qualsiasi errore anche non omissivo che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria, consequenziale a contenuto predeterminato ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio». Precisano le Sezioni Unite che la omessa statuizione sulle spese processuali rientra in questa possibilità solo nei casi in cui la parte motiva della sentenza contenga la relativa statuizione di condanna del soccombente al pagamento delle spese; solo in tal caso la omissione nel dispositivo non costituisce divergenza tale da dar luogo a contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo. La precisazione non è di poco conto, poichè esclude la possibilità di richiedere la correzione in tutte le ipotesi in cui la omissione riguardi l'intera decisione nella quale manchi del tutto ogni decisione inerente le spese. La Corte precisa peraltro che la decisione in tal senso limitativa è coerente e conseguente alla stessa attività di liquidazione delle spese svolta dal giudice, consistente nello «svolgimento di un'operazione tecnico esecutiva da realizzare sulla scorta di presupposti e parametri oggettivi fissati dalla legge, e nei limiti quantitativi in essa previsti; quindi la liquidazione vera e propria è un'attività di carattere materiale volto a completare la statuizione». Da ciò consegue che, una volta inserita nella motivazione la condanna del soccombente al pagamento delle spese, l'omissione degli importi nel dispositivo è parte integrabile con la correzione dell'errore attinente al carattere materiale della attività necessaria. L'interpretazione adottata è ritenuta applicabile dalle Sezioni Unite anche alle correzioni degli errori materiali nei procedimenti trattati con lo speciale rito del lavoro allorchè, il dispositivo letto in udienza manchi della liquidazione delle spese processuali. In tale ipotesi, in realtà, la motivazione della sentenza può in taluni casi seguire di qualche giorno il dispositivo (l'art. 429 c.p.c. prevede infatti per le controversie di particolare complessità la possibilità di stabilire nello stesso dispositivo letto in udienza, il termine per il deposito della motivazione ), e dunque la funzione integrativa potrebbe risultare in contrasto con quanto sopra affermato circa l'emendabilità della sola omissione materiale di determinazione del quantum delle spese. La Corte rileva in proposito il necessario coordinamento tra il principio di relativo alla portata precettiva della sentenza che per la sua identificazione richiede la complessiva valutazione e considerazione sia del dispositivo che della motivazione, (Cass. civ., n. 15088/2015; Cass. civ., n. 9244/2007), ed il principio secondo il quale, nel rito del lavoro, l'effetto integrativo sopra descritto non può comunque spingersi a far ritenere inseribile in motivazione ciò che il dispositivo letto in udienza non contiene affatto. Quest'ultimo, infatti, in caso di contrasto tra le parti della sentenza risulta avere prevalenza. A riguardo Cass.civ., n. 12841/2016 ha recentemente ribadito che «nel rito del lavoro la prevalenza del dispositivo sulla motivazione è circoscritta alle ipotesi in cui vi è contrasto tra le due parti della pronuncia, mentre, ove l'incompatibilità manchi, la portata precettiva della pronuncia va individuata integrando il dispositivo con la motivazione» (cfr. Cass. civ., n. 15488/2015). Le Sezioni Unite, partendo dall'esposto principio e quindi dalla prevalenza del dispositivo solo in caso di contrasto, escludono che questo sia riscontrabile nell'ipotesi di omessa liquidazione delle spese processuali, in quanto questa è agevolmente sanabile con la procedura di correzione, dando atto, nella motivazione, dell'obbligo a carico del soccombente del pagamento delle stesse. Al ragionamento, piuttosto articolato, potrebbe anche aggiungersi che anche in ipotesi di lettura del dispositivo privo della regolamentazione delle spese, dallo stesso è comunque evincibile il contenuto della decisione di merito , rispetto alla quale risulta identificabile la parte soccombente e dunque determinabili, in ragione della necessitata applicazione del principio di soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., le spese da liquidare (come detto, attraverso una mera attività contabile). Si tratta anche in questa ipotesi di dare seguito al principio sopra evidenziato secondo cui vi è necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria, consequenziale a contenuto predeterminato ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio. Ulteriore effetto positivo della soluzione adottata è anche la copertura del vuoto di tutela in caso in cui la omissione sulla liquidazione delle spese riguardi le sentenze della Corte di cassazione. Le Sezioni Unite rilevano che la qualificazione di errore materiale meglio si concilia con la possibilità di emendamento previsto dagli artt. 391-bis e terc.p.c., facendo, questi ultimi, riferimento ai soli errori materiali. La differente qualificazione di errore di giudizio avrebbe infatti impedito l'operatività di detti rimedi nelle ipotesi di omissione qui considerate. La decisione in commento definisce infine il procedimento di correzione dell'errore materiale (in presenza dei presupposti che lo consentano), quale «scelta funzionale alla realizzazione dei principi costituzionali della ragionevole durata del processo e del giusto processo. L'art. 111 Cost., nel canonizzare il principio del giusto processo, reca l'affermazione per cui “la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo” (comma 2). Il procedimento di correzione degli errori materiali è il più consono a salvaguardare l'effettività di tale principio che impone al giudice, anche nell'interpretazione dei rimedi processuali, di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa, evitando l' inutile dispendio di attività processuali ,non giustificate né dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, nè da effettive garanzie di difesa. Tale rimedio garantisce maggiore celerità, lasciando salvo il diritto delle parti all'esercizio degli ordinari rimedi impugnatori, che ai sensi dell'art.288 comma 4, c.p.c. possono essere comunque proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze». Il richiamo ai principi del giusto processo e della celerità dei procedimenti quale contenuto della tutela garantita dall'art. 111 Cost. esplicita ancora una volta la attenzione del Supremo Collegio per i temi in questione e per la loro effettiva traduzione nelle scelte giurisprudenziali assunte.
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