Integrazione ex officio di prove testimoniali
07 Luglio 2022
La Corte di cassazione nell'ordinanza ha esaminato la questione dei limiti entro i quali il giudice può disporre d'ufficio l'audizione di nuovi testimoni ai sensi dell'art. 257 c.p.c., ossia persone indicate da altri testimoni a conoscenza dei fatti di causa.
La questione si poneva nell'ambito di una controversia promossa da alcuni investitori confronti di una banca, riguardante operazioni di investimento effettuate in assenza di adeguata informazione sui profili di rischio da parte dell'intermediario finanziario.
In primo grado il Tribunale dichiarava risolto il contratto relativo all'acquisto di bond argentini e condannava la banca al pagamento della differenza tra il valore di acquisto dei titoli e quello di rivendita, con pronuncia confermata in appello.
La banca impugnava tale decisione in sede di legittimità denunciando la violazione dell'art. 257 c.p.c., in quanto la Corte d'appello aveva errato nel disattendere l'istanza istruttoria volta all'assunzione della testimonianza dei dipendenti della banca.
In particolare, la ricorrente deduceva di aver ritualmente e tempestivamente articolato, nel corso del giudizio di primo grado, prova testimoniale volta a dimostrare il corretto adempimento dei suoi obblighi informativi nei confronti degli investitori.
Tale prova era stata ritenuta ammissibile dal Tribunale ed assunta tramite l'escussione del teste S. che, tuttavia, non era stato in grado di riferire le concrete modalità di svolgimento delle operazioni di acquisto, essendosi solo limitato a sottoscrivere l'ordine.
Il teste aveva però riferito che le predette operazioni erano state curate da altri soggetti, per i quali l'odierna ricorrente aveva formulato istanza ex art. 257 c.p.c. affinchè gli stessi fossero chiamati a deporre in quanto a diretta conoscenza dei fatti.
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo inammissibile ricordando che, secondo i consolidati principi affermati dalla Corte di legittimità, «l'integrazione ex officio delle prove testimoniali, ai sensi dell'art. 257, comma 1, c.p.c., è espressione della facoltà discrezionale, esercitabile dal giudice quando ritenga che, dalla escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possano trarsi elementi utili alla formazione del proprio convincimento.
Ha inoltre precisato che «l'esercizio, o il mancato esercizio, di tale facoltà presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, come tale incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione». (Cass. civ., n. 5706/1997; Cass. civ., n. 10077/2000). |