Azione di responsabilità contro l'organo amministrativo per aver ritardato la liquidazione della società

Matteo Lorenzo Manfredi
08 Luglio 2022

La sistematica scelta dell'organo amministrativo di non provvedere o ritardare il pagamento delle imposte alle relative scadenze, determinando il sorgere di un debito della società per sanzioni e interessi verso terzi, con depauperamento della fallita, è fonte di danno risarcibile...
Massima

La sistematica scelta dell'organo amministrativo di non provvedere o ritardare il pagamento delle imposte alle relative scadenze, determinando il sorgere di un debito della società per sanzioni e interessi verso terzi, con depauperamento della fallita, è fonte di danno risarcibile indipendentemente dal ricorrere di ipotesi di scioglimento della società per perdita del capitale sociale e/o impossibilità di conseguirne l'oggetto. Tale danno appare risarcibile indipendentemente dagli ulteriori ed eventuali profili di danno.

Il caso

Il Curatore del Fallimento di una s.r.l. ha promosso azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori della fallita per aver ritardato la messa in liquidazione della società in un contesto in cui, secondo la ricostruzione svolta dalla Curatela, la fallita operava da tempo con un patrimonio netto negativo con evidenti e pregressi segni di crisi conclamata. In altre parole, la Curatela ha contestato agli amministratori di aver proseguito l'attività sociale benché fosse venuta meno la c.d. “continuità aziendale” da ben tre anni prima della messa in liquidazione, cui ha poi fatto seguito la declaratoria di fallimento. Dalla ritardata messa in liquidazione della società, sempre secondo la Curatela, discendevano tre diversi profili risarcitori a favore della massa dei creditori:

- il primo derivante dagli interessi e sanzioni maturate per effetto del mancato/ritardato pagamento delle imposte alle relative scadenze;

- il secondo discendente dall'aggravamento del dissesto quantificabile nella perdita maturata dalla data in cui la società aveva iniziato ad operare con patrimonio netto negativo sino alla data di messa in liquidazione della società;

- il terzo profilo risarcitorio, per la Curatela, derivava dall'aver contratto un mutuo fondiario nel periodo in cui la società non aveva più il presupposto della continuità aziendale e, dunque, in violazione della par condicio creditorum.

Si sono costituiti in giudizio gli ex amministratori della fallita i quali, in relazione agli addebiti mossi dalla Curatela hanno ex adverso dedotto che:

- le imposte non furono pagate perché mancava la liquidità necessaria per reperire la quale gli amministratori avevano stipulato il citato mutuo fondiario;

- non vi era stato ritardo nella messa in liquidazione della società in quanto il patrimonio netto della società era rimasto positivo sino alla data in cui l'assemblea deliberò l'accesso ad una procedura concorsuale e, successivamente, stante l'esito negativo della procedura, la messa in liquidazione della società;

- nel momento in cui la fallita stipulò il contestato mutuo fondiario non si trovava in stato di insolvenza, con la conseguenza che la trasformazione del credito della banca da chirografario ad ipotecario non ha violato la par condicio creditorum;

- in ogni caso rilevavano gli ex amministratori che non poteva ravvisarsi l'obbligo di scioglimento della società nel caso di perdita della continuità aziendale: obbligo che soccorre solo nell'ipotesi di assoluta impossibilità giuridica o materiale di conseguire l'oggetto sociale.

Le questioni giuridiche

Il provvedimento in commento pare condivisibile sia in relazione ai profili processuali adottati dal giudicante sia in relazione alle soluzioni sostanziali adottate anche in relazione alla distinzione della responsabilità degli amministratori per ritardata messa in liquidazione della società e aggravamento del dissesto e distinzione tra l'uno e l'altro profilo.

Per quanto attiene al profilo risarcitorio per sanzioni e interessi derivanti dal mancato/ritardato pagamento delle imposte, il Giudicante, rilevata la non contestazione – da parte dei convenuti – dell'inadempimento e della conseguente irrogazione di sanzioni e interessi di mora –, ha ritenuto fondata la domanda della Curatela tenuto conto che – dall'istruttoria svolta – era emersa un'omissione, da parte della società, del pagamento delle imposte alle relative scadenze come tale sintomatica di una scelta dell'organo amministrativo di non provvedere al pagamento delle stesse al fine di avere la liquidità necessaria per altri fini.

Detta condotta viene, quindi, valutata illecita e, come tale, fonte di danno risarcibile in quanto la scelta dell'organo amministrativo di non provvedere o ritardare il pagamento delle imposte alle relative scadenze ha comportato il sorgere di un debito della società per sanzioni e interessi incrementando i debiti verso terzi con depauperamento della fallita. Tale danno appare – ad avviso del Tribunale – risarcibile indipendentemente dagli ulteriori profili di danno.

Orbene tale statuizione si pone in linea di continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale in punto di responsabilità dell'organo amministrativo in merito alle sanzioni ed interessi discendenti dal mancato pagamento delle imposte dovute all'Amministrazione finanziaria alle relative scadenze (si veda, ex multis, Tribunale di Milano, Sezione Impresa, sentenza 14 settembre 2020 n. 5307).

Per quanto attiene, poi, al profilo risarcitorio derivante dalla denunciata prosecuzione dell'attività in mancanza dei relativi presupposti (continuità aziendale) il Tribunale, preso atto che la Curatela non ha mai contestato la veridicità dei bilanci depositati al fine di verificare se la società abbia continuato ad operare sussistente una causa di scioglimento che avrebbe dovuto far deporre l'organo amministrativo per la messa in liquidazione della società, ovvero, per l'adozione di un rimedio di natura concorsuale, ha correttamente ritenuto che detta analisi debba essere condotta sulla base dei bilanci depositati.

Ebbene il Tribunale, sulla base dei bilanci depositati, ha rilevato come il capitale sociale risultasse perduto solo con l'ultimo bilancio approvato a distanza di sei mesi dalla chiusura dell'esercizio sociale. Il Tribunale ha altresì rilevato che nel periodo intercorrente tra la chiusura dell'esercizio sociale e l'approvazione del bilancio la perdita di periodo aveva subito un marginale incremento che, sempre ad avviso del Tribunale, sarebbe maturata anche nell'ipotesi in cui il bilancio fosse stato approvato contestualmente alla chiusura dell'esercizio sociale, con il conseguente rigetto della domanda di condanna a carico degli ex amministratori.

Nel rigettare la domanda, per quanto qui d'interesse, il Tribunale pone l'accento sulle diverse ipotesi di scioglimento dettate dall'art. 2484 c.c. che possono essere dedotte come fonte di danno risarcibile nei confronti degli ex amministratori di società fallite.

Anzitutto il Tribunale distingue le ipotesi di scioglimento per perdita del capitale sociale (prevista al n. 4 del citato articolo) dall'ipotesi di scioglimento per perdita di prospettiva di continuità aziendale (prevista dal n. 2 dell'articolo in esame).

Il Tribunale di Firenze correttamente osserva come le due ipotesi sopra indicate attengono ad ambiti differenti e ben distinti. Nel caso di scioglimento della società per perdita del capitale sociale ciò che rileva è la dimensione prettamente economica della società che deve operare con risorse sufficienti per affrontare il rischio d'impresa, con valutazione misurabile in termini aritmetici ed economici laddove, in ipotesi di scioglimento per perdita di prospettiva di continuità aziendale rileva la dimensione funzionale dell'impresa (possibilità giuridica e materiale di perseguire l'oggetto sociale), con valutazione prospettica e previsionale.

Le due ipotesi, ad avviso del Giudicante quindi divergono, in quanto, nel primo caso (perdita del capitale sociale) la società si trova nella condizione di non aver più risorse per far fronte al pagamento dei propri debiti mentre nel secondo caso (scioglimento per perdita della continuità aziendale), la società si trova in una situazione di impossibilità di procurarsi nuova finanza per proseguire la propria attività sociale.

Tale distinzione rileva, a livello processuale, ai fini dell'onere della prova cui dovrà assolvere l'atto in seno all'azione di responsabilità avviata tenuto conto che, in un caso, dovrà essere dedotta e provata la perdita di capitale sociale in data anteriore allo scioglimento della società mentre, nell'altra ipotesi, dovrà essere dedotto e provato il momento esatto in cui non era più ipotizzabile che la società potesse contare su nuova finanza e, conseguentemente, nessuna scelta gestoria poteva utilmente essere adottata.

Il Tribunale, infine, ha rigettato anche la condanna al risarcimento del danno discendente dalla stipula del mutuo fondiario in quanto – all'epoca della stipula del mutuo, come sopra, la società aveva un patrimonio netto positivo.

Il Tribunale affronta conclusivamente l'ulteriore questione legata alla sindacabilità delle scelte gestorie, con motivazione in linea con la costante giurisprudenza, ribadendo il concetto che non è consentito sindacare il merito gestorio se non qualora sia caratterizzato

(i) da assenza di diligenza nell'assunzione delle scelte e/o

(ii) irrazionalità.

Come noto, infatti, l'obbligazione contratta dall'organo amministrativo è di natura professionale (di mezzi e non di risultato), con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori gli esiti negativi di una scelta gestionale qualora assunti secondo criteri di ragionevolezza. Occorrerà conseguentemente vagliare ogni elemento conoscitivo utile all'assunzione della scelta gestoria (in ipotesi fonte di danno risarcibile): il tutto con valutazione ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame. Seguendo gli approdi più recenti della giurisprudenza ormai consolidata in materia, devono - infatti - ritenersi rilevanti solo quelle condotte specificamente imputabili all'Organo amministrativo e di controllo dalle quali sia scaturito un danno risarcibile, tenendo presente che “l'inadempimento ai doveri della carica gestoria e sindacale è il presupposto anche dell'azione intrapresa dai creditori, i quali, se possono agire a condizione che il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfarli, ciò possono fare solo se, nel contempo, quell'insufficienza sia appunto conseguenza delle condotte degli organi sociali in violazione ai doveri della carica. A conferma di ciò, basti considerare che neppure verso i creditori si pone una responsabilità oggettiva, onde occorre pur sempre una condotta almeno negligente dell'amministratore o del sindaco, accanto alla insufficienza patrimoniale. Pertanto, ogni violazione che integra la responsabilità verso la società è idonea, quando cagiona o concorre a cagionare una diminuzione del patrimonio rendendolo insufficiente, a fondare anche la responsabilità verso i creditori sociali” (così Tribunale di Milano, sentenza 25 marzo 2021 che richiama sentenze della Suprema Corte ed in particolare, sul punto, Cass. 31204/2017).

In altre parole, occorre valutare se, ferma la discrezionalità delle scelte imprenditoriali, le stesse siano state connaturate da ragionevolezza ovvero assunte in ottica conservativa, una volta preso atto dell'inesorabile perdita del capitale sociale.

Osservazioni

Si ritiene integralmente condivisibile la soluzione fornita dal Tribunale di Firenze alle varie questioni affrontate nel provvedimento in esame soprattutto in relazione alla risarcibilità del danno derivante dall'aggravio del passivo della società fallita per sanzioni e interesse legate al mancato e/o ritardato pagamento delle imposte qualora discendente da una deliberata scelta dell'organo gestorio che, così facendo, poteva contare su risorse da destinare ad altre finalità.

Parimenti d'interesse è la distinzione tra le due ipotesi di scioglimento della società ed il relativo regime processuale, con importanti conseguenze in punto di accoglimento e/o rigetto della relativa domanda.

Conclusioni

Non contestabili sembrano i principi affermati nella pronuncia qui commentata, a soluzione di un problema affrontato di rado dalla giurisprudenza pratica e tanto meno da quella di legittimità, circa la risarcibilità – quale ulteriore fonte di danno – delle sanzioni e interessi per il mancato pagamento delle imposte indipendentemente dal ricorrere di ipotesi di scioglimento della società fallita ex art. 2484 c.c.

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