Conferma a tempo indeterminato dei giudici di pace: la disciplina è illegittima?
08 Luglio 2022
La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, sollevato dal un Giudice di pace di Bologna nei confronti del Presidente del Consiglio, del Ministero della Giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti.
Il conflitto trae origine dall'approvazione dei commi da 629 a 633 dell'art. 1 l. 234/2021 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), ai quali il ricorrente imputa la «mancata estensione al magistrato onorario ricorrente delle stesse condizioni di lavoro previste per legge in favore dei magistrati professionali equivalenti (ex giudici di tribunale)».
Tali disposizioni modificano l'art. 29 d.lgs. 116/2017, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della l. 57/2016), prevedendo una procedura di conferma “a tempo indeterminato”, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo.
Le disposizioni impugnate prevedono inoltre che la conferma sia subordinata al superamento di procedure valutative, da svolgersi con modalità semplificate e innanzi ad una apposita commissione, e con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico, comprensivo di copertura previdenziale e assistenziale, parametrato a quello di un funzionario amministrativo.
Ad avviso del ricorrente, la disciplina sopra richiamata determinerebbe una violazione dell'indipendenza e dell'inamovibilità della magistratura di pace, delineando un'inammissibile figura ibrida di magistrato che svolge in via esclusiva le stesse funzioni giurisdizionali del magistrato ordinario e che, ciononostante, verrebbe retribuito come assistente amministrativo.
Ciò premesso, la Corte, chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art. 37, primo comma, della l. 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ha ritenuto insussistente il requisito soggettivo.
Invero la giurisprudenza di questa Corte riconosce la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali – e quindi anche del giudice di pace – ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, ordinanza n. 19 del 2021).
Tuttavia, presupposto per la sollevazione del conflitto da parte del singolo giudice è che questi «sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano”, ai sensi dell'art. 37, primo comma, della l. 87/1953».
Nella fattispecie, sebbene la ricorrente dichiari di sollevare conflitto «in qualità di Giudice di pace», l'atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale, del resto, neppure motiva in ordine all'incidenza delle disposizioni impugnate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più specifici procedimenti.
Pertanto, la carenza di legittimazione attiva della ricorrente, che non solo non è nell'esercizio delle proprie funzioni giudicanti, ma utilizza il giudizio per conflitto tra poteri – destinato a garantire attribuzioni costituzionalmente presidiate – come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, costituisce motivo assorbente d'inammissibilità del conflitto. |