Licenziamento illegittimo e reintegra ex art. 18 se il CCNL prevede una sanzione conservativa per un fatto più grave di quello posto a base del licenziamento
12 Luglio 2022
Massime
Il licenziamento irrogato a un dipendente è soggetto a reintegra ai sensi dell'art. 18, comma 4 L. n. 300 del 1970 anche nell'ipotesi in cui il CCNL preveda una sanzione conservativa in relazione a mancanze ritenute più gravi di quelle poste a base del licenziamento. Ciò sulla base del principio di proporzionalità così come vagliato dalla contrattazione collettiva.
Il giudice può valutare "in concreto" se il fatto addebitato, seppure non direttamente sussumibile alle condotte per le quali il ccnl prevede una sanzione conservativa, sia comunque riconducibile alle stesse per effetto del “contiguo disvalore disciplinare”. Il caso
Nell'ambito di un reclamo ex L. n. 92 del 2012 la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 15 aprile 2019, in riforma della decisione di primo grado, ha annullato il licenziamento per giusta causa irrogato da una Fondazione nei confronti di un proprio dipendente, disponendo la reintegra nel posto di lavoro e la corresponsione della relativa indennità risarcitoria.
Il datore di lavoro aveva fondato il recesso per giusta causa sull'omessa comunicazione, da parte del lavoratore assente dal lavoro per malattia, del domicilio presso il quale avrebbe dovuto essere reperibile durante tale periodo, infrazione questa non tipizzata dalla contrattazione collettiva applicabile né tra quelle punibili con sanzione conservativa né, tampoco, ricompresa tra quelle suscettibili di licenziamento per giusta causa (così l'art. 40 del CCNL).
La sentenza di primo grado aveva rigettato il ricorso proposto dal lavoratore licenziato, volto ad ottenere la reintegra nel posto di lavoro, così confermando la legittimità del provvedimento datoriale espulsivo.
La Corte di Appello di Milano, riformando la sentenza di primo grado, aveva condannato il datore di lavoro alle conseguenze sanzionatorie previste dall'art. 18 , comma 4, L. n. 300 del 1970.
La Fondazione ha pertanto proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano.
Il giudizio di legittimità si è concluso con il rigetto del ricorso e la conseguente conferma della sentenza di secondo grado impugnata. Le questioni
La questione principale trattata dalla S.C. nella decisione in commento riguarda l'applicabilità del regime di tutela reale previsto dall'art. 18 c. 4 St. Lav. nell'ipotesi in cui il CCNL preveda la sanzione conservativa non per il fatto posto a base del licenziamento (in quanto non tipizzato dalla contrattazione collettiva) ma in relazione a uno più grave. La soluzione giuridica
Sul tema la decisione in commento richiama il principio generale espresso dalla Suprema Corte secondo cui la giusta causa e il giustificato motivo oggettivo di licenziamento sono nozioni legali di carattere generale e pertanto il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo applicabili (fra le più recenti richiamate Cass. n. 8178/2017, Cass. n.9223 /2015 e Cass. n. 13353/2011).
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità tale principio generale subisce tuttavia una deroga nel caso in cui la contrattazione collettiva ricolleghi a una determinata mancanza del lavoratore soltanto una sanzione conservativa: in tal caso infatti deve ritenersi operante il vincolo posto dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore prevista dalla stessa legge a favore del lavoratore mediate il rinvio alla contrattazione collettiva (cfr. art. 12, L. n. 604 del 1966).
Conseguentemente, in tale ultima ipotesi il giudice non può estendere il “catalogo” delle ipotesi astratte conservative oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti (fra le tante richiamate, Cass. n. 15058/2015; Cass. n. 4546/2013; Cass.n.13353/2011), dovendo prevalere l'attribuzione di gravità di quel peculiare comportamento, come illecito di grado inferiore, operata dal CCNL, nella graduazione delle mancanze disciplinari (fra le tante richiamate in questo senso, Cass. n. 1173/1996; Cass. n. 14555/2000 e, più recentemente, Cass. n. 6165/2016; Cass. n. 11860/2016; Cass. n. 17337/2016).
Muovendo dal medesimo abbrivio nel caso in esame la S.C. ha concluso per l'applicabilità della tutela reale ex art. 18, c. 4 L. n. 300 del 1970 anche in caso di licenziamento disciplinare riguardante una mancanza non tipizzata dalla contrattazione collettiva tra quelle punite con una sanzione conservativa (“mancata comunicazione del domicilio” in caso di malattia).
La decisione in commento giunge a tale conclusione sul solco del principio di diritto enunciato recentemente dalla Suprema Corte nella decisione dell'11 aprile 2022 n. 11665, secondo il quale, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dal comma 4 e 5 dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970, al giudice è consentita la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore e in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con una sanzione conservativa, anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche.
Tale operazione interpretativa consente al giudice di sussumere la condotta addebitata al lavoratore nella previsione collettiva che punisca con una sanzione conservativa un'infrazione più grave rispetto a quella posta in essere dal lavoratore licenziato (nel caso di specie consistente nell'“assenza alla visita domiciliare” in caso di malattia).
Tale meccanismo di sussunzione sillogistica (già espresso in Cass. n. 11665/2022 e dettagliatamente richiamato nella sentenza in commento) opera tramite una “clausola generale o elastica” del CCNL, suscettibile di essere riempita di contenuto attraverso standard conformi ai valori dell'ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo da poter definire i contorni di maggiore o minore gravità della condotta addebitata al lavoratore.
Ciò comunque all'interno del giudizio di proporzionalità del fatto contestato rispetto alla sanzione applicata, giudizio eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del codice disciplinare di cui contratto collettivo applicabile (espressamente Cass. n. 11665/2022 cit.).
La S.C. a tale riguardo, anche attraverso il richiamo ai principi espressi nella menzionata decisione n. 11665/2022, afferma che il giudice è autorizzato a svolgere una valutazione in concreto e a concludere che il fatto addebitato sia riconducibile, per contiguo disvalore disciplinare, ad altra fattispecie aperta punibile con sanzione conservativa.
Ciò non equivale ad estendere l'efficacia della previsione collettiva della sanzione conservativa a casi non previsti, ma significa riconoscere che l'elencazione delle infrazioni punite con sanzione conservativa riveste natura meramente esemplificativa, come tale suscettibile di essere integrata con altre condotte di gravità omologabile a quella che connota le infrazioni esplicitamente menzionate nel CCNL.
Nel caso in esame la S.C., nel confermare la decisione della Corte di Appello di Milano, ha riconosciuto il diritto alla reintegrazione del lavoratore licenziato riconducendo la condotta sanzionata (omessa comunicazione del domicilio) alla previsione collettiva disciplinante, con sanzione conservativa, una fattispecie più grave di quelle posta a base del licenziamento irrogato (assenza alla visita di controllo). Osservazioni
La decisione in commento è meritevole di segnalazione in primo luogo per avere ribadito i principi giurisprudenziali già espressi in sede di legittimità nella recente decisione n. 11665 del 2022 e per avere esteso l'applicabilità della tutela reale ex art. 18, c. 4 Statuto dei Lavoratori al caso in cui il CCNL preveda la sanzione conservativa in relazione a un fatto più grave di quello posto a base del licenziamento.
Orbene è innegabile che si stia assistendo a un vero e proprio revirement della Corte di Cassazione sulla disciplina della tutela reale del posto di lavoro, come delineata dal legislatore del 2012 (c.d. Riforma Fornero).
Infatti la S.C., difformemente da quanto stabilito in precedenza, estende le conseguenze reintegratorie nel posto di lavoro di fatto superando il modello previsto dal legislatore del 2012, secondo il quale la tutela reale avrebbe dovuto costituire un'ipotesi residuale, concedibile solo in caso di insussistenza del fatto sotteso al recesso e in presenza di violazioni specificatamente valutate meno gravi dagli agenti collettivi e tali da determinare solo sanzioni conservative, dovendosi altrimenti applicare, nella generalità dei casi, la tutela obbligatoria, di natura indennitaria.
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