La proposta conciliativa del giudice
13 Luglio 2022
L'art. 185-bis c.p.c. viene introdotto dal d.l. 69/2013, conv. nella l. 98/2013, con evidente funzione deflattiva del processo, ove il giudicante assume, accanto alla funzione decisionale anche quella conciliativa.
È evidente che un tale doppia funzione vada, per quanto possibile, promossa in sede giudiziale, funzione prevista come dovuta ove le condizioni della controversia lo consentano, come prevede l'articolo citato.
Il pericolo che la proposta conciliativa formulata dal giudice porti con sé una sostanziale anticipazione del giudizio viene fugata normativamente ove lo stesso art. 185-bis c.p.c. prevede che detta proposta, ovviamente ove non sortisca l'effetto voluto, non è mai causa di ricusazione o astensione del giudicante, proprio a sottolineare la funzione di composizione della lite dell'istituto in esame.
Evidentemente il termine ultimo previsto dal c.p.c. si rivolge all'esaurimento della fase di trattazione ove il giudicante avrà a disposizione una compiuta conoscenza della controversia.
Ciò non vuole dire che oltre a tale momento il potere-dovere conciliativo del giudice venga meno.
Basti solamente pensare che è in facoltà del giudice istruttore, in sede decisoria, di rimettere la causa in istruttoria ove lo ritenga funzionale alla decisione (nei casi previsti in modo articolato dall'art. 187 c.p.c. e 281-bis c.p.c. per il giudizio monocratico).
In altri termini la norma, pur contenuta nel codice di rito, ha una portata sostanziale tesa alla risoluzione della controversia con ciò evitando, cosa di non poco conto, lo svolgimento di eventuali ulteriori gradi di giudizio ove venga raggiunto l'accordo sul diritto controverso.
In tal senso è orientata anche buona parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, come Trib. Fermo, 21/11/2013 il quale lapidariamente afferma che «Il giudice può rimettere la causa in istruttoria per formulare una proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c.».
In motivazione, nel detto arresto, si afferma che «Aspetti peculiari di una proposta di composizione della lite che venga ad istruttoria chiusa non possono negarsi, ma ad altri livelli: è evidente che il vantaggio per il sistema e per gli stessi interessati (anche in termine di risparmio sui costi delle spese processuali) è più modesto quando una composizione avviene a ridosso di una sentenza piuttosto che all'inizio della causa. Tuttavia la questione va posta nell'arco dell'intero eventuale giudizio, tenuto conto che l'accordo transattivo o conciliativo ragionevolmente preclude ulteriori gradi di giudizio, che, quanto a tempi, sono superiori a quelli di primo grado. Inconsistente appare la questione relativa al vulnus della terzietà del giudice, obiezione già battuta in breccia da parecchio avveduti commentatori (il giudice si pronuncia spesso nel merito anche ammettendo le prove, negando o concedendo la provvisoria esecuzione del d.i., ecc. ecc.) ma che pure è dura a morire nonostante l'attuale espressa previsione normativa. Piuttosto appare curioso notare che censure uguali e contrarie sono state avanzate proprio sulla proposta in limine litis, in cui il giudice non avrebbe ancora sufficienti elementi, e si affiderebbe solo al suo intuito, con l'alea che ne deriva. Il che equivale a dire che, troppo presto o troppo tardi, è proprio la figura del giudice come “compositore di controversie” che non si accetta ( eppure questa è proprio una delle opzioni avanzate dalla sociologia sulla “figura del giudice”, cioè, almeno in civile, un “mediatore di conflitti”) ma che non da ora è nel diritto positivo, da oggi con chiara scelta legislativa di favor».
Bisogna, infine, rilevare che una tale prassi è largamente praticata dalla giurisprudenza di merito ove il giudicante ritenga proficua una proposta conciliativa al fine di risolvere la controversia. |