Morte del socio di società di persone e liquidazione della quota

Luciano Vassallo
Luciano Vassallo
13 Luglio 2022

Il diritto che spetta ai soci superstiti, in sede di divisione di un'eredità che comprenda una quota di società di persone, non è quello al riparto conseguente allo scioglimento dell'ente collettivo, che comporta la cessazione del rapporto sociale con effetti per tutti i soci con conseguente suddivisione tra tutti i partecipanti del patrimonio residuato al pagamento dei debiti, ma quello alla liquidazione della quota...
Massima

Il diritto che spetta ai soci superstiti, in sede di divisione di un'eredità che comprenda una quota di società di persone, non è quello al riparto conseguente allo scioglimento dell'ente collettivo, che comporta la cessazione del rapporto sociale con effetti per tutti i soci con conseguente suddivisione tra tutti i partecipanti del patrimonio residuato al pagamento dei debiti, ma quello, previsto dagli artt. 2284 e 2289 c.c., alla liquidazione della quota del singolo socio nei confronti del quale, per effetto della morte, si è sciolto il rapporto sociale, che non è il diritto ad una parte del patrimonio sociale ma solo ad una somma di denaro corrispondente al valore della partecipazione.

Il caso

La sentenza annotata riguarda un caso di scioglimento di comunione ereditaria, nel quale uno dei due coeredi propone ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte d'Appello di Milano che disponeva in favore dell'altro coerede (intimato) la corresponsione di una somma di denaro da parte del primo (ricorrente), in qualità di unico socio superstite della società di persone di cui era titolare il padre de cuius per la quota del 98% e quindi, come tale, unico soggetto in grado di trattenere l'intero ricavato della liquidazione della stessa (sciolta in quanto non ricostituita la pluralità dei soci entro il termine perentorio di sei mesi previsto ex art. 2272 n. 4 c.c., in tema di società di persone).

I motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione, mediante i quali il ricorrente richiede che la decisione della corte d'appello venga cassata e rimandata a essa ai fini di un nuovo esame, sono:

a) la violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.), in quanto l'oggetto della domanda dell'intimato consisteva nello scioglimento della comunione ereditaria, ergo la Corte avrebbe dovuto provvedere alla divisione dell'asse ereditario entro il valore del 50% per ciascun coerede e non procedere alla liquidazione della quota societaria, non richiesta da alcuna parte del processo;

b) la violazione della disciplina giuridica regolante la materia del litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.), in quanto la corte d'appello attribuendo al ricorrente l'obbligo di pagamento di una somma in favore dell'intimato, dimentica che tale onere è costituito in capo alla società, mai integrata all'interno del contraddittorio in qualità di litisconsorte necessario.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La Corte di Cassazione ritiene fondato il primo motivo di ricorso, osservando che, in base alla disciplina di cui all'art. 2289 c.c., commi 1 e 2, al momento della morte del de cuius i partecipanti alla comunione ereditaria ottengono il diritto a una somma di denaro di valore uguale alla quota societaria, la cui liquidazione viene effettuata in base alla situazione patrimoniale della società al momento in cui si è verificato lo scioglimento della stessa.

In tal caso, quindi, la risoluzione della Corte di Cassazione si basa sul fatto che gli eredi dei soci nelle società di persone non acquistano in automatico la posizione di socio alla morte del de cuius, ma solo un diritto nei confronti della società (dalla quale, quindi, gli stessi rimangono totalmente estranei), consistente nella liquidazione della quota del socio defunto, sempre che uno dei soci superstiti non decida di continuarne l'attività ex art. 2284 c.c. .

Per tale ragione la Corte di Cassazione, come detto, accoglie il motivo di ricorso con assorbimento del secondo e, cassando in relazione ad esso la sentenza impugnata, rinvia nuovamente la questione alla Corte d'appello di Milano, la quale dovrà provvedere a un riesame della stessa in differente composizione.

Osservazioni

Con la sentenza annotata la Corte di Cassazione illustra quali siano i diritti nascenti per i partecipanti a una comunione ereditaria al suo scioglimento, avente come oggetto la quota di partecipazione ad una società di persone di cui era titolare il de cuius.

Per tale ragione la S.C. rettifica i dettami contenuti nella pronuncia della Corte d'appello nella parte in cui la stessa prevede che, all'interno del rapporto di comunione ereditaria trattato, il coerede estraneo alla compagine sociale abbia diritto, alla morte del padre, alla metà della quota di sua vecchia titolarità, nel momento in cui il fratello coerede e detentore di una partecipazione minoritaria alla società abbia deciso di non proseguirla.

La S.C., difatti, spiega che la Corte d'appello commette un errore nel provvedere alla liquidazione del patrimonio societario - oltre che per la già citata violazione del principio della domanda giudiziale ex. art. 112 c.p.c. (non essendo stata effettuata nessuna richiesta in tal ordine) - consistente nel ritenere che il diritto nascente in capo ai due coeredi - socio superstite e non socio - in seguito allo scioglimento della comunione ereditaria, si concretizzi nel riparto delle conseguenze derivanti dallo scioglimento della società, in base al quale il socio superstite partecipante alla comunione acquista la qualità di socio e l'obbligo di versare il corrispettivo dovuto al socio estraneo alla compagine sociale, e non nel diritto di credito a una somma di denaro di valore pari alla liquidazione della quota societaria di vecchia titolarità del de cuius (ex artt. 2284 e 2289 c.c.), risultando sciolto, alla morte del de cuius, il rapporto che quest'ultimo aveva intrattenuto con la società.

Per tali ragioni esposte, la corte d'appello avrebbe dovuto procedere unicamente alla delimitazione del diritto dei coeredi sulle quote del de cuius, identificabile nel valore della metà della quota liquidata, la quale non si ripartisce in maniera proporzionale trai coeredi, ma risulta essere componente essenziale della comunione fino allo scioglimento della stessa.

Conclusioni

Non sembra contestabile la ratio della decisione che ha portato la Corte di Cassazione a cassare da sentenza emanata dalla Corte d'appello.

Quest'ultima infatti, attribuendo in automatico l'azienda al coerede socio superstite e un conguaglio in denaro al coerede non socio, cade in errore dimenticando in primis che nelle società di persone la qualifica di socio non viene acquistata in via automatica dagli eredi del de cuius, e in secundis non considerando che l'unico diritto di cui i coeredi divengono titolari è quello inerente la quota di cui era titolare il de cuius e non quello di partecipazione alla liquidazione del patrimonio societario, in quanto lo scioglimento della società risulta essere evento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del singolo rapporto sociale avvenuto alla morte del de cuius, in quanto subordinato alla volontà del socio superstite di continuare o meno la società con gli eredi e alla ricostituzione della pluralità di soci entro il termine di sei mesi ex. artt. 2284 e 2722 c.c.

Basandosi, quindi, la decisione adottata dalla Corte d'appello su un'erronea applicazione della normativa di diritto sostanziale, risulta corretta la scelta della Corte di Cassazione di cassare la sentenza impugnata dal ricorrente al fin di un nuovo esame in Corte d'appello.