La transazione fiscale dopo il Codice della crisi e la Direttiva Insolvency negli accordi di ristrutturazione dei debiti

Giulio Andreani
Angelo Tubelli
14 Luglio 2022

Gli Autori evidenziano come la disciplina della transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata modificata dalle disposizioni introdotte con il d.lgs. 83/2022, diretto a dare attuazione alla Direttiva (UE) 2019/1023 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (di seguito anche la “direttiva”).
L'ambito applicativo

In continuità con l'art. 182-bis L. fall. (a suo tempo introdotto dall'art. 2 decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35), l'art. 57 D.Lgs. n. 14/2019 (di seguito “CCII”) prevede che il debitore può depositare presso il Tribunale competente gli accordi per la ristrutturazione dei debiti, stipulati con creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, con domanda di accesso al giudizio di omologazione da sottoporre all'autorità giudiziaria. Allo stesso modo l'art. 63 CCII stabilisce (in continuità con l'art. 182-ter L. fall.), che nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori.

Il riferimento testuale agli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 fa chiaramente intendere che la transazione fiscale opera non solo con riguardo alla fattispecie ordinaria disciplinata dall'art. 57, ma anche in relazione alle due fattispecie “speciali”, ovverosia agli accordi di ristrutturazione agevolati di cui all'art. 60 e agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all'art. 61; ciò a differenza di quanto previsto dall'art. 182-ter L. fall., che al comma 5 richiamava unicamente gli accordi di ristrutturazione da omologare ai sensi dell'art. 182-bis (senza dunque citare le altre due fattispecie disciplinate dagli artt. 182-septies e 182-novies L. fall.), il che chiarisce la disciplina futura, senza tuttavia escluderne una analoga, sulla base di un ragionamento a contrario, con riguardo a quella prevista dalla legge fallimentare (si veda quanto esposto al riguardo nel par. 2).

Nel citato art. 182-novies la riduzione della percentuale richiesta è concessa a condizione che il debitore rinunci alla moratoria legale di centoventi giorni, automaticamente prevista dall'art. 182-bis per i creditori estranei. Meno precisa sul punto sembrerebbe la formulazione dell'art. 60, lett. a), CCII, ai sensi del quale la riduzione ricorre quando il debitore “non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi”, atteso che tale moratoria si applica di default e, perciò, non deve essere di per sé proposta, anche se la condizione recata dall'espressione “non proponga” può essere agevolmente interpretata come equivalente a quella costituita da una rinuncia alla moratoria.

Inoltre, nonostante l'assenza di un espresso richiamo al comma 3 dell'art. 88 da parte del comma 2 dell'art. 63, nella prassi operativa è d'uso depositare anche la copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l'esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative relative al periodo fino alla data di presentazione della proposta. Infatti, una volta ricevuta la proposta e la relativa documentazione ad essa allegata, gli Uffici dell'Agenzia delle Entrate devono procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente a una certificazione attestante l'entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all'agente della riscossione e possono provvedervi più agevolmente grazie al deposito di tali dichiarazioni.

Il trattamento dei crediti tributari e contributivi

Anche a seguito dell'integrazione operata dal D.Lgs. n. 147/2020, il comma 1 dell'art. 63 prevede che la transazione fiscale e previdenziale può concernere il pagamento parziale o anche dilazionato “dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori”, senza alcuna previsione dei principi di trattamento “non deteriore” (per i crediti erariali privilegiati) e di trattamento non differenziato o “più favorevole” (per i crediti erariali chirografari), che sono invece ancora previsti dall'art. 88 CCII relativamente al concordato preventivo.

Invero la relazione che accompagnò l'approvazione del CCII non si soffermava per nulla sulle ragioni del mancato richiamo, nell'art. 63, del principio di trattamento non deteriore e del principio di trattamento più favorevole, spiegando invece che l'art. 63 “costituisce la riproposizione dei commi 5 e 6 del vecchio art. 182-ter”, in perfetta continuità della disciplina vigente in forza della legge fallimentare con quella del CCII; il che, a ben vedere, parrebbe costituire ulteriore conferma della tesi secondo cui entrambi i suddetti principi in realtà non avrebbero mai trovato collocazione nell'ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti soggetti a omologazione, come a suo tempo aveva rilevato dal Tribunale di Milano, con il decreto 15 novembre 2011.

Con l'entrata in vigore del Codice, dunque, il trattamento dei crediti erariali (e previdenziali) nell'ambito degli accordi di ristrutturazione non è soggetto al rispetto del principio di trattamento non deteriore o più favorevole, il che appare giustificato dalla rilevata possibilità di derogare in detto contesto all'ordine delle legittime cause di prelazione. Ne discende che in base alla normativa vigente è altresì venuta meno in radice la problematica concernente il confronto del trattamento dei crediti erariali con quello riservato dalla legge ai creditori estranei, non essendo più previsto alcun confronto con creditori diversi da quelli pubblici, e tantomeno con quelli estranei (fatto salvo quanto sarà osservato a breve con riguardo al cram down fiscale).

Allo stesso modo nel comma 1 dell'art. 63 manca la riproposizione o il richiamo all'altro precetto contenuto nel comma 1 dell'art. 88, in forza del quale nel concordato preventivo il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei contributi “se il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente”.

Occorre in proposito però rilevare che il secondo e ultimo periodo del comma 2 dell'art. 63 stabilisce espressamente che “l'attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”.

Si intende dire che nella sostanza gli effetti delle due disposizioni sono coincidenti, poiché soddisfare un credito in misura non inferire a quella realizzabile in caso di liquidazione del debitore equivale a soddisfare quel credito in misura non deteriore, cioè peggiore, rispetto a quella che alternativamente discenderebbe dalla liquidazione di quel debitore. Inoltre, le risultanze della relazione del professionista indipendente, da cui emerga che la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria, costituiscono il fondamento per l'omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione e della proposta di transazione fiscale in essi compresa, giusta il disposto del comma 2-bis dell'art. 63. È dunque del tutto razionale che non sia prevista l'applicazione congiunta di due regole che, in quanto coincidenti, costituiscono l'una la ripetizione sostanziale dell'altra.

È, altresì, da notare la totale assenza di qualsiasi richiamo al criterio del trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, su cui pure si fonda a quest'ultimo fine la valutazione della proposta di transazione fiscale con riferimento al concordato preventivo in continuità aziendale, giusta il disposto dei commi 2 e 2-bis dell'art. 88.

Invero il fatto che si provveda ad integrare unicamente la disciplina del concordato preventivo costituisce una circostanza che difficilmente potrebbe giustificare l'estensione del medesimo criterio anche per gli accordi di ristrutturazione, sebbene tale diversità appaia poco comprensibile, visto che l'accordo di ristrutturazione è generalmente diretto a preservare anch'esso la continuità aziendale.

L'operatività del cram down fiscale

Ai sensi dell'art. 48, comma 4, CCII, dopo la presentazione e la pubblicazione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, il Tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti (ovverosia il debitore, i creditori e i terzi che abbiano proposto opposizione alla omologazione) nonché del commissario giudiziale (se nominato) e, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa con sentenza gli accordi sussistendone i presupposti. Il successivo comma 6 dispone che, se il tribunale non omologa gli accordi di ristrutturazione, dichiara con sentenza, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l'apertura della liquidazione giudiziale.

Tali norme disciplinano dunque l'omologazione “ordinaria” degli accordi, cioè quella che ha a oggetto accordi approvati e sottoscritti dai creditori aderenti. Tuttavia, per quanto attiene alla transazione fiscale, come emerge anche dalla stessa relazione di accompagnamento del CCII, spesso nella prassi operativa sono state registrate “ingiustificate resistenze alle soluzioni” di risanamento proposte, giacché gli uffici territorialmente competenti hanno non di rado ritenuto non accettabile la proposta di transazione fiscale quando la percentuale di pagamento offerta è risultata inferiore a una determinata soglia auto-imposta dagli stessi Uffici, sebbene la soluzione proposta prevedesse un trattamento pacificamente migliore rispetto a quello spettante al creditore pubblico in caso di liquidazione giudiziale. Per questa ragione alle disposizioni di carattere generale che disciplinano l'omologazione degli accordi contenute nell'art. 48 il legislatore ha aggiunto una disposizione speciale, per la transazione fiscale, inizialmente contenuta nel comma 5 di tale articolo (e poi nello stesso art. 63, in cui è stato inserito il comma 2-bis), in base alla quale il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria (cd. cram down fiscale).

Si tratta di una norma speciale, perché l'istituto del cram down è previsto solo per la transazione fiscale (oltre che per quella contributiva,) e non anche per gli altri accordi di ristrutturazione, e la norma contenuta nel comma 2-bis dell'art. 63 costituisce dunque l'unica fattispecie di tal guisa (fatta eccezione, invero, per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all'art. 61), la quale ripropone la medesima disposizione inserita nel comma 4 dell'art. 182-bis L. fall. dalla L. n. 159/2020. Il potere del tribunale può essere esercitato una volta decorso il termine di novanta giorni dal deposito della proposta di transazione fiscale ovvero, se anteriore, dal momento in cui l'Amministrazione finanziaria ha espresso il proprio diniego (chiaramente sempre che il debitore presenti la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti contenenti la proposta di transazione fiscale).

Sulla base della disciplina introdotta con il CCII, come peraltro in quella precedente, gli accordi di ristrutturazione sono omologabili anche in mancanza di adesione dell'Amministrazione finanziaria alle proposte di transazione fiscale connesse, a condizione che tale adesione risulti determinante o decisiva al fine del raggiungimento della percentuale dei crediti stabilita per la omologabilità degli accordi stessi. Sotto questo profilo si presenta tuttavia una importante differenza (almeno sul piano formale) rispetto alla corrispondente disposizione aggiunta al comma 4 dell'art. 182-bis L. fall.; infatti, mentre quest'ultima norma fa esclusivamente riferimento “al raggiungimento della percentuale di cui al primo comma” ovverosia alla percentuale del sessanta per cento prevista per gli accordi di ristrutturazione “ordinari”, il testé citato comma 2-bis dell'art. 63 richiama le “percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1”, cioè sia quella del sessanta sia quella del trenta per cento: significa dunque che il cram down fiscale può trovare applicazione anche con riguardo agli accordi di ristrutturazione agevolati, che richiedono il raggiungimento della maggioranza ridotta del trenta per cento dei crediti di cui sono titolari i creditori aderenti. È stata dunque così chiarita la possibilità di applicare il cram down fiscale anche agli accordi di ristrutturazione agevolati, che nell'ambito della legge fallimentare poteva apparire dubbia a causa del mancato richiamo all'art. 182-novies (anche se il fatto che tale articolo sia stato inserito dopo l'approvazione del CCII proprio per anticipare l'entrata in vigore delle disposizioni sul punto, lascia propendere per un'interpretazione estensiva).

Sebbene ai sensi dell'art. 63, comma 1, giusta il richiamo dell'art. 61, la transazione fiscale possa essere proposta anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, il citato comma 2-bis dell'art. 63 richiama solo gli articoli 57, comma 1, e 60 comma 1, e non anche l'art. 61, che disciplina tale tipo di accordo.

Occorre pertanto chiedersi se, a causa di tale mancato richiamo, ne discende che la omologazione forzosa, pur potendo avere a oggetto un accordo di ristrutturazione agevolato (di cui all'art. 60), non può riguardare anche un accordo a efficacia estesa (di cui all'art. 61).

In tal senso potrebbero deporre sia il dato letterale, cioè appunto il mancato richiamo dell'art. 61 nel citato comma 2-bis dell'art. 63, sia il fatto che tale istituto già prevede di per sé l'effetto di vincolare i creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria dei creditori aderenti (purché siano rappresentativi, questi ultimi, del 75% dei crediti complessivi della stessa), dal che potrebbe trarsi la conseguenza che il trascinamento dei creditori “di minoranza” operi solo a seguito di un'approvazione espressa dei creditori “di maggioranza” e non per effetto di un'approvazione imposta a questi ultimi dal tribunale mediante il cram down, con una sorta di doppio trascinamento.

In senso opposto, e cioè tale da consentire il trascinamento previsto dall'accordo con efficacia estesa anche nel caso in cui l'adesione dei creditori “di maggioranza” derivi dal cram down, depone il fatto che il richiamo agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, presente nel comma 2-bis, ha semplicemente lo scopo di individuare le percentuali rispetto alle quali l'adesione del fisco e degli enti previdenziali deve risultare determinante ai fini della omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva. Tale richiamo non rileva in alcun modo (e nulla comporta) in ordine all'accordo di ristrutturazione a efficacia estesa, producendo esso solo il medesimo effetto che si verificherebbe se il citato comma 2-bis stabilisse che “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione dei creditori pubblici è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali del sessanta e del trenta per cento e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”.

Se la norma fosse scritta così, a nessuno verrebbe in mente di trarne considerazioni circa l'inapplicabilità del cram down nell'ambito di un accordo a efficacia estesa e non vi è dunque alcun motivo per pervenire a diverse conclusioni in presenza del testo del suddetto comma 2-bis per come è realmente scritto, giacché nella sostanza ciò che tale disposizione afferma è esattamente coincidente con il disposto della rielaborazione della norma poc'anzi esposta.

Inoltre, occorre considerare che attraverso la omologazione forzosa il legislatore ha attribuito al contribuente una effettiva tutela giurisdizionale rispetto a decisioni dell'Amministrazione finanziaria che non siano conformi alla legge (ad esempio, perché costituite dal rigetto di proposte convenienti per l'Erario), in virtù della quale, mediante l'istanza di omologazione forzosa, l'impresa debitrice chiede nella sostanza al tribunale di emettere un provvedimento con il quale la pronuncia dei creditori pubblici viene riformata. Così stando le cose, sarebbe del tutto illogica una disciplina che consentisse l'estensione dell'efficacia dell'accordo in presenza dell'approvazione della transazione fiscale deliberata dall'Agenzia delle Entrate in conformità alla legge e la impedisse qualora l'approvazione della proposta derivasse, invece, dalla omologazione forzosa disposta dal tribunale, in conformità alla legge, per porre rimedio a una pronuncia illegittima dell'Amministrazione finanziaria; equivarrebbe, infatti, ad attribuire rilevanza a un provvedimento illegittimo, nonostante la censura e la riforma di tale provvedimento da parte dell'Autorità giudiziaria.

Per questi motivi, l'estensione dell'efficacia dell'accordo di ristrutturazione dei debiti è da ritenersi applicabile ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria di quelli che vi aderiscono, non solo quando la transazione fiscale è stata direttamente approvata da questi ultimi, ma anche quando la sua approvazione è stata disposta dal tribunale in via sostitutiva mediante la omologazione forzosa.

I creditori ai quali possono essere estesi gli effetti della transazione fiscale sono, peraltro, per loro natura assai limitati, attesa la necessità che si tratti di creditori della medesima categoria, individuata sulla base dell'omogeneità di posizione giuridica e interessi economici, e possono essere individuati esclusivamente nei creditori pubblici titolari di crediti contributivi (Inps e Inail principalmente) e dei tributi locali (regioni, comuni e province). Pertanto, se la proposta di transazione fiscale viene approvata e i crediti erariali sono rappresentativi di almeno il 75% dei debiti tributari complessivi, il medesimo trattamento previsto dalla proposta di transazione può essere esteso, ad esempio, ai tributi locali esclusi dalla transazione, essendo la posizione degli enti pubblici destinatari degli stessi equiparabile a quella dell'Erario per posizione giuridica e interessi economici.

I presupposti del cram down fiscale

Come detto, anche nel CCII le condizioni da soddisfare ai fini dell'attuazione del cram down fiscale continuano a essere due:

1) il carattere determinante della mancanza di adesione da parte dell'Agenzia delle Entrate;

2) la convenienza del trattamento proposto rispetto all'alternativa liquidatoria.

1)Il carattere “determinante” dell'adesione

L'adesione dell'Agenzia delle Entrate va ritenuta determinante quando di per sé o congiuntamente a quella di altri creditori consente di raggiungere la percentuale richiesta dei crediti complessivi: l'adesione della stessa deve dunque risultare indispensabile per consentire il raggiungimento della percentuale richiesta a seconda del tipo di accordo di ristrutturazione.

Ordinariamente lo è quindi l'adesione del Fisco, se, a titolo esemplificativo, l'ammontare dei suoi crediti e l'ammontare dei crediti di cui sono titolari gli altri creditori aderenti rappresentano rispettivamente il 41% e il 20% dell'esposizione debitoria complessiva dell'impresa proponente. Inoltre, sempre a titolo esemplificativo, l'adesione del Fisco è determinante qualora l'accordo di ristrutturazione proposto concerna unicamente il Fisco e i crediti erariali sono rappresentativi di per sé almeno del 60% dell'esposizione debitoria complessiva negli accordi di ristrutturazione ordinari ovvero almeno del 30% negli accordi di ristrutturazione agevolati.

Che cosa accade però se ognuna delle due adesioni (quella del fisco e quella dell'INPS) risulta decisiva congiuntamente all'altra, ma non considerando anche le adesioni di altri creditori? Si pensi, per esempio, al caso in cui i crediti tributari, i crediti contributivi e i crediti delle banche aderenti rappresentano rispettivamente il 41%, il 20% e il 21% dell'esposizione debitoria complessiva: in questo caso sarebbe possibile considerare non decisiva la mancata adesione dell'INPS, atteso che per raggiungere la maggioranza del 60% sarebbe sufficiente l'adesione del Fisco? In questi casi è da ritenere che le adesioni di altri creditori non possono far venir meno il ruolo decisivo che avrebbero quelle dell'Agenzia delle Entrate e dell'INPS, poiché entrambe le adesioni dovrebbero essere considerate decisive se autonomamente o unitariamente considerate, in quanto i creditori pubblici, rappresentano la maggioranza qualificata richiesta. Per converso la mancanza di adesione da parte dei creditori pubblici dovrebbe essere considerata non decisiva solo quando gli altri creditori aderenti rappresentano da soli il 60% dei crediti.

È vero che l'adozione di questo criterio, circa l'individuazione della natura “determinante” dell'adesione da parte dei creditori pubblici fa sì che il cram down fiscale potrebbe essere disposto quando il consenso degli altri creditori è minore della maggioranza richiesta, ma non quando è maggiore (Cfr. A. Zorzi, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel codice della crisi, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2019, 8-9, 1003 e 1004; G. D'Attorre, La ristrutturazione ‘coattiva' dei debiti fiscali e contributivi negli adr e nel concordato preventivo, in Il fallimento le e altre procedure concorsuali, 2021, n. 2, 155), il che è logico nell'ambito di un procedimento in cui trova applicazione il principio maggioritario, ma non in un diverso contesto qual è quello dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ove l'adesione della maggioranza dei creditori non vincola i creditori di minoranza (tranne che nell'ipotesi di accordo con efficacia estesa). Tuttavia, ad avviso di chi scrive non appare possibile superare il dettato normativo che indubbiamente sembra fare appello al cram down fiscale solo quando strettamente necessario per l'omologazione degli accordi.

Vi è da considerare ciò nonostante che, ai fini di cui trattasi, l'Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali dovrebbero essere considerati come un unico soggetto, poiché è del tutto illogico che, ad esempio in una situazione in cui il credito fiscale rappresenta il 65% dei crediti complessivi e il credito previdenziale solo il 5%, il tribunale possa disporre il cram down relativamente alla transazione fiscale che preveda un soddisfacimento del 30% dei crediti tributari in dieci anni, in quanto conveniente per l'Erario (la cui adesione è al tempo stesso determinante), e non possa disporlo per la transazione previdenziale che preveda il pagamento integrale dei debiti contributivi con una dilazione in cinque anni, sebbene anche tale proposta sia conveniente per l'ente di previdenza, solo perché l'adesione di quest'ultimo non è determinante. In altri termini, il carattere determinante dell'adesione di uno dei creditori pubblici estende il campo di applicazione del cram down agli altri creditori pubblici, ancorché l'adesione di ognuno di essi non sia di per sé determinante.

Sotto altro verso, in dottrina è stato peraltro osservato come il termine “determinante” possa essere interpretato nel significato di “condizionante”, nel senso che l'adesione del Fisco potrebbe considerarsi determinante quando risulti essenziale per la fattibilità giuridica ed economica dell'intero piano di risanamento, in quanto solo lo stralcio dei crediti tributari previsto dalla proposta di transazione potrebbe liberare le risorse necessarie per dar corso al risanamento. Secondo questo indirizzo interpretativo, dunque, per ragioni logico-sistematiche il potere sostitutivo del tribunale andrebbe esercitato “anche quando la posizione del creditore erariale sia, seppur non di maggioranza, comunque idonea a condizionare la misura della soddisfazione degli altri creditori” (Cfr. V. Ficari, Mancata transazione fiscale, ‘interesse' pretensivo del contribuente e poteri giudiziali, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2022, n.5, 601 e 602).

Anche questa tesi, per quanto ragionevole, pare però scontrarsi con la lettera della norma, che collega il carattere determinante dell'adesione al raggiungimento delle percentuali richieste (e non alla concreta fattibilità del piano, che deve essere di per sé già oggetto di attestazione da parte del professionista indipendente).

Va infine riferito che è stata prospettata la possibilità di interpretare le due condizioni previste per il cram down fiscale come tra loro alternative, sicché, una volta appurata dal tribunale la convenienza della proposta, il trattamento ivi previsto sarebbe imposto al Fisco sia quando il consenso dell'Amministrazione finanziaria risulti decisivo, sia quando la maggioranza richiesta sia raggiunta indipendentemente dal consenso del Fisco. In base a questa tesi, in caso di mancata adesione del Fisco sarebbe dunque possibile imporre un determinato trattamento per i crediti erariali (in quanto palesemente conveniente rispetto alla liquidazione) per il solo fatto che l'accordo di ristrutturazione è stato già concluso con altri creditori che rappresentino la maggioranza richiesta, risultando a tal fine non decisiva l'adesione da parte dell'Amministrazione finanziaria ( Così A. Zorzi, op. cit., 1003-1005; G. D'Attorre, La ristrutturazione ‘coattiva', cit., 155).

Come già rilevato, tuttavia, questa conclusione non appare condivisibile, in quanto in senso difforme alla tesi dell'alternatività depongono sia la lettera della norma (in considerazione dell'utilizzo della congiunzione “e”), sia le precisazioni presenti nella relazione illustrativa, ove si spiega che la possibilità di omologare gli accordi di ristrutturazione presuppone che “l'adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge. Occorre inoltre considerare che, se all'accordo di ristrutturazione dei debiti hanno aderito creditori (diversi dal Fisco) che rappresentano almeno il 60% dei creditori e l'attuabilità del relativo piano di risanamento è attestata da un professionista indipendente, la falcidia dei crediti erariali non risulterebbe strettamente necessaria per consentire all'impresa debitrice di uscire dallo stato di crisi. Poiché la “sostituzione d'ufficio” della mancata adesione del Fisco con l'assenso stabilito (in sua vece) da parte del Tribunale competente costituisce una deroga rispetto ai principi generali sulla conclusione di un negozio bilaterale, non pare legittimo estendere tale “sostituzione” a situazioni non espressamente previste dal legislatore, in considerazione della sua natura eccezionale.

L'effetto paradossale del rigetto, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di una proposta che è conveniente per lo stesso Erario, indipendentemente dal raggiungimento delle soglie di cui sopra anche in assenza dell'approvazione di tale proposta da parte del Fisco e l'emersione del danno erariale che deriva da tale condotta, dunque giustificano certamente una correzione, ma ciò, ad avviso di chi scrive, può avvenire esclusivamente tramite una modifica legislativa del testo normativo (e non in via meramente interpretativa). Modifica che è certamente da auspicare, anche in considerazione del fatto che attraverso l'omologazione forzosa - come già si è osservato – il legislatore ha fornito al contribuente una reale tutela giurisdizionale avverso gli illegittimi provvedimenti di rigetto adottati dall'Amministrazione finanziaria, di cui vi è bisogno ogniqualvolta un provvedimento sia illegittimo, indipendentemente dal fatto che l'adesione dell'ente pubblico che lo ha adottato sia, o meno, anche determinante ai fini del raggiungimento della soglia di efficacia dell'accordo prevista dalla legge.

2)La “convenienza” della proposta di transazione fiscale

L'ulteriore condizione richiesta, affinché l'accordo possa essere omologato anche in assenza di un espresso consenso (con conseguente efficacia degli effetti che ne derivano con riguardo al trattamento dei crediti erariali), è che il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dall'impresa debitrice si riveli, anche alla luce delle risultanze dell'attestazione resa da un professionista indipendente, più conveniente rispetto a quello derivante dall'alternativa liquidazione.

Tuttavia, nel decreto legislativo correttivo si prevede, con riguardo al concordato preventivo con continuità aziendale, l'introduzione dell'ulteriore criterio del trattamento non deteriore, mentre con riguardo all'omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione tale integrazione non è al momento prevista. Verosimilmente il mancato richiamo al trattamento non deteriore (invero assente anche nella seconda parte del comma 1, relativamente al contenuto dell'attestazione) è dovuto al fatto che il legislatore ha ritenuto di integrare così l'art. 88 (che disciplina la transazione fiscale nel concordato preventivo) solo per coordinarne le norme con la nuova disciplina del concordato con continuità aziendale, interamente informata alla distinzione tra il valore di liquidazione (da distribuire secondo la regola della priorità assoluta) e il surplus concordatario (distribuibile secondo la regola della priorità relativa).

Ciò nonostante, atteso che la concreta applicazione del criterio del trattamento non deteriore (ovvero del trattamento equivalente a quello spettante in caso di liquidazione giudiziale) può dare luogo a talune differenze rispetto all'applicazione del trattamento conveniente (che evidentemente presuppone un quid pluris), la scelta adottata dal legislatore appare anche in questo caso, se non discriminatoria, quanto meno non omogenea, in considerazione del fatto che il più delle volte gli accordi di ristrutturazione sono diretti proprio a salvaguardare la continuità aziendale.

La compatibilità con le regole UE

Un'ultima questione da affrontare consiste nel verificare la compatibilità della disciplina del cram down fiscale prevista dal CCII con le norme sulla cosiddetta “ristrutturazione trasversale” (ovvero “regola di non discriminazione”) contenuta nella direttiva, posto che – come si avrà modo di riferire a breve – essa è stata messa in dubbio in dottrina. Se così fosse, potrebbe infatti sussistere il rischio che i tribunali, nel decidere se omologare o meno le proposte di transazione fiscale ai sensi del comma 2-bis dell'art. 63, le rigettino nonostante la acclarata presenza dei due presupposti testé illustrati, ove ritengano detta norma in contrasto con la normativa euro-unionale (in ordine a questa tematica, ci si limita a riferire in questa sede che, secondo l'insegnamento della Corte di Giustizia (si veda per tutti la sentenza 25 maggio 1993, causa 193/91), si definiscono self-executing le direttive UE talmente dettagliate nei propri contenuti da escludere qualsiasi discrezionalità da parte degli Stati membri e da poter essere così eseguite anche in assenza di un apposito provvedimento di attuazione. Se una direttiva UE soddisfa questa condizione, essa può incidere direttamente nella sfera giuridica del singolo cittadino nei rapporti tra il singolo e lo Stato inadempiente, sicché il giudice è tenuto ad applicarla direttamente ovvero a disapplicare la normativa nazionale laddove ritenuta contrastante con il suo contenuto).

A questo proposito occorre in sintesi rammentare che, in base alle disposizioni contenute nella direttiva, è possibile individuare tre distinti istituti per la ristrutturazione delle imprese in crisi:

1) la ristrutturazione che, ai sensi degli artt. 6 e 7 della direttiva, si perfeziona con il consenso di alcuni creditori e che consente di beneficiare di misure protettive. Nel nostro ordinamento corrisponde agli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 57 e all'art. 60 del CCII;

2) la ristrutturazione che, ai sensi degli artt. 9 e 10 della direttiva, si perfeziona con il consenso di una maggioranza qualificata di creditori, ma il cui contenuto può assumere carattere vincolante anche per i creditori non aderenti rientranti nella medesima categoria dei creditori aderenti. Nel nostro ordinamento corrisponde agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all'art. 61 del CCII nonché al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione di cui all'art. 64-bis del CCII;

3) la ristrutturazione disciplinata dall'art. 11 della direttiva, basata sul voto della maggioranza dei creditori, che vincola anche i creditori dissenzienti e che è perciò denominata “ristrutturazione trasversale” (o “cross class cram down”). Nel nostro ordinamento corrisponde al concordato preventivo (Cfr. in tal senso L. Stanghellini, Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi, in Rivista di diritto societario, n. 2/2020, 311 ss.; G. D'Attorre, La ristrutturazione ‘coattiva' …, cit., 162 e 163).

Mentre il cram down previsto per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa si applica ai creditori non aderenti all'imprescindibile condizione che essi appartengano a una classe che per posizione giuridica e interessi economici è omogenea a quella cui appartiene la classe di creditori che vi hanno aderito con la maggioranza qualificata di (almeno) il 75%, l'art. 11, paragrafo 1, della direttiva stabilisce che, “affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all'articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa su proposta del debitore o con l'accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti”, esso:

a) deve incidere sui crediti o sugli interessi delle parti interessate dissenzienti e deve prevedere nuovi finanziamenti;

b) deve essere stato approvato dalla maggioranza delle classi di voto di parti interessate, purché almeno una di esse sia una classe di creditori garantiti o abbia rango superiore alla classe dei creditori non garantiti, oppure in mancanza da almeno una delle classi di voto di parti interessate (Se previsto dal diritto nazionale, il piano può essere stato approvato anche soltanto dalle parti che subiscono un pregiudizio, diverse da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale);

c) deve assicurare che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori, quindi secondo la regola della priorità relativa sancita prima nel comma 1 dell'art. 182-ter L. fall. e ora, con riguardo al concordato preventivo, nell'art. 88, comma 1, CCII;

d) nessuna classe di parti interessate può ricevere o conservare in base al piano di ristrutturazione più dell'importo integrale dei crediti o interessi che rappresenta.

Ciò posto, occorre chiedersi se la previsione speciale sul cram down fiscale, “trasferita” nel comma 2-bis dell'art. 63 CCII, sia idonea ad attrarre nella fattispecie della “ristrutturazione trasversale” gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 57 o all'art. 60 e, per l'effetto, si rendano perciò applicabili le regole imposte dal paragrafo 1 dell'art. 11 della direttiva e, in particolare, quella indicata sub c) relativamente al trattamento non deteriore.

A questa domanda ha risposto positivamente, con riferimento al testo del CCII previsto anteriormente alle modifiche introdotte con il decreto legislativo in commento, la dottrina dapprima citata, secondo cui “la ristrutturazione ‘coattiva' dei debiti fiscali e contributivi può essere ricondotta alla terza tipologia, ossia alla ‘ristrutturazione trasversale', in quanto si vincola un'intera classe di creditori dissenzienti (l'amministrazione), che ha posizione giuridica e interessi economici non omogenei con quelli dei creditori consenzienti” (Così sempre G. D'Attorre, La ristrutturazione ‘coattiva' …, cit., 162. In tal senso si era espresso anche A. Zorzi, op. cit., 1004, nota n. 50); ciò perché il meccanismo del cram down fiscale consente di considerare l'assenso dell'Amministrazione finanziaria ai fini del raggiungimento della maggioranza qualificata richiesta (se tale assenso è decisivo a tal fine e se la proposta di transazione fiscale è conveniente), ma non “trasforma” per questo l'Erario da creditore dissenziente a creditore aderente.

Alla qualificazione dell'accordo di ristrutturazione imposto all'amministrazione in termini di “ristrutturazione trasversale” conseguirebbe, quindi, l'applicazione della regola della priorità relativa, ovverosia la regola di assicurare all'Amministrazione finanziaria un trattamento non deteriore rispetto a quello previsto per i creditori di grado successivo. Poiché solitamente tra i creditori rimasti estranei all'accordo di ristrutturazione figurano creditori titolari di crediti chirografari, risulterebbe dunque impedita dall'art. 11, paragrafo 1, lett. c), della direttiva l'omologazione forzosa della proposta di transazione fiscale (rigettata dall'Erario) qualora preveda lo stralcio o anche la semplice dilazione del credito tributario assistito da privilegio: infatti “in tale ipotesi il credito privilegiato del creditore dissenziente (l'amministrazione) riceverebbe un trattamento inferiore, in termini di percentuale o tempi di pagamento, rispetto al credito di rango inferiore del creditore estraneo, che viene pagato integralmente e con la sola moratoria legale di centoventi giorni”.

L'unico modo per consentire lo stralcio anche della porzione di credito privilegiato dell'amministrazione sarebbe, perciò, “quello di dimostrare che il trattamento dei creditori estranei chirografari avviene con finanza esterna, come tale liberamente distribuibile”.

La sussistenza di un presunto contrasto tra il cram down fiscale e l'art. 11 della direttiva, per esempio, è stata rilevata dal Tribunale di Trani, decr. 21 dicembre 2021, che addirittura ha ritenuto applicabile tale norma ancor prima dell'approvazione del decreto legislativo destinato a darne attuazione nell'ordinamento nazionale e dell'entrata in vigore del CCII (Cfr. F. Cossu, La comparabilità del cram down fiscale negli adr con la Direttiva (UE) n. 1023/2019 e il percorso intrapreso dal legislatore italiano, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 5/2022, 691 ss.).

I giudici pugliesi, pur riconoscendo che ai sensi dell'art. 180, comma 4, L. fall. negli accordi di ristrutturazione sussiste il potere del tribunale di esercitare il cram down fiscale e contributivo anche in caso di diniego espresso (e non solo in caso di inerzia) della proposta di transazione manifestato attraverso il voto contrario dei creditori pubblici, hanno respinto la domanda di omologazione della proposta di transazione fiscale, in quanto la proposta prevedeva il pagamento parziale dei tributi erariali nella misura del 45,52% del debito originario, a fronte del pagamento integrale dei creditori estranei, titolari di crediti chirografari e dunque postergati rispetto ai cediti erariali di cui si richiedeva lo stralcio. Condividendo in pieno l'indirizzo interpretativo dapprima citato, tali giudici hanno quindi ritenuto che l'accordo proposto non potesse essere omologato per la ragione assorbente, rispetto ad ogni altra considerazione, “della sua incompatibilità con la normativa comunitaria e, in particolare, con le regole previste dalla Dir. UE 1023/2019concernenti i limiti per l'omologa dei piani di ristrutturazione che contemplino una ‘ristrutturazione trasversale', ossia una ristrutturazione attuata (come nel caso della proposta in questione, in virtù dell'art. 182-bis, comma quarto, più volte richiamato) malgrado il dissenso espresso da una classe dissenziente e che, ciò nondimeno, sia per questa vincolante”. Infatti, “in questo modo il credito privilegiato del creditore dissenziente (l'amministrazione finanziaria) riceverebbe un trattamento inferiore, in termini sia di percentuale che di tempi di pagamento, rispetto al credito di rango inferiore dei detti creditori chirografari estranei all'accordo, che dovrebbero invece essere pagati integralmente e con la sola moratoria legale di centoventi giorni, senza peraltro che risulti che il pagamento di questi ultimi avvenga con finanza esterna”.

La corrente di pensiero sopra riportata non è tuttavia condivisibile per una serie di ragioni. Innanzitutto, non è affatto assodata la riconducibilità dell'accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale alla fattispecie della “ristrutturazione trasversale”, posto che questa richiede la previa suddivisione in classi dei creditori e l'approvazione del piano di ristrutturazione da parte della maggioranza delle classi di voto, con il necessario coinvolgimento, dunque, di tutte le parti interessate. Inoltre, la regola della priorità relativa opera, in deroga alla regola della priorità assoluta, nella distribuzione dell'attivo dell'impresa debitrice, il che presuppone, a monte, la necessità di rispettare le regole del concorso nella distribuzione dell'attivo della società debitrice.

Orbene nessuno di questi presupposti ricorre con riguardo all'accordo di ristrutturazione dei debiti, a differenza di quanto accade per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione ai sensi dell'art. 64-bis o per il concordato preventivo; tant'è che il nuovo CCII, rispettivamente nel medesimo art. 64-bis e nell'art. 84, prevede espressamente per entrambi gli istituti la deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c., relativamente alle regole da ottemperare nella distribuzione dell'attivo dell'impresa debitrice.

Lo dimostra proprio l'operato del legislatore, che nell'ambito del decreto legislativo in commento, ha escluso in radice il dovere di adeguare le norme regolanti gli accordi di ristrutturazione dei debiti (tra cui l'art. 63 CCII) ovvero di renderle compatibili con le regole imposte dall'art. 11 della direttiva sulle “ristrutturazioni trasversali” (al contrario di quanto accaduto per la disciplina del concordato preventivo). Non solo: come dianzi riferito, con l'entrata in vigore del CCII nella disciplina della transazione fiscale attuata nell'ambito degli accordi di ristrutturazione viene eliminato tout court qualsiasi riferimento al raffronto tra il trattamento offerto al Fisco e quello offerto ai creditori di rango inferiore.

Inoltre, se è vero che ai sensi dell'art. 63, comma 2-bis, del nuovo CCII, negli accordi di ristrutturazione sussiste il potere del tribunale di esercitare il cram down fiscale e contributivo anche in caso di diniego espresso della proposta di transazione manifestato attraverso il voto contrario dei creditori pubblici, è altrettanto vero che tale potere non potrebbe essere mai esercitato in concreto, se la proposta di transazione fiscale dovesse prevedere un trattamento non deteriore rispetto ai creditori estranei, posto che in tal caso, considerato che qualche creditore non aderente è sempre presente e, a norma dell'art. 182-bis, deve essere pagato integralmente ed entro centoventi giorni dalla omologazione, il pagamento dei debiti fiscali dovrebbe anch'esso essere eseguito in misura integrale entro il medesimo termine.

Dunque, l'interpretazione restrittiva sopra riportata risulta in contrasto con la ratio dell'omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione, ovverosia proprio per il primo istituto con riguardo al quale il cram down è stato introdotto dal CCII.

Infine, ma non da ultimo, occorre rilevare che il secondo periodo del paragrafo 2 dell'art. 11 della direttiva stabilisce quanto segue: “Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni che derogano al primo comma, qualora queste siano necessarie per conseguire gli obiettivi del piano di ristrutturazione e se il piano di ristrutturazione non pregiudica ingiustamente i diritti o gli interessi delle parti interessate”. Pertanto, anche qualora gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 57 o all'art. 60 CCII con transazione fiscale potessero effettivamente rientrare nella fattispecie della “ristrutturazione trasversale”, la previsione contenuta nel comma 5 dell'art. 48 (destinata a essere trasferita nel nuovo comma 2-bis dell'art. 63) è da considerarsi comunque compatibile con l'art. 11 della direttiva, in quanto costituente espressione di detta facoltà di deroga.

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