Le pretese patrimoniali dei sottoscrittori degli strumenti finanziari partecipativi in caso di fallimento dell'emittente

Marco Pellegrino
15 Luglio 2022

La riforma del diritto societario ha inciso fortemente sulla struttura finanziaria delle società di capitali, aggiornando la disciplina degli strumenti tradizionali di raccolta della provvista ed introducendo innovativi meccanismi di reperimento delle risorse finanziarie a servizio dell'attività di impresa. In particolare, è stata prevista la possibilità di emettere, a fronte dell'apporto di attivi anche non imputabili a capitale, “strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti” (art. 2346 comma 6 c.c.). Una decisione del Tribunale di Bologna offre lo spunto per analizzare il trattamento dei “diritti patrimoniali” dei sottoscrittori degli SFP nel caso di apertura del concorso fallimentare della società emittente.
Premessa

Uno degli elementi più significativi della riforma del diritto societario è rappresentato dall'ampliamento delle tecniche di patrimonializzazione delle società di capitali e dalla diversificazione delle modalità di reperimento della provvista, di rischio e di debito, a servizio dell'attività d'impresa, secondo una direttrice volta a favorire l'afflusso di risorse finanziarie dal mercato dei capitali (B. Lonato, Gli strumenti finanziari partecipativi, un'alternativa per le s.p.a. e le s.r.l. “innovative” e per le società quotate, in ilsocietario.it, 29 aprile 2020).Tale obiettivo, nel comparto azionario, è stato perseguito arricchendo la gamma dei titoli di debito e delle tipologie partecipative (G.C. M. Rivolta, Sulle tipologie partecipative nel nuovo diritto delle società, in Società, banche e crisi d'impresa, Liber amicorum Pietro Abbadessa, 1, 2014) ed estendendo i margini di intervento dell'autonomia statutaria nella definizione dei contenuti sia della fattispecie obbligazionaria (Galletti, Elasticità della fattispecie obbligazionari: profili tipologici delle nuove obbligazioni bancarie, in Banca borsa tit. di cred., 1997) che di quella partecipativa (N. Abriani, Delle azioni e gli altri strumenti finanziari partecipativi, Il nuovo diritto societario, in Commentario, dir. da Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, 2004).

E' stata riconosciuta, inoltre, la possibilità di emettere, a fronte dell'apporto di valori (somme di denaro, ma anche beni, opere o servizi non imputabili a capitale o ancora, nelle operazioni di ristrutturazione finanziaria più complesse, sulla scorta della conversione di crediti) “strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti” (art. 2346, comma 6, c.c.).

La norma, nella sua stringatezza, affida essenzialmente all'autonomia statutaria il compito di fissare i contenuti di dettaglio degli SFP (la disposizione normativa prevede che “lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”).

Una decisione del Tribunale di Bologna (decreto del 1° ottobre 2020, in IlFallimentarista, con nota di G. Gerbini, Gli strumenti di finanziamento ibrido nel fallimento della società emittente, 10 marzo 2021; cfr. anche nota di Pototsching – S. Trevisan, Disciplina e prova dei diritti portati dagli strumenti finanziari partecipativi, in Le società, 2021, 1231) offre lo spunto per analizzare la sorte dei “diritti patrimoniali” dei sottoscrittori degli SFP, e non ancora integralmente rimborsati, nel caso di apertura del concorso fallimentare della società emittente.

Si tratta di uno dei pochi precedenti in materia (sul tema anche Trib. di Napoli, Sez. Impr. 24 febbraio 2016, con nota di S. Di Nola – A. Restuccia, Brevi note sull'applicabilità della disciplina del capitale sociale agli strumenti finanziari partecipativi “a tutto rischio”, in Giur. Comm. 2017, 4; con nota di G. Mignone, Strumenti finanziari partecipativi del genere “mezzanino”: se sei riserva non puoi fare il capitale, in Banca borsa tit. di cred., 2017; con nota di C. Giovanna, in ilsocietario.it, 28 ottobre 2016) e l'esame delle questioni sottese permette di svolgere una seppur breve ricognizione della disciplina degli SFP e delle regole di contabilizzazione in bilancio.

La disciplina degli SFP

Sono noti i termini del dibattito in ordine alla corretta qualificazione degli SFP e, correlativamente, della disciplina applicabile.

Tra i profili maggiormente indagati viene in risalto la causa giuridica sottostante all'emissione dei suddetti strumenti, da taluni ricondotti nell'alveo di un rapporto assimilabile all'associazione in partecipazione (Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl, XXIX, 2003; C. Angelici, La riforma delle società di capitali, Lezioni di diritto commerciale, 2003) da altri nel novero dei titoli di debito (P. Spada, Provvista del capitale e strumenti finanziari, Banca borsa tit. di cred., 2009) mentre secondo altra tesi configurerebbero strumenti di “rischio” corrispondenti a quelli che vengono definiti “quasi capitale” (in quanto non assoggettabili a restituzione con conseguente sottoposizione al rischio di impresa).

In via di estrema sintesi, può dirsi che il dibattito sulla natura degli SFP sia pervenuto alla conclusione che il silenzio del legislatore, sulla loro qualificazione, risponda alla scelta consapevole di delegare all'autonomia statutaria la possibilità di delinearne il contenuto e la natura, e quindi di declinarli come strumenti di debito (in modo da accostarli alle obbligazioni) o di quasi- capitale (D'Attore, Perdite della società e tutela dei titolari di strumenti finanziari partecipativi – Il commento, in Notariato, 3/2016; F. Fimmanò, Assetti rigidi e assetti variabili nell'articolazione del patrimonio delle S.p.a., in Giur. Comm. 2005; G. Mignone, Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003- 2009).

Si è affermato, infatti, che gli strumenti finanziari contemplati dall'art. 2346 comma 6 c.c. rappresentano “una struttura vuota”, il cui tratto unificante è dato dalla possibilità di prevedere la partecipazione al funzionamento dell'organizzazione sociale dei relativi titolari, e ciò attraverso la previsione di diritti amministrativi il contenuto dei quali deve essere di volta in volta determinato dall'autonomia negoziale, unitamente alla causa giuridica dell'attribuzione ed ai diritti di natura patrimoniali verso l'emittente (A. Valzer, Commento all'art. 2346 comma 6, in Le società per Azioni, dir. da Abbadessa – Portale, 2016). La società ha in dotazione un'ampia autonomia nel modellare la fattispecie “in ragione della potenziale infinita capacità di ibridazione” del titolo (S. Di Nola – A. Restuccia, Brevi note sull'applicabilità della disciplina del capitale sociale agli strumenti finanziari partecipativi “a tutto rischio”, Giur. Comm. Cit.; Enriques, Quartum non datur: appunti in tema di “strumenti finanziari partecipativi” in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, Banca borsa tit. di cred, 2005, I) e stante la “neutralità causale” degli SFP come delineati nell'art. 2346 comma 6 c.c. (Notari, Azioni e strumenti finanziari: confini della fattispecie e profili di disciplina, Banca borsa tit. di cred., 2003; anche in Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari partecipativi, in A.A.V.V., Il Nuovo ordinamento delle società, Milano, 2003; R. Scarabino, Gli strumenti finanziari partecipativi: inquadramento tipologico della fattispecie e profili di disciplina, LUISS G. Carli, 2009).

Onde, è lo statuto o la delibera di emissione ad orientare l'interprete e, sul punto, il provvedimento del Tribunale di Bologna da cui si è tratto spunto si inscrive in quello che può affermarsi sia l'orientamento ormai prevalente (Trib. di Napoli, 24 febbraio 2016 cit.; M. Notari, Gli strumenti finanziari partecipativi; punti fermi e problemi aperti negli orientamenti interpretativi del notariato milanese, in Riv. Società, 2017; Cons. Notarile di Milano, Massima n. 164, Diritti patrimoniali degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346 comma 6 c.c.), 7 novembre 2017).

Pertanto, a seconda della specifica regolamentazione data nello statuto o nella delibera di emissione, gli SFP potranno innestarsi su rapporti essenzialmente creditizi, e quindi essere ricondotti al capitale di debito tutte le volte in cui sia previsto il diritto alla restituzione dell'apporto in favore del sottoscrittore, ovvero su rapporti più propriamente partecipativi che consentiranno all'interprete, laddove il versamento stesso non sia restituibile e si atteggi come “irredimibile”, di ricondurli al capitale di rischio (R. Costi, Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in Abbadessa, Portale, Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2006).

La diversa collocazione degli SFP tra il capitale di rischio o il capitale di debito, riflette una diversa rappresentazione contabile dell'attribuzione patrimoniale: ove non sia prevista la restituzione del capitale, il relativo controvalore deve essere contabilmente inserito in un'apposita riserva del patrimonio netto, mentre se prevista la restituzione dell'apporto il controvalore deve essere contabilmente collocato come debito (R. Costi, Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, cit.).

Questioni interpretative e contabilizzazione degli SFP

E' noto che, al fine di procedere alla corretta qualificazione di un'attribuzione patrimoniale da parte di soci o di terzi, ed in favore della società, occorra indagare l'effettiva volontà delle parti, e ricostruirla secondo i consueti canoni dell'ermeneutica contrattuale (Cass. 21 maggio 2002, n. 7427; Cass. 19 luglio 2000, n. 9471).

In tale indagine, sempre secondo il tradizionale insegnamento di legittimità, non è decisiva l'allocazione nel bilancio della relativa posta (Cass. 3 dicembre 2014 n. 25585; Cass. 13 luglio 2012, n. 12003; Cass. 23 febbraio 2012 n. 2758; Cass. 30 marzo 2007 n. 8980; Cass. 31 marzo 2006, n. 7692). Infatti, il bilancio e le altre scritture contabili sono meri strumenti di rappresentazione del fatto di gestione, onde nessun valore decisivo possono avere le relative appostazioni sulla natura, efficacia o effetti delle obbligazioni sottese alle poste ivi inserite. Solo in assenza di una chiara manifestazione di volontà, può essere utile la terminologia adottata nel bilancio, e la collocazione dell'apporto può costituire un valido indice (Cass. 23 marzo 2017, n. 747; Cass. 13 agosto 2008, n. 21563; Cass. 30 marzo 2007, n. 7980; App. Roma 17 agosto 2005).

Nella fattispecie sottoposta al vaglio del Tribunale di Bologna, chiamato a decidere su un'opposizione al decreto di esecutività dello stato passivo proposta dal titolare degli SFP emessi dalla società poi dichiarata fallita, e la cui pretesa era stata esclusa dallo stato passivo, la disciplina statutaria dei titoli posti a fondamento della domanda di partecipazione al concorso prevedeva, a favore dei sottoscrittori, il diritto di esercitare il recesso decorso un certo lasso di tempo, con correlato obbligo di restituzione dell'apporto in capo alla società.

Onde, sotto tale profilo, non vi erano soverchie difficoltà a ricondurre gli SFP nell'ambito del capitale di debito e, secondo le regole contabili, la società avrebbe dovuto bilanciare l'apporto rifluito per effetto della sottoscrizione dei titoli con la registrazione di un debito verso i titolari.

Il Tribunale è pervenuto, invece, ad una conclusione diversa valorizzando, da un lato, il fatto che il rimborso fosse previsto “solo in casi particolari, cioè a seguito dell'esercizio del diritto di recesso da parte del sottoscrittore, non consentito prima del decorso di cinque anni” e, dall'altro, che nel regolamento degli SFP si recasse quanto segue: “gli apporti saranno integralmente imputati ad una riserva denominata riserva strumenti finanziari partecipativi (..) la quale costituisce una voce del patrimonio netto dell'Emittente, non distribuibile tra gli azionisti” (cfr. Trib. Bologna, cit.).

Il ragionamento non è del tutto convincente.

Gli SFP ex art. 2346 comma 6 c.c. andrebbero iscritti in bilancio come debiti “anche nell'ipotesi di postergazione ad altri creditori, atteso che le condizioni, le modalità ed i tempi del rimborso non alterano il fatto che si tratta sempre di rimborso di un debito della società“ (Libonati, Gli strumenti finanziari partecipativi, in La società per azioni oggi. Tradizione, attualità e prospettive, 2007). Solo se l'apporto non è restituibile (ipotesi del prestito irredimibile) devono essere inseriti in un'apposita riserva del netto, mentre in tutti i casi in cui è previsto il diritto alla restituzione, pur aleatorio che sia, il relativo valore dovrebbe figurare contabilmente come debito (M. Tarabussi, Strumenti finanziari partecipativi, diritto di recesso e principi contabili internazionali: esiste ancora il sistema del netto?, in Giur. Comm. 2007).

Onde si può dubitare che, nel caso concreto, l'imputazione ad una riserva del netto degli importi rinvenienti dalla sottoscrizione degli SFP fosse una soluzione contabilmente corretta e coerente con la sostanza economica dell'operazione. La collocazione nel netto dovrebbe ospitare, infatti, i versamenti stabilmente effettuati alla società, e rimborsabili solo attraverso le procedure organizzative dell'ente, mentre i valori suscettibili di essere rimborsati all'esito di una richiesta dell'apportante, ancorché sottoposta a termine o a condizione (nella fattispecie l'esercizio del diritto di recesso decorso il quinquennio) dovrebbero essere rappresentati nel passivo reale del bilancio della società.

Nella fattispecie sottoposta all'attenzione del Tribunale bolognese, l'attribuzione ai sottoscrittori degli SFP del diritto, contrattuale e verso l'emittente, di recedere e di ottenere la restituzione dell'apporto, benché il diritto di exit fosse sottoposto a termine, avrebbe dovuto essere maggiormente valorizzata durante tutto il percorso ermeneutico. Sicché, non poteva ravvisarsi nella mera adesione dei prenditori degli SFP al regolamento di emissione contenente la clausola prevedente, come si è visto, la formazione di una “riserva strumenti finanziari partecipativi (..) non distribuibile tra gli azionisti”, un'ipotetica manifestazione di volontà dell'apportante di eseguire un versamento sostanzialmente a fondo perduto.

Gli è che, piuttosto, quella “targatura” della riserva avrebbe dovuto sospingere l'interprete ad intravedere, al più, una riserva assoggetta ad una particolare disciplina (M.S. Spolidoro, Riserve targate, in Società, banche e crisi d'impresa, in Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol 1, 2014; M. Notari A. Giannelli, Commentario all'art. 2346 comma 6 c.c., in Commentario alla riforma del diritto societario, diretto da Marchetti- Bianchi- Ghezzi -Notari, Milano, 2008) ben potendosi interpretare il sintagma “non distribuibile agli azionisti” nel senso che la riserva rappresentativa degli SFP potesse essere oggetto di distribuzione/restituzione solo ai relativi sottoscrittori.

Il fallimento dell'emittente

Le pretese creditorie verso l'emittente, atteggiantisi come diritto alla restituzione dell'apporto ed ove rinvenibili dallo statuto o dalla delibera di emissione, sono suscettibili di collocazione nel passivo fallimentare dell'emittente. Ed invero, in tal caso, la struttura causale dell'operazione è del tutto accostabile ad un mero finanziamento di terzi.

Posto che, come si è detto e come peraltro emerge dal dato testuale dell'art. 2436, comma 6, c.c., la disciplina dei diritti patrimoniali dei sottoscrittori degli SFP rinviene dallo statuto o dalla delibera di emissione, appaiono essere del tutto coerenti le conseguenze sul piano probatorio che il Tribunale di Bologna ha fatto discendere da tale premessa, e cioè che spetta al creditore che agisca in sede di verifica del passivo fallimentare provare gli elementi costitutivi della pretesa e quindi, nella fattispecie, “per dare la dimostrazione del proprio credito ai fini dell'insinuazione al passivo, il titolare di questi strumenti ha l'onere di produrre lo statuto e il regolamento che regola la loro disciplina” (Tribunale di Bologna cit.). Il credito restitutorio troverà collocazione chirografaria e, ove prevista convenzionalmente una clausola di postergazione, le relative pretese troveranno soddisfacimento secondo la regolamentazione statutaria del concorso tra i titolari degli SFP e gli altri creditori sociali.

Come si è visto, non deve precludere la riconduzione degli SFP al capitale di debito la clausola che lega il diritto alla restituzione del valore apportato al verificarsi di una condizione o al decorso di un termine, poiché si tratta comunque di operazioni di carattere creditizio che generano debiti della società verso i sottoscrittori. Nel primo caso torna acconcio il meccanismo dell'ammissione con riserva secondo quanto dispongono gli art. 55 comma 3, l.fall. e 96, comma 2, l.fall. mentre, nel caso in cui il termine cui è subordinato il diritto alla restituzione del capitale non sia ancora spirato al momento della dichiarazione giudiziale dell'insolvenza, troverà applicazione il principio generale di cui all'art. 55, comma 2, l.fall., ed in base al quale “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento” (Pototsching – S. Trevisan, Disciplina e prova dei diritti portati dagli strumenti finanziari partecipativi, cit.).

Laddove gli SFP emessi siano caratterizzati, invece, da una causa concreta di rischio, e pertanto partecipino al rischio della restituzione del capitale, i relativi finanziatori si presenteranno come “residual claimant”.

La relativa riserva da SFP, in quanto riserva facoltativa inclusa nel patrimonio netto, parteciperà alla copertura delle perdite prima che queste abbiano intaccato il capitale sociale, e sarà quindi suscettibile di essere erosa dai risultati negativi della gestione prima del capitale stesso.

Infatti, il funzionamento del sistema del netto poggia sulla regola inderogabile in esito alla quale le perdite assorbono prima le voci del patrimonio netto diverse dal capitale, e solo come ultima posta quella del capitale sociale. Onde, dalla “stratificazione del netto”, che impone che le perdite incidano, assorbendole, prima sulle riserve facoltative e quelle statutarie, poi sulle riserve legali ed infine sul capitale sociale, discende la compressione delle aspettative economiche degli investitori in SFP (declinati come quasi – capitale) in caso di fallimento e quindi di patrimonio netto negativo dell'emittente. (Spada, Provvista del capitale e strumenti finanziari, in Scritti memoria di Vittorio Sgroi 2008).

In conclusione

Le pretese creditorie verso l'emittente, rinvenibili dagli SFP veicolanti diritti di credito verso la società, sono suscettibili di collocazione nei riparti del ricavato della liquidazione fallimentare, secondo le regole dei debiti pecuniari nel fallimento dettate dall'art. 55 L.fall.

Quanto, invece, agli SFP che si collocano sul versante del capitale di rischio, l'attribuzione alla società in sede di sottoscrizione non è restituibile per mera iniziativa del finanziatore, ma solo attraverso le procedure organizzative dell'ente (delibere degli organi competenti). Inoltre, dalla gerarchia delle poste patrimoniali e dal grado di maggior indisponibilità del capitale sociale rispetto alle riserve, discende che i sottoscrittori finiscono per rispondere delle perdite prima ancora dei soci stessi (per una diversa soluzione cfr. A. Valzer, Commento all'art. 2346 comma 6, in Le società per Azioni, cit.).

Pervero, nell'ipotesi, non certamente remota, in cui le politiche di bilancio non abbiano fatto constare le perdite potenzialmente erosive della riserva SFP, e faccia difetto, pertanto, il dato formale rappresentativo del risultato negativo, periodico o complessivo, della gestione, si può anche ritenere che il diritto alla quota di liquidazione dei sottoscrittori degli SFP possa essere soddisfatto. Ciò secondo le regole statutarie che disciplinano il concorso degli azionisti e dei sottoscrittori degli SFP, ed ovviamente laddove vi sia capienza nel patrimonio responsabile all'esito del soddisfacimento di tutti i creditori sociali.

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