Tutela ex art. 700 c.p.c. e sospensione del sanitario non vaccinato

Teresa Zappia
15 Luglio 2022

Tenuto conto del quadro normativo generale in cui si inserisce l'obbligatorietà della vaccinazione ex art. 4 D.L. n. 44/2021, non sussiste il fumus bonis iuris con riferimento all'asserita illegittimità...
Massima

Tenuto conto del quadro normativo generale in cui si inserisce l'obbligatorietà della vaccinazione ex art. 4 D.L. n. 44/2021, non sussiste il fumus bonis iuris con riferimento all'asserita illegittimità del provvedimento datoriale di sospensione del dipendente operante presso una struttura sanitaria, sebbene lo stesso abbia contratto il virus SARS-Cov2 e sia guarito.

Il fatto

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. il ricorrente, infermiere presso un ente ecclesiastico ospedaliero, lamentava l'illegittimità del provvedimento, datato 23 febbraio 2022, con il quale era stato sospeso dal lavoro, senza retribuzione, per inidoneità alla prestazione lavorativa, nonostante l'intervenuta guarigione da Covid-19 da cui era stato colpito.

Chiedeva, pertanto, la caducazione degli effetti ex tunc del suddetto provvedimento e, per l'effetto, la condanna dell'ente ospedaliero all'immediata riammissione nel posto di lavoro, anche con mansioni inferiori.

L'ente-datore si costituiva in giudizio, sostenendo il difetto del fumus boni iuris nonché del periculum in mora, chiedendo il rigetto della domanda.

La vicenda aveva visto l'ente ospedaliero invitare il ricorrente, mancante della vaccinazione anti Covid-19, a presentarsi a visita con il medico competente per il giorno 5 ottobre 2021, onde rispettare i termini di legge fissati per il conseguimento del Green pass, necessario per l'accesso ai luoghi di lavoro.

Dopo essere stato contagiato e guarito dal virus SARS-CoV-2, in data 12 gennaio 2022 il ricorrente comunicava all'ente-datore il proprio status di guarito.

Seguiva il giudizio di idoneità lavorativa alla mansione specifica ai sensi dell'art. 41, co. 8, D.lgs. n. 81/2008, con prescrizione della vaccinazione anti Covid-19 come da indicazioni ministeriali previste per gli operatori sanitari.

Il ricorrente rientrava in servizio il 24 gennaio 2022 e il 23 febbraio 2022 il medico competente dichiarava l'impossibilità del lavoratore di prestare servizio in ambiente sanitario, con conseguente sospensione disposta dall'ente ospedaliero il quale, tra l'altro, invitata il ricorrente a sottoporsi alla somministrazione dell'unica dose di vaccino in data 12 aprile 2022.

La questione

Sussiste il fumus bonis iuris qualora il dipendente di un ente ospedaliero, sebbene guarito dal virus Covid-19, sia sospeso dal sevizio perché non vaccinato?

La soluzione del tribunale

Il Tribunale di Bari, tenuto conto della documentazione in atti e del dettato normativo in tema di tutela cautelare atipica, ha osservato che il provvedimento d'urgenza richiesto dal lavoratore ex art. 700 c.p.c. presuppone che ricorrano congiuntamente i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Quanto al primo dei due presupposti, il giudice barese ha rammentato che esso deve intendersi quale verosimile esistenza del diritto che il ricorrente intende far valere.

Nel caso di specie, la doglianza circa la violazione e/o erronea interpretazione dell'art. 4, co. 5, D.L. n. 44/2021 è stata ritenuta infondata.

La competenza all'adozione del provvedimento sospensivo doveva essere riconosciuta in capo al datore in quanto titolare del rapporto di lavoro interessato.

L'atto terminale della procedura di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale, infatti, incide sul sinallagma contrattuale tra datore e lavoratore, sicché il provvedimento era stato legittimamente adottato dall'ente ospedaliero.

Il Tribunale ha dichiarato non fondata anche la lamentata invalidità/inefficacia del giudizio di inidoneità lavorativa, per essere il ricorrente rientrato in servizio nel gennaio 2022, con successiva sospensione senza ulteriore visita di sorveglianza. Il provvedimento di sospensione, infatti, doveva essere inquadrato nella sequenza procedimentale culminata con la comunicazione al datore, da parte del Dipartimento di Prevenzione della ASL/BA, del mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale da parte del ricorrente.

Quindi, ricevuta la suddetta comunicazione, il datore era legittimamente pervenuto alla determinazione di sospensione dal servizio, fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale, anche tenuto conto della circolare n. 2992 del 17 febbraio 2022 del Ministero della Salute, con la quale è stato chiarito che, ai sensi dell'art. 4, co.5, D.L. n. 44/2021 (nella versione ratione temporis applicabile), la sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato all'Ordine professionale del completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo.

Pertanto, in base alla suddetta circolare, la guarigione non è una circostanza idonea a legittimare la revoca della sospensione che invece consegue esclusivamente: per il professionista temporaneamente sospeso per non aver effettuato il ciclo vaccinale primario, al completamento di quest'ultimo; per il professionista temporaneamente sospeso per non aver effettuato la dose di richiamo, alla somministrazione di tale dose.

Applicando tale principio alla fattispecie in esame, il Tribunale ha affermato che anche il dipendente riammesso in servizio sulla base dell'erronea valutazione dell'idoneità a seguito dell'intervenuta guarigione, rimane assoggettato a sospensione fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale.

L'ente ospedaliero aveva tenuto conto e dato seguito alle determinazioni di legge, come chiarite dal Ministero, andando a rivedere, in sostanziale autotutela, la precedente posizione assunta. Ad avviso del giudice barese, pertanto, anche sotto tale profilo il provvedimento datoriale doveva ritenersi legittimo.

La circostanza che la riammissione in servizio si collocasse – a conclusione della procedura di sorveglianza sanitaria – in un momento antecedente a quello di adozione della circolare prefara non è stata ritenuta dirimente, apparendo piuttosto doveroso l'intervento correttivo della struttura ospedaliera mediante l'adozione del provvedimento sospensivo.

Evidenzia il Tribunale che la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall'art. 4 D.L. n. 44/2021 risponde ad una chiara finalità di tutela non solo del personale medico e di interesse sanitario, ma anche degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà.

La previsione dell'obbligo vaccinale di cui all'art. 4 prefato è stata interpretata dal giudice barese, oltre che con riferimento alla Costituzione, anche nel quadro dell'art. 2087 c.c. e del D.lgs. n. 81/2008, nonché della L. n. 24/2017, segnatamente del principio di sicurezza delle cure. In base al citato quadro normativo, il Tribunale ha ritenuto doveroso per l'ordinamento pretendere che il personale medico o infermieristico non diventi esso stesso veicolo di contagio, pur sussistendo un rimedio per prevenire questo rischio connesso all'erogazione della prestazione sanitaria.

Evidenzia il giudice di Bari che, nel bilanciamento tra i due valori, quello dell'autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell'obbligo vaccinale nei confronti del personale sanitario, debba ritenersi non esistente un legittimo spazio per la c.d. esitazione vaccinale.

Alla luce di quanto sopra, l'operato datoriale è stato dichiarato legittimo dal Tribunale, avendo l'ente ospedaliero agito in sostanziale autotutela, sospendendo il ricorrente-infermiere che, sebbene guarito dal virus Covid-19, non risultava vaccinato.

Il giudice barese, infine, ha sottolineato che, sebbene il ricorrente goda di una sorta di esenzione temporanea ipso iure, attesa l'impossibilità della somministrazione prima dei tre mesi dall'avvenuta guarigione, l'assolvimento dell'obbligo vaccinale doveva ritenersi realizzato solo al compimento della vaccinazione, seppur dopo il superamento del tempo suddetto.

Non fondata è stata dichiarata anche la comparazione tra la posizione del ricorrente e quella dei soggetti di cui al comma secondo dell'art. 4 D.L. n. 44/2021, considerato che tale ultima disposizione attiene a casi di controindicazione medica alla vaccinazione, mentre il lavoratore sospeso non si era mai deliberatamente sottoposto alla vaccinazione.

Il settimo comma del medesimo art. 4, ratione temporis vigente, dispone che il datore adibisce i soggetti di cui al co. 2 a mansioni anche diverse e tale comma riguarda, per l'appunto, il personale sanitario impossibilitato a vaccinarsi per motivi di salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate.

Tale ipotesi non si attagliava alla posizione del ricorrente, non essendo egli esentato dalla vaccinazione per ragioni mediche, con conseguente non doverosità dell'adibizione a diverse mansioni.

La domanda ex art. 700 c.p.c. è stata, dunque, rigettata dal Tribunale per evidente difetto di fumus boni iuris, il che ha reso non necessaria la delibazione del periculum in mora.

Osservazioni

La decisione in commento si pone nell'ambito di un dibattito giurisprudenziale, avente ad oggetto la legittimità o meno della sospensione conseguente alla mancata vaccinazione del personale sanitario.

Taluni hanno posto l'accento sulla finalità perseguita dall'art. 4 D.L. n. 44/2021 e sulla necessità di bilanciare il diritto alla autodeterminazione sanitaria con l'esigenza, generata dal periodo epidemiologico, di ovviare al rischio di contagi proprio in quelli che costituiscono dei luoghi di cura, tenuto anche conto della potenziale incidenza sul SSN in generale.

Talaltri, invece, non hanno ritenuto conforme ai principi costituzionali le conseguenze derivanti dalla libera scelta di non procedere alla vaccinazione, ossia la sospensione dall'attività lavorativa con sospensione della retribuzione e di ogni altro emolumento.

Recentemente la CGARS, sottoponendo la questione al giudice delle leggi, ha evidenziato la necessità di porre in dubbio l'attualità del “giusto bilanciamento” tra interessi costituzionalmente garantiti operato all'inizio della pandemia, richiamando in particolare la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di trattamenti sanitari obbligatori.

Ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 D.L. n. 44/2021, sub specie proporzionalità e ragionevolezza della “sanzione” sospensiva del lavoratore, sono state poste anche dal TAR di Milano (ord. n. 192/2022) e dal Tribunale di Brescia (ord. del 7 maggio 2022).

Il Tribunale di Bari si pone in linea con il primo orientamento, ritenendo doveroso per l'ordinamento pretendere che il personale medico o infermieristico non diventi esso stesso veicolo di contagio, pur sussistendo un rimedio per prevenire questo rischio.

D'altronde, proprio il fatto che il datore si sia attenuto pedissequamente a quanto disposto dalla legge – e chiarito dal Ministero della salute con la circolare n. 2992 del 17.02.2022- ha condotto all'esclusione del fumus bonis iuris e, quindi, al rigetto della domanda ex art. 700 c.p.c.

Interessante è constatare come, ad avviso del giudice barese, la sospensione successiva all'erronea riammissione in servizio del dipendente guarito dovesse essere intesa come una sostanziale autotutela datoriale, essendo il provvedimento sospensivo una conseguenza automatica della mancata vaccinazione.

Sul punto ci si potrebbe domandare che incidenza avrebbe tale autotutela sull'eventuale affidamento riposto dal lavoratore sulla propria idoneità alle mansioni, in particolar modo qualora la sospensione non sia disposta entro un breve termine dall'erronea valutazione datoriale.

Infine, sebbene tale aspetto non sia stato esaminato dal Tribunale barese, sembra opportuno soffermarsi sull'effettiva configurabilità del periculum in mora: il pregiudizio irreparabile deriverebbe dalla mancata percezione della retribuzione e di ogni altro emolumento, con incidenza non solo sulla sfera personale ma anche, eventualmente, familiare del lavoratore.

Costituisce ius receptum quello secondo cui il pericolo imminente e irreparabile non possa ritenersi sussistente in re ipsa, né possa essere ravvisato in una qualsiasi violazione dei diritti del ricorrente in sé e per sé considerata, dovendosi accertare se la lesione incida o meno su posizioni giuridiche soggettive aventi rilevanza costituzionale.

La sospensione della retribuzione ben potrebbe riverberarsi sul il diritto ad una esistenza libera e dignitosa, presidiato dall'art. 36 Cost.

Ne consegue che la privazione della retribuzione non sarebbe ex se sufficientead integrare il periculum in mora, il quale sussisterebbe solo in quei casi in cui il venir meno del trattamento retributivo determini una situazione economica complessiva inadeguata a fronteggiare i bisogni del lavoratore e della sua famiglia per il tempo necessario a ottenere un giudizio di merito.

Spetta, in ogni caso, al lavoratore dimostrare il pericolo suddetto, non potendosi limitare al solo danno economico (genus numquam perit).

Per approfondire

M. Piromalli, No al “700” a tutela della retribuzione se manca la prova del pregiudizio imminente e irreparabile di un bene della vita infungibile, 6 aprile 2022.

E. Zani, I presupposti della tutela in via d'urgenza nella materia del lavoro alla prova della sospensione del lavoratore non vaccinato contro il Covid-19, 28 febbraio 2022.

M. Biasi, Ancora sul personale socio-sanitario renitente al vaccino anti-Covid: la legittimità della sospensione senza retribuzione disposta anteriormente al d.l. n. 44/2021, in Dir.Rel. Ind., 2021, 4 pp. 1149 ss.

M. Tonetti, L'obbligo vaccinale è sensato e costituzionale, in Diritto & Giustizia, 2022, 30, pp. 11 ss.

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