Ultimi orientamenti giurisprudenziali sulle voci retributive spettanti durante le ferie
19 Luglio 2022
Massima
La retribuzione spettante durante le giornate di ferie non deve necessariamente coincidere con quella dei giorni di presenza, purché non scenda al di sotto di un livello tale da dissuadere il lavoratore dalla fruizione delle ferie.
Tale livello retributivo “intermedio”, rispettoso dei principi di fonte europea normativa e giurisprudenziale, può essere individuato dalla contrattazione collettiva. Il caso
Un lavoratore con mansioni di macchinista lamentava che la Società datrice di lavoro non aveva considerato, nella retribuzione dovuta per i giorni di ferie, alcune voci percepite per l'attività in presenza; in particolare un'indennità (di utilizzazione professionale, cd. “IUP variabile”) era stata computata in misura fissa forfettizzata dalla contrattazione collettiva (con un importo inferiore a quello percepito per l'attività in presenza) ed un'altra indennità (per “assenza dalla residenza di lavoro”) non era stata affatto considerata.
Invocando la normativa di fonte interna ed europea (art. 7, Direttiva 2003/88/CE e art. 10, D.Lgs. 66/03), nonché la giurisprudenza europea ed interna di legittimità, il lavoratore aveva dedotto il diritto all'inclusione nella retribuzione feriale di ogni voce collegata all'intrinseca esecuzione delle mansioni ovvero allo status personale o professionale, chiedendo, previa eventuale declaratoria di nullità delle contrarie clausole del contratto collettivo, l'accertamento del diritto all'inclusione delle suddette indennità nel calcolo della retribuzione feriale e la condanna della Società al pagamento delle differenze retributive pregresse.
A seguito dell'accoglimento della domanda da parte del Tribunale di Torino, la società proponeva appello evidenziando che la sentenza di primo grado si era limitata a verificare la natura non occasionale delle voci in questione e ne aveva automaticamente desunto l'integrale inclusione nella retribuzione da riconoscere durante le ferie; in tal modo, secondo l'azienda, il Tribunale non aveva considerato che i principi espressi dall'art.7, Direttiva 2003/88/CE sono limitati alla previsione del diritto a ferie annuali retribuite e, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea e dalla Corte di Cassazione, la retribuzione dovuta per le ferie non dovrebbe coincidere con quella ordinaria, ma dovrebbe essere ad essa “paragonabile” e comunque tale da non dissuadere il lavoratore dall'esercizio del diritto alle ferie. La questione
La Corte di Appello di Torino è stata chiamata a verificare, anche alla luce dei principi comunitari, la legittimità delle previsioni della contrattazione collettiva che prevedono l'esclusione, dalla retribuzione feriale, di voci che invece vengono computate tra gli emolumenti dei normali giorni di presenza. Le soluzioni giuridiche
Ad avviso della Corte di Appello di Torino, interpretando correttamente le fonti comunitarie (in particolare la sentenza della Corte di Giustizia Williams e altri/British Airways plc del 15 settembre 2011 in causa C-155/10), è possibile enucleare i seguenti principi:
- la retribuzione per ferie non deve necessariamente coincidere con la retribuzione ordinaria, ma non deve neppure scendere al di sotto di un livello tale da dissuadere il lavoratore dalla fruizione delle ferie;
- anche per gli importi pecuniari intrinsecamente collegati all'esecuzione delle mansioni, non vi deve essere piena coincidenza della retribuzione per ferie con quella ordinaria;
- nella base di computo della retribuzione feriale rientrano le sole voci di natura e carattere strettamente retributivo, con esclusione delle spese occasionali ed accessorie.
Tali principi, applicati dal giudice nazionale nell'ordinamento interno, hanno condotto la Corte torinese a ritenere che il livello “intermedio” della retribuzione feriale, rispettoso dei principi di fonte europea, va tratto dalla disciplina della contrattazione collettiva che, per decenni e nel contesto dei delicati equilibri delle relazioni sindacali, ha dato seguito all'art. 36, terzo comma, Cost. circa l'inclusione o l'esclusione, nel compenso delle ferie, di determinate voci retributive (con un ruolo analogo e coerente con quello affidatole per stabilire la retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36, primo comma, Cost.).
Pertanto, secondo la Corte, l'esclusione dal monte retributivo delle ferie dei compensi denominati “IUP variabile” ed “assenza dalla residenza” si imporrebbe per una serie di argomenti tra loro convergenti:
- si tratta di ‘voci' che la contrattazione collettiva non ha incluso nel calcolo delle ferie, all'esito di un percorso negoziale che ha invece previsto l'inclusione della IUP giornaliera, pur sempre connessa con la prestazione lavorativa;
- il “compenso per assenza dalla residenza” ha natura accessoria e non strettamente retributiva;
- il loro importo (pari alla somma annua di circa euro 600, a fronte di una retribuzione mensile tra euro 2.000,00 ed euro 2.400,00) non consente di affermare che il loro mancato computo determinerebbe l'effetto dissuasivo, anche tenuto conto del fatto che le ferie sono fruite progressivamente nel corso dell'anno, dunque attenuandosi ulteriormente l'effetto della loro decurtazione;
- a fronte di un monte retributivo complessivo composto da molteplici voci, non si comprende per quali ragioni dovrebbero essere incluse alcune e non altre.
La Corte di Appello, riformando la sentenza impugnata, ha ritenuto quindi che la stessa non aveva considerato l'insussistenza, nelle fonti europee, di un principio di onnicomprensività della retribuzione feriale. Osservazioni
Muovendo dalla normativa comunitaria e dall'orientamento della Corte di Giustizia, è interessante porre a confronto la pronuncia in commento con una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Sez. Lav., 23 giugno 2022, n. 20216), anch'essa resa in materia di calcolo della retribuzione feriale.
L'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, come noto, si limita a stabilire che gli Stati membri devono garantire che ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite per un periodo di almeno quattro settimane.
Secondo la Corte di Giustizia, tale periodo feriale minimo costituisce un principio rilevante del diritto sociale dell'Unione, a cui non si può derogare; qualsiasi prassi od omissione che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo per il lavoratore, infatti, è incompatibile con la finalità di consentirgli il riposo, anche in un'ottica di salvaguardia della sua sicurezza e salute.
La Cassazione, con la sopra richiamata decisione, ha recentemente ritenuto nulla la disposizione del CCNL Trasporto Aereo che esclude l'indennità di volo integrativa dalla base di computo della retribuzione feriale, in quanto costituisce una significativa componente retributiva (in misura pari a circa il 30% o in percentuale maggiore a seconda delle ore di volo effettuate).
La mancata erogazione di tale voce, infatti, secondo la Corte potrebbe costituire un disincentivo a fruire delle ferie minime, in contrasto con i principi comunitari.
Invece la Corte di Appello di Torino valorizza il ruolo della contrattazione collettiva nell'ordinamento nazionale, ritenendo che possa ritenersi legittimamente rimessa alle Parti sociali la determinazione della retribuzione feriale (senza distinguere, diversamente dalla Suprema Corte, tra il periodo feriale minimo di quattro settimane e quelle eccedenti), analogamente a quanto avviene per l'individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all'art. 36 Cost.
Ferma restando la diversa incidenza delle indennità esaminate dalle due decisioni (ben maggiore nel caso sottoposto alla Cassazione), la Corte di Appello di Torino sembra offrire un'interpretazione equilibrata della disciplina comunitaria in materia di retribuzione feriale, trasponendola nell'ordinamento nazionale in maniera coerente con l'evoluzione e le caratteristiche dell'ordinamento interno.
Secondo i principi comunitari, infatti, la retribuzione feriale deve essere tale da non indurre il lavoratore ad optare per una rinuncia alle ferie al fine di non essere pregiudicato nei suoi diritti.
Atteso che nell'ordinamento nazionale vige il principio costituzionale secondo cui le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile (art. 36, comma 3, Cost.), ben difficilmente il lavoratore potrebbe essere dissuaso dal fruirne per la mancata erogazione di una voce retributiva, peraltro di modesto importo.
Pertanto, si ritiene corretta la decisione della Corte torinese che reputa legittima l'individuazione da parte della contrattazione collettiva dei compensi computabili nella retribuzione feriale. |