La chiamata in garanzia. Evoluzione di un istituto
20 Luglio 2022
Inquadramento
La denominazione di «chiamata in garanzia» descrive il profilo processuale dell'esercizio dell'azione con la quale chi è evocato in giudizio intende ottenere di essere risarcito o comunque tenuto indenne dalle conseguenze della propria soccombenza. L'azione (che ha natura di diritto sostanziale) può essere proposta in via principale in un autonomo processo e può essere introdotta in un processo pendente nelle forme con le quali più in generale è consentito chiamare in causa un soggetto terzo. Il codice di procedura civile disciplina l'azione di garanzia per la sua incidenza sulla competenza territoriale del giudice adito, quando il suo esercizio è effettuato nel contesto di un procedimento già in corso; e rimanda, per le forme, a quelle previste in genere per la chiamata del terzo (art. 106 c.p.c.). Lo scopo perseguito dalla normativa risiede nel consentire al garantito di ottenere una pronuncia contro il garante contemporaneamente all'eventuale pronuncia a sé sfavorevole: a costo di derogare alle regole della competenza territoriale e a comportare il simultaneus processus dinanzi al giudice superiore (art. 32 c.p.c.). La tutela di quell'interesse è rimessa alla scelta discrezionale della parte, la quale potrebbe preferire di esercitare l'azione di garanzia in sede giudiziale autonoma; fanno eccezione fattispecie nelle quali al garantito è imposto un onere di attivazione che limita la sua facoltà di opzione. Costituisce un esempio in questo senso il disposto dell'art. 1485 c.c. Esso attribuisce all'acquirente, sul piano sostanziale, il diritto di essere garantito dall'evizione altrui; e sotto il profilo processuale gli accolla l'onere di chiamare in causa il venditore garante. Nozione di garanzia
L'azione ha lo scopo di tutelare chi la propone contro il pericolo di subire un pregiudizio preciso: quello di rimanere soccombente nella causa in cui è evocato come convenuto o come convenuto in riconvenzione. Garanzia significa tutela da un rischio: e questo è costituito dall'eventualità che venga accolta la pretesa avversaria. Dagli effetti di questa si chiede di rimanere indenni e che di essi risponda un altro soggetto. Tradizionalmente si usa l'espressione “manleva” per indicare che la tutela richiesta consiste nell'essere sostituito con la persona di un terzo in forza della sua veste di garante: sia perché questi deve rispondere direttamente nei confronti dell'attore e sia perché lo stesso deve provvedere a risarcire controparte delle conseguenze della sua soccombenza. La chiamata in giudizio
Forme e tempi della chiamata in giudizio a titolo di garanzia sono regolate dagli artt. 106, 167, ultimo comma, 183 quinto comma, e 269 c.p.c. Il problema che queste disposizioni hanno inteso risolvere consisteva nell'assicurare un equilibrio tra opposti interessi. Da un lato l'esigenza di non consentire estensioni della materia del contendere oltre quella avente per parti l'attore e il convenuto e per oggetto le difese di costoro come determinate dai rispettivi atti difensivi e argomentativi nella fase preparatoria del processo. Dall'altro, l'opportunità di evitare il proliferare di procedimenti quando taluni di essi possono essere condotti alla cognizione di un medesimo giudice per essere decisi con una unica pronuncia. Il punto di raccordo è stato reperito nell'accollare a parte convenuta l'onere di dichiarare fin dalla comparsa di risposta tempestivamente depositata il proposito di chiamare il terzo in giudizio; e nell'accollare a parte attrice l'onere di enunciare la propria richiesta nella prima udienza di comparizione e trattazione, quando, e se, ne è sorta necessità dalle difese del convenuto. Per consentire la citazione del terzo il giudice fissa un'apposita udienza secondo le norme di cui all'art. 269. Diniego della propria legittimazione passiva e chiamata del terzo responsabile
Diversa dall'esercizio dell'azione di garanzia è la contestazione della propria legittimazione passiva rispetto alla domanda di controparte, con indicazione del terzo quale soggetto tenuto a rispondere della pretesa. Anche in questo caso si pretende che le conseguenze dell'azione esercitata si riversino su un'altra persona, circostanza che nella sostanza è comune all'azione di garanzia. In realtà la contestazione riguarda una delle condizioni dell'azione, costituita dall'esatta individuazione del soggetto obbligato. In proposito già Cass. civ., sez. II, n. 2524/1999 ebbe ad affermare che la contestazione della propria legittimazione passiva e la chiamata in causa del soggetto che si afferma essere il vero obbligato non concretano una domanda di garanzia propria nei confronti del terzo perché questa presuppone la non contestazione della legittimazione passiva del convenuto: la contestazione costituisce una situazione che è alternativa all'esercizio dell'azione di garanzia. L'insegnamento di allora è ancora attuale. Cass. civ., sez. I, n. 24294/2016 lo ha ribadito: nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, l'atto di chiamata, al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia, in quanto, da un lato, tale condotta è logicamente e giuridicamente incompatibile con la qualificazione dell'evocazione del terzo come chiamata in garanzia (la quale, di per sé, non può non presupporre la non contestazione della legittimazione passiva) e, dall'altro, va privilegiata l'effettiva volontà del chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la responsabilità del danno. In tal caso si verifica l'estensione automatica della domanda dell'attore al terzo chiamato, indicato dal convenuto come il vero legittimato, anche in mancanza di una espressa indicazione in proposito ad opera dell'attore (Cass. civ., sez. III, n. 5057/2010). Si è pronunciato, però, in senso diverso per il caso di chiamata in corresponsabilità da parte del convenuto. La mancata contestazione della propria legittimazione passiva, si è affermato, in questa ipotesi mantiene alla chiamata in causa la sua natura di chiamata in garanzia, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta ma, anzi, coesiste con quella del convenuto rispetto all'azione esercitata (Cass. civ., sez. III, ord. n. 30601/2018). Garanzia propria e garanzia impropria: una differenza nel solco della tradizione
Da tempo dottrina e giurisprudenza hanno operato una distinzione cui hanno ricollegato difformi conseguenze sul piano del processo e dei rapporti tra le parti e il terzo chiamato in causa. Si intende per “propria” la garanzia che una parte fa valere (nei confronti di un soggetto terzo, rispetto al processo, per essere manlevata dalle conseguenze della sua eventuale soccombenza) quando l'azione esercitata trova fondamento in un obbligo legale o contrattuale e il fatto generatore della responsabilità dell'azione principale e quella di regresso è unico oppure se le due azioni hanno in comune lo stesso titolo o titoli oggettivamente connessi. Andando a ritroso nel tempo, si pronunciò esattamente in questo senso Cass. civ., sez. lav., n. 5863/1997 in tema di coobbligati solidali: la pronuncia non era innovativa ma può essere citata come esempio di un orientamento risalente che si è protratto pressoché immutato sino a tempi recenti. Esso è stato riaffermato negli stessi termini con riguardo: alla domanda di garanzia proposta dal datore di lavoro, convenuto in sede di regresso dall'INAIL, per essere garantito dal proprio assicuratore o dall'impresa committente i lavori (Cass. lav., n. 8898/2014; Cass. civ., n. 11362/2009); alla posizione dell'assicuratore della responsabilità civile (fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria), quale è configurata dall'art. 1917 cod. civ., per essere unico il fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia (Cass. civ., sez. III, n. 25581/2011; Cass. civ., n. 12899/2004); alla domanda di manleva proposta dal convenuto quale acquirente dell'immobile oggetto dell'azione di rivendica nei confronti del proprio alienante (Cass. civ., sez. II, n. 21240/2009); all'azione intrapresa contro il fideiussore (Cass. civ., sez. III, n. 19050/2003). E' considerata impropria la garanzia azionata quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del proprio inadempimento o, comunque, della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale (Cass. civ., sez. II, n. 17688/2009) ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (Cass. civ., sez. lav., n, 8898/2014; Cass. civ., n. 1515/2007). Una fattispecie particolare di garanzia propria
L'art. 1917 c.c. consente all'assicurato, convenuto dal danneggiato, di chiamare in causa l'assicuratore. La chiamata tutela l'interesse del chiamante ad essere tenuto indenne dall'assicuratore, in forza degli obblighi da questi assunti con il contratto di assicurazione, dalla pretesa risarcitoria esercitata in giudizio dal soggetto danneggiato. La chiamata in tal senso risponde al medesimo intento cui è finalizzata la più generale azione di garanzia. Nello specifico caso essa dovrebbe essere considerata impropria, in quanto non fondata sul medesimo titolo della domanda principale (il danno) ma su un titolo diverso (il contratto). Tuttavia il legislatore ha voluto fornire all'assicurato ed al danneggiato una tutela ampia attraverso la facoltà di citare in causa l'assicuratore per una sostanziale manleva. Dottrina e giurisprudenza riconoscono che la così consentita forma di garanzia costituisce una fattispecie di garanzia propria, tale per volontà di legge. In tal senso, ad esempio, si sono espresse Cass. civ., sez. un., n. 13968/2004; Cass. civ., sez. III, ord., n. 27326/2005; Cass. civ., sez. III, n. 25581/2011: “Con riferimento alla posizione dell'assicuratore della responsabilità civile (fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria), quale è configurata dall'art. 1917 c.c., ricorre una ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore è riconosciuto sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'art. 1917, secondo comma, cod. civ. Infatti, nelle ipotesi in cui sia unico il fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia, anche se le ipotizzate responsabilità traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diverse, si versa in un caso di garanzia propria che ricorre solo ove il collegamento tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia sia previsto dalla legge disciplinatrice del rapporto.” Dottrina e giurisprudenza avevano giustificato la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria con l'attribuire ad essa effetti diversi in relazione soprattutto allo spostamento della competenza del giudice adito ed ai rapporti tra le parti del processo in corso e il terzo. Soltanto alla garanzia in senso proprio era stata riconosciuta forza idonea a spostare la competenza a favore della domanda principale. Prima della modifica di cui al d.lgs. n. 51/1998, l'art. 32 c.p.c. stabiliva l'attrazione della causa di garanzia in quella principale, con possibile deroga alla competenza per territorio e a quella per valore. Tale efficacia (di connessione “forte”) era riservata alla garanzia propria: poiché nella garanzia impropria l'azione principale e quella accessoria sono fondate su titoli diversi, si affermava, le cause che ne derivano, benché proposte all'interno di uno stesso giudizio, rimangono distinte e scindibili. In tal senso si erano pronunciate conformemente, tra le altre, ancora Cass. civ., sez. III, ord., n. 1515/2007; Cass. civ., sez. I, ord., n. 13178/2006; Cass. civ., sez. III, n. 19050/2003. La questione risulta superata dal mutato testo dell'art. 32 che attualmente detta una regola diversa, per la quale se la domanda di garanzia eccede la competenza per valore del giudice adito (il giudice di pace), questi rimette entrambe le cause al giudice superiore. Per tal modo le cause vengono riunite senza che si verifichi più un vero e proprio spostamento di competenza. Una differenza di effetti tuttora asserita riguarda la competenza per materia per la domanda principale. Se essa riguarda un giudice speciale, la domanda di garanzia può essere proposta dinanzi a lui soltanto in caso di garanzia propria, in cui per legge o per contratto il garante è obbligato verso il garantito in forza del medesimo rapporto dedotto in giudizio. Tanto invece non avviene se la responsabilità del chiamato trae origine da un rapporto autonomo rispetto a quello dedotto in giudizio dall'attore (Cass. civ., sez. un., n. 4372/1998). E così, ad esempio, nel giudizio per la determinazione dell'indennità di esproprio dinanzi alla corte d'appello - giudice in unico grado - non possono essere presentate domande sia pur connesse ma diverse per soggetti, per titolo o per oggetto. Analoga distinzione di effetti è stata affermata a proposito della chiamata in causa nelle cause di lavoro. Nell'ipotesi di garanzia impropria, non essendo derogabili gli ordinari criteri di competenza, il simultaneus processus dinanzi al giudice del lavoro è attuabile soltanto ove il giudice competente a conoscere della causa principale sia competente a conoscere anche dell'altra. Effetti ulteriori sono stati attribuiti alla citata diversità tra garanzia propria e garanzia impropria per quanto concerne il rapporto processuale che viene a instaurarsi tra le parti e il terzo. A proposito della questione riguardante la possibile estensione della domanda attorea al terzo, in dipendenza della sua chiamata in causa ad opera del convenuto, la regola che vale in linea di principio è nel senso che l'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso. Il suddetto principio, invece, non opera, allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come "causa petendi" come avviene nell'ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria (Cass. civ., sez. III, n. 13131/2006; Cass. civ., sez. II, n. 7273/2003; Cass. civ., sez. III, n. 6026/2001; Cass. lav., n. 2471/2000). In questo secondo caso, il chiamato in garanzia impropria assume nel processo la posizione di interventore adesivo dipendente, con i poteri e i limiti che la normativa attribuisce a tale soggetto (Cass. civ., sez. un., n. 7602/2010; Cass. civ., sez. III, n. 925/2017). Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato nell'importante pronuncia n. 24707/2015 che la qualificazione della garanzia come propria o come impropria ha un valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell'applicazione degli artt. 32, 106 e 331 c.p.c. La vera conseguenza della chiamata in garanzia consiste nel dar luogo ad un litisconsorzio necessario processuale: e ciò sia nel caso in cui il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l'efficacia soggettiva dell'accertamento relativo al rapporto principale nei confronti del terzo chiamato e sia quando abbia, invece, allargato l'oggetto del giudizio con il chiedere l'accertamento del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l'attribuzione della relativa prestazione. La Corte ha osservato che la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria non produce affatto i diversi effetti che ad essa si era soliti attribuire. La distinzione non ha alcuna rilevanza per quanto concerne l'art. 32, in tutti i casi in cui il convenuto si limita a chiedere che gli effetti per lui sfavorevoli si riversino sul terzo, perché in tal modo la chiamata di terzo non comporta uno spostamento di competenza. In questo caso l'esercizio dell'azione di garanzia si risolve nell'estendere al terzo la veste di parte nel giudizio, con tutti i poteri a contraddirvi e difendersi: e nessuna conseguenza può essere attribuita al fatto che l'azione esercitata abbia natura di garanzia propria invece che quella di garanzia impropria. La competenza rimane la stessa ed è inutile richiamare sia l'art. 32 e sia la detta distinzione. Analogamente, anche quando il convenuto chiede, con una apposita domanda, che sia accertato il rapporto di garanzia contro il garante, non ha alcun rilievo che la pretesa garanzia abbia natura propria o impropria, posto che il terzo assume nel processo una posizione identica a quella del caso precedente. Il convenuto aggiunge una domanda, la quale resta, pur sempre, dipendente e pregiudicata dall'accertamento del rapporto principale. E' vero che il cumulo di domande conseguente alla chiamata in giudizio ai sensi dell'art. 106 deve previamente rispettare il disposto dell'art. 32; ma da esso può anche prescindere. Infatti: - se il convenuto chiama il terzo garante per riversare su di lui gli effetti sfavorevoli della pronuncia, sul semplice assunto che esista il rapporto di garanzia, la sua chiamata conferisce al terzo la legittimazione processuale a contraddire nel processo e a impugnare la decisione, senza che abbia rilievo la natura propria, o meno, della garanzia invocata; - se il convenuto chiede anche l'accertamento del rapporto di garanzia (avendone interesse, per evitare la risoluzione del rapporto o per valersene in altre questioni), la posizione del garante non muta e resta irrilevante la natura della garanzia da accertarsi. In entrambe le situazioni la distinzione tra le due fattispecie di garanzia è priva di effetti pratici. Le Sezioni Unite osservavano, inoltre, che non esistono indici normativi che giustifichino l'attribuzione di conseguenze giuridiche diverse alla distinzione tra garanzia propria e impropria. Anche per questo motivo, la detta distinzione va mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie e deve essere abbandonata a livello di conseguenze applicative. La pronuncia ha fatto salvo un dato importante sotto il profilo processuale. La chiamata in giudizio di un terzo dà luogo ad un litisconsorzio tra le parti che assume rilievo per l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. in sede di impugnazione. Va sempre ravvisata (garanzia propria oppure impropria) un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto sceglie di estendere l'efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell'accertamento relativo al rapporto principale ma anche quando intende allargare l'oggetto del giudizio perché chiede l'accertamento dell'esistenza del rapporto di garanzia e l'attribuzione della prestazione che da esso consegue. La conseguenza che la Corte ricavava dalla decisione della fattispecie esaminata esprime un principio di indubbio valore pratico. Qualunque sia la natura, propria o impropria, della chiamata in garanzia, l'impugnazione del terzo avverso la sentenza che ha affermato la responsabilità del convenuto e la sua, quale soggetto tenuto alla manleva, giova anche all'assicurato senza alcuna necessità di una impugnazione incidentale: poiché si deve ravvisare un litisconsorzio processuale necessario in ogni caso, ovvero se la chiamata aveva lo scopo di estendere al terzo l'efficacia soggettiva dell'accertamento oggetto del rapporto principale; se la chiamata intendeva allargare l'oggetto del giudizio per l'accertamento della sussistenza del rapporto di garanzia; e se la chiamata intendeva far accertare il rapporto di garanzia e ottenere la prestazione di manleva. Il detto litisconsorzio rende inscindibile la causa per gli effetti di cui all'art. 331 c.p.c. La decisione è stata seguita da pronunce successive: Cass. civ., sez. III, ord., n. 19714/2018; Cass. civ., sez. II, ord., n. 5876/2018; Cass. civ., sez. III, ord., n. 21098/2017. Essa era stata preceduta da pronunce che avevano affermato l'irrilevanza della distinzione tra le due forme di garanzia agli effetti della ripartizione della giurisdizione (Cass. civ., sez. un., n. 8404/2012). Le Sezioni Unite e le pronunce conformi alla regola enunciata hanno posto fine ad una sistemazione di concetti ereditata dal codice di rito del 1865 e conservatasi inalterata sino alla loro pronuncia. Il senso della decisione è nell'assunto per cui una volta stabilitasi, in epoca risalente e sotto un profilo dogmatico, l'esistenza di due diverse categorie di azioni di garanzia, occorreva farne discendere una simmetrica diversità di effetti. L'argomentazione, però, doveva essere rovesciata, con il risultato di pervenire ad una affermazione contraria. Poiché, in realtà, non esistono i pretesi effetti differenti, l'asserita duplicità di forme di garanzia è una implicazione di valore unicamente logico. L'insegnamento delle Sezioni Unite è molto preciso: se si può continuare a rilevare una diversità tra le fattispecie di garanzia, questa diversità vale su un piano ricognitivo e concettuale ma l'assunto che da tale diversità faceva discendere effetti applicativi diversi sul processo deve essere abbandonato. Riferimenti
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