Rilevanza di determinatezza e determinabilità del corrispettivo ai fini della validità del patto di non concorrenza
26 Luglio 2022
Massime
“L'oggetto del contratto, oltre che possibile e lecito, deve essere determinato o, quanto meno, determinabile; il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità ai sensi degli artt. 1346 e 1418, 2° comma, c.c. il preciso ammontare del corrispettivo o, comunque, criteri oggettivi per la sua determinazione, sin dal momento della stipulazione”.
“Il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere congruo ai sensi dell'art. 2125 c.c., perché si tratta di componente volta a compensare il sacrificio che sconterà il lavoratore, una volta cessato il rapporto di lavoro, nel non poter lavorare in una determinata zona”. Il caso
Ricevuta la notifica di un decreto ingiuntivo da parte di un'ex-dipendente per il pagamento delle competenze di fine rapporto, il datore di lavoro si oppone e chiede al giudice di revocare il decreto ingiuntivo, o comunque di dichiararlo inefficace, eccependo l'esistenza di un patto di non concorrenza e chiedendo di accertarne la violazione da parte della lavoratrice, con conseguente domanda riconvenzionale per il recupero, a titolo di penale, del doppio di quanto erogato; in subordine l'opponente chiede comunque la restituzione delle somme pagate a titolo di patto di non concorrenza.
Il patto di non concorrenza esaminato ha previsto l'obbligo della lavoratrice a non prestare attività in concorrenza a quella svolta dal datore di lavoro per un periodo massimo di due anni dalla cessazione del rapporto e limitatamente alla area geografica della provincia di Alessandria.
A fronte dell'obbligo di non fare assunto dalla lavoratrice, il datore di lavoro si è impegnato a corrispondere alla lavoratrice “la somma lorda di 120 euro al mese a decorrere da gennaio 2009 per tutto il periodo che l'azienda riterrà opportuno”.
Costituendosi in giudizio, la lavoratrice insiste per la conferma del decreto ingiuntivo eccependo la nullità del patto; in subordine, la parte opposta eccepisce l'insussistenza dell'obbligo restitutorio data la natura retributiva delle somme ricevute. Il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie contrattuale accessoria che produce i suoi effetti nel tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato. L'art. 2125 c.c. subordina la validità del patto di non concorrenza tra lavoratore e datore di lavoro a specifiche condizioni concernenti la forma scritta, il corrispettivo, i limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La sentenza in commento affronta il tema dell'erogazione del corrispettivo in corso di rapporto, tema che vede contrapposto l'orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di merito milanese a quello della giurisprudenza di legittimità. La sentenza
La sentenza in commento afferma che il patto di non concorrenza che «prevede la corresponsione alla dipendente della somma lorda di 120 euro al mese a decorrere da gennaio 2009 per tutto il periodo che l'azienda riterrà opportuno» è nullo per carenza dei requisiti di determinatezza e determinabilità al momento della stipula del contratto, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, 2° comma c.c.
Inoltre, sempre secondo il decidente, la nullità ex art. 1346 c.c. del patto in oggetto deriva anche dal fatto che il pagamento del corrispettivo, indicato in cifra mensile, è stato promesso «per tutto il periodo che l'azienda riterrà opportuno».
Ancora nella sentenza in commento si legge: «la corresponsione di una somma lorda mensile pari a circa il 7% della retribuzione, non è di per sé congrua se rapportata alla rinuncia della lavoratrice per un biennio allo svolgimento, nella zona ove la stessa è da anni conosciuta nel settore, di attività lavorativa». Le soluzioni giuridiche
a) Sulla determinatezza e determinabilità del corrispettivo
Tale pronuncia sembra fare eco alle pronunce milanesi che, in casi apparentemente analoghi, hanno rilevato la nullità ex art. 1346 c.c. per corrispettivi non ritenuti determinati o determinabili: in App. Milano, sez. lav., 29 marzo 2021, n. 1086 in Lav. giur., 2021, 1152 e ss «quale corrispettivo del presente patto le sarà corrisposto, direttamente in busta paga, per tutta la durata del rapporto di lavoro, la somma di euro 400,00 mensili lorde»; in Trib. Milano, sez. lavoro, sent. 26 maggio 2021, n. 1189 in Lav. giur., 2021, 1152 e ss e in Giur. it., 2021, 2692 e ss. «in vincolo degli impegni le sarà riconosciuta annualmente ed in costanza di rapporto di lavoro la complessiva somma di 12.000 euro lordi annui».
L'orientamento milanese (il cui intento è quello di proteggere il lavoratore da pattuizioni inique, ma anche quello di limitare pattuizioni dissimulanti aumenti retribuitivi) è criticabile sotto due punti di vista: in primo luogo, ai fini della declaratoria di nullità genetica ex art. 1346 c.c., ingloba il requisito della determinabilità (da intendersi come predeterminazione dei criteri utili ad una individuazione ex post dell'oggetto del contratto) nel concetto di determinazione (da intendersi come individuazione ex ante dell'oggetto); in secondo luogo, confonde i piani della nullità e le rispettive funzioni, attribuendo all'art. 1346 c.c. (che prevede una nullità genetica del contratto - atto) la funzione di garanzia di congruità del corrispettivo che invece è svolta dall'art. 2125 c.c. (sotto forma di nullità nell'ambito dell'esecuzione del contratto – rapporto).
La pattuizione con cui il datore di lavoro si impegna a corrispondere una determinata somma mensile o annuale a titolo di patto di non concorrenza per tutta la durata del rapporto, non permette una determinazione ex ante del corrispettivo, ma è sicuramente completa di tutti gli elementi che permetteranno – al momento della cessazione del rapporto – di stabilire in concreto l'entità del corrispettivo.
È, invece, pienamente condivisibile il secondo profilo di illegittimità sollevato dal Tribunale, legato alla durata della corresponsione della somma (“per tutto il periodo che l'azienda riterrà opportuno”): è, infatti, innegabile che una simile clausola dia al datore di lavoro la facoltà di interrompere il pagamento in qualsiasi momento (a prescindere dalla cessazione del rapporto), con una discrezionalità certamente incompatibile con il prescritto requisito di determinabilità e che mette altresì a rischio l'ulteriore caratteristica necessaria del corrispettivo del patto di non concorrenza, ovvero la sua congruità.
b) Sull'adeguatezza del corrispettivo
Come anticipato, il Tribunale considera nullo il patto ravvisandovi, oltre alla dichiarata nullità genetica, anche la mancanza di congruità del corrispettivo rispetto alla restrizione imposta alla lavoratrice.
Il giudice di Alessandria distingue i piani della nullità e prende atto – come fatto dalla giurisprudenza di legittimità – che la determinabilità ex post del corrispettivo non impedisce comunque la valutazione in termini di congruità del corrispettivo ai sensi dell'art. 2125 c.c. (Cass. civ., sez. lav., ordinanza 1° marzo 2021, n. 5540 in Lav. giur., 2021, 917 e ss. e in Giur. it., 2021, 1681 e ss.; Cass. civ., sez. lav., ord. 4 agosto 2021, n. 22247; Cass. civ., sez. lav., ord. 25 agosto 2021, n. 23418; Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2020, n. 9790).
Tale orientamento giurisprudenziale sembra maggiormente rispettoso sia della libertà negoziale delle parti nel determinare le modalità di pagamento del corrispettivo per il patto, sia dell'esigenza di contemperare i contrapposti interessi di imprenditore (tutela del proprio patrimonio immateriale, come espressione del principio di libertà economica ex art. 41 Cost.) e lavoratore (evitare che il patto comprima eccessivamente le possibilità di lavoro e di provvedere al proprio sostentamento, come emerge dal combinato disposto degli artt. 4 e 35 Cost.).
Per la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., ordinanza 26 maggio 2020, n. 9790) il parametro di congruità è dato dal contenuto dell'obbligazione di non facere in capo al lavoratore e dalla riduzione delle sue possibilità di guadagno, mentre non rilevano aspetti come il valore di mercato o l'utilità che l'impegno assunto reca all'imprenditore.
Contrariamente al principio sancito dalla S.C., la dottrina ha potuto osservare che nella pratica applicativa i giudici di merito si limitano a monetizzare le rinunce compiendo disparate valutazioni sulla congruità del corrispettivo in termini percentuali (che, peraltro, non sono uniformi sul territorio nazionale).
Dal canto suo, la sentenza in commento ritiene che un corrispettivo del 7% non sia congruo, ma non spiega quale sia il rilievo attribuito al contenuto della rinuncia oppure al fatto che essa sia circoscritta al solo territorio della provincia (probabilmente perché la nullità genetica assorbe il vizio di congruità).
c) Sugli effetti della rilevata nullità e sulla restituzione dell'indebito.
Il rimedio pratico riconosciuto in caso di nullità è dato dalla restituzione delle somme erogate a titolo di patto di non concorrenza.
Il tribunale di Alessandria applica l'art. 2033 c.c. sulla restituzione dell'indebito oggettivo. Analoga soluzione può essere rinvenuta in altre pronunce di merito (su tutte: Trib. Milano, sez. lavoro, sent. 26 maggio 2021, n. 1189, in Lav. giur., 2021, 1152 e ss.), dove – accertata la nullità del patto – il giudice è stato anche chiamato a decidere se ammettere la restituzione di quando prestato in esecuzione del patto nullo oppure se le somme non andassero restituite in virtù della loro natura intrinsecamente retributiva.
La soluzione data è quella per cui si esclude la natura retributiva delle somme erogate in forza del patto, con conseguente obbligo di restituzione, a meno che il lavoratore non alleghi e dimostri in giudizio che la somma erogata abbia avuto incidenza sulle mensilità indirette, oppure che sia regolarmente corrisposta agli altri dipendenti; in questo caso le somme sono considerate alla stregua di un trattamento individuale più favorevole per il singolo prestatore di lavoro (art. 2077 c.c.) e dunque sottratte alla ripetibilità.
Osservazioni
Posto che le modalità di erogazione del corrispettivo sono rimesse dall'art. 2125 c.c. alla autonomia negoziale delle parti, è preferibile, per chi intenda pattuire il pagamento del corrispettivo in corso di rapporto, precisare che il datore di lavoro si impegna comunque a riconoscere un corrispettivo minimo, quantificandolo fin da subito, a prescindere dalla durata del rapporto di lavoro e dalle ragioni della sua cessazione.
Inoltre, in questa ipotesi, è bene evitare che l'erogazione sia mensilizzata e con incidenza sulle voci di retribuzione indiretta o differita, per evitare che il corrispettivo del patto venga considerato come superminimo escluso dalla ripetizione.
Vista la distanza delle posizioni giurisprudenziali in tema di pagamento del corrispettivo in corso di rapporto, il pagamento del corrispettivo dopo la cessazione in fase di esecuzione del patto – purché venga rispettato il requisito di congruità ai sensi dell'art. 2125 c.c. – è più sicuro ed evita al datore di lavoro di esporsi all'alea di eventuali declaratorie di nullità, oppure al rischio di inadempimento del prestatore “infedele”. Minimi riferimenti bibliografici
L. Cairo, Corrispettivo del patto di non concorrenza: il punto sugli orientamenti della giurisprudenza, in Lav. giur., 2021, 1152 e ss.
R. Pettinelli, Entre Chien et loup. Oggetto, causa e alea alla prova del pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza in corso di rapporto, in Giur. it., 2021, 2692 e ss.
M. Dellacasa, Il compenso per il patto di non concorrenza: le distinzioni della Cassazione in tema di nullità, in Lav. giur., 2021, 917 e ss.
M. Cerbone, Nullità del patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. tra indeterminabilità e non adeguatezza del corrispettivo, in Giur. it., 2021, 1681 e ss.
F. Ferretti, Opzione nel patto di non concorrenza e termine di esercizio: orientamenti nella giurisprudenza, in Lav. giur., 2020, 167 e ss. |