Giuridicamente inesistente la notifica telematica dell'atto effettuata dall'Ufficio da un indirizzo PEC non presente in un pubblico elenco
28 Luglio 2022
La disciplina di riferimento
Il precetto normativo de quo dispone che «in deroga all'articolo 149-bis del codice di procedura civile e alle modalità di notificazione previste dalle norme relative alle singole leggi d'imposta…., la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all'indirizzo del destinatario risultante dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)».
Si riscontra nella recente giurisprudenza un orientamento prevalente che qualifica come giuridicamente inesistente l'atto (impositivo o esattivo) notificato telematicamente dall'Ufficio da un indirizzo pec non presente in un pubblico elenco:
Tale indirizzo prevalente ha, quindi, “stabilizzato” il principio secondo il quale la notifica degli atti impositivi tramite può considerarsi efficace soltanto qualora provenga da un indirizzo PEC presente in pubblici elenchi (Reginde, INIPEC, IPA).
In senso contrarioe minoritario, si riscontrano alcune pronunce (Ctr Lombardia n. 4754/2018 e 2723/2021) in cui i giudici tributari hanno ricordato che la disciplina dell'art. 26 del d.P.R. 602/1973, specularmente a quanto disposto dall'art. 60 del d.P.R. 600/1973 per gli avvisi di accertamento e gli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, si preoccupa unicamente di individuare l'INIPEC quale elenco pubblico a cui l'Ufficio può attingere per individuare l'indirizzo pec del destinatario della notifica, rinviando, allo stesso tempo, al d.P.R. 68/2005 disciplinante l'uso della Posta Elettronica Certificata. In particolare, i “giudici del riesame” hanno osservato che l'art. 3 stabilisce che l'atto trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella del destinatario messa a disposizione dal gestore, e che l'art. 6 precisa che la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio PEC è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico del destinatario, così certificando il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione; la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio Pec è rilasciata contestualmente alla consegna di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall'avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. «Vertendosi in un'ipotesi di notifica di atti esattoriali e non processuali», i giudici hanno rilevato come per l'Ufficio emittente la notifica fosse avvenuta in conformità alla legge; peraltro, aggiungeva la Ctr, l'interposizione di uno o più gestori che garantiscono la regolarità del servizio, fa sì che nessuna delle parti (mittente e destinatario) possa contestare l'inoltro o la ricezione del messaggio, e proprio da tale sistema discende anche la non necessità della firma digitale da parte del mittente: è il gestore che sottoscrive la busta di trasporto con propria firma elettronica avanzata, basata su chiavi asimmetriche a coppia, e tale sistema garantisce la provenienza, l'integrità e l'autenticità del messaggio Pec.
Il differente contesto degli atti processuali
Sul tema giova ricordare che, per quanto concerne l'ambito degli atti del processo tributario, vige una disciplina ad hoc per la notificazione scandita dal D.M. Finanze n. 163/2013 (noto come il regolamento sul processo tributario telematico), richiamato esplicitamente dalla norma primaria (art. 16-bis del d.lgs. 546/1992), il quale testualmente prescrive (art. 7, comma 5) che «per gli enti impositori, l'indirizzo di posta elettronica certificata… è quello individuato dall'articolo 47, comma 3, del d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, pubblicato nell'IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), e che (art. 7, comma 2) «per i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato, l'indirizzo di posta elettronica certificata… deve coincidere con quello comunicato ai rispettivi ordini o collegi pubblicato nell'INI-PEC. Anche in tale diverso ambito (atti processuali e non sostanziali) si riscontrano provvedimenti (inter alias, sentenza Ctp Milano n. 563/2021) in cui è stata applicata la sanzione processuale più grave (l'inammissibilità) al ricorso indirizzato dal contribuente ad un indirizzo Pec non presente in IPA.
Osservazioni
Atti sostanziali: in ossequio al noto brocardo latino "lex specialis derogat generali", a parere di chi scrive, non parrebbe emergere, dall'analisi delle sopracitate norme di riferimento, un obbligo da parte dell'Ufficio tributario di utilizzare per la notifica dei propri atti un indirizzo pec presente in uno dei pubblici registri. In ogni caso, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità (inter alias, ordinanza n. 30794/2018) ha in più occasioni affermato che la notifica degli atti tributari non costituisce un requisito di giuridica esistenza e di perfezionamento degli stessi, ma solo una condizione integrativa dell'efficacia. Pertanto, l'inesistenza o invalidità della notifica non determina in via automatica la nullità dell'atto impositivo qualora risulti in modo inequivoco che il contribuente ne abbia avuto piena conoscenza entro il termine di decadenza fissato dalla legge (cd estensione dell'istituto processual-civilistico ex art. 156 c.p.c. alla disciplina degli atti sostanziali).
Atti processuali: In tale contesto giova ricordare l'importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 7665 del 18 aprile 2016) secondo cui «l'irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale». Andrebbe, altresì, tenuto in considerazione un altro rilevante principio affermato dai giudici di legittimità (ex multis, Cass., Sez. V, ordinanza n. 17533 del 28 giugno 2019) secondo cui «le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l'operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente l'insegnamento fornito dalla Corte Costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della «tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità». In tale contesto, né la fonte primaria (d.lgs. 546/1992, art. 16-bis) né la fonte secondaria (il D.M. 163/2013) attribuiscono carattere perentorio alla disciplina della notificazione telematica degli atti processuali. |