Quel che resta degli obblighi di segnalazione nel Codice della crisi

Maurizio Sciuto
29 Luglio 2022

L'articolo, muovendo dalla tormentata evoluzione della normativa dei meccanismi di allerta e degli obblighi di segnalazione in particolare, si sofferma sulla loro collocazione all'interno del Codice della crisi d'impresa, come modificato dall'ultimo decreto correttivo, per poi analizzare i vari obblighi di segnalazione previsti dal CCI spettanti all'organo di controllo soci, ai creditori pubblici qualificati, alle banche e agli intermediari finanziari.
Premessa

La disciplina degli obblighi di segnalazione (all'imprenditore ed eventualmente, se avente forma societaria, al suo organo di controllo) di “situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza” (come si esprime, al vertice, l'art. 3.1 Dir. 2019/1023/UE, appresso indicata come “Direttiva”), si inserisce nella complessiva disciplina degli strumenti di allerta (precoce) che esprime, a sua volta, una delle cifre più caratterizzanti della recente evoluzione europea del diritto della crisi e, di risulta, del diritto concorsuale italiano.

La considerazione dell'intera materia, e così anche una valutazione di come essa abbia trovato definitiva espressione nel diritto nazionale attraverso il recente D. Lgs. 83/2022, l'ultimo di una serie di decreti correttivi del D. Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi e dell'Insolvenza, appresso indicato come il “Codice”), non può perdere di vista, quale necessario parametro e punto di riferimento, quello che è l'obiettivo generale e fondamentale nella complessiva architettura del sistema delineato a livello europeo: l'obiettivo di prevenire tempestivamente l'insolvenza o comunque la sua degenerazione, come descritto dalla Direttiva già nel suo Considerando n. 22:

“Quanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un'insolvenza imminente o, nel caso di un'impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione. È opportuno pertanto dare informazioni chiare, aggiornate, concise e di facile consultazione sulle procedure di ristrutturazione preventiva disponibili e predisporre uno o più strumenti di allerta precoce per incoraggiare i debitori che cominciano ad avere difficoltà finanziarie ad agire in una fase precoce. Gli strumenti di allerta precoce che assumono la forma di meccanismi di allerta che indicano il momento in cui il debitore non ha effettuato taluni tipi di pagamento potrebbero essere attivati, ad esempio, dal mancato pagamento di imposte o di contributi previdenziali. Tali strumenti potrebbero essere sviluppati sia dagli Stati membri o da entità private, a condizione che l'obiettivo sia raggiunto (…)”.

Conseguentemente, sempre la direttiva, al suo art. 3 Dir. 2019/1023/UE (“Allerta precoce e accesso alle informazioni)”, primo e secondo comma, prevede che:

“Gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”; e poi che “Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi”.

Anche nel testo originario del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, conseguentemente, la novità più significativa e dirompente rispetto al previgente sistema, era stata individuata nella disciplina, senza precedenti nel nostro ordinamento, delle “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi”, contenuta agli artt. 12 ss. del Codice, e dalla centrale posizione che, in essa, occupava la previsione degli strumenti di allerta. I quali, a loro volta, trovavano, almeno quando l'allerta fosse “esterna”, il loro perno nella previsione (artt.14 e 15) di obblighi di segnalazione a carico degli organi di controllo e del revisore contabile delle società, delle banche e di altri intermediari finanziari, di creditori pubblici qualificati. Obblighi assistiti da un significativo corredo sanzionatorio e/o premiale volto ad incentivarne l'adempimento.

Questo nuovo e dirompente assetto della normativa italiana sulla crisi di impresa ha sin dapprincipio attratto l'attenzione degli studiosi, da una parte, ma anche destato una certa preoccupazione, d'altra parte, sia dei soggetti, privati e pubblici, tenuti agli obblighi di segnalazione, in ragione delle significative sanzioni, o premialità, previste; sia da parte dello stesso legislatore, “rimeditando” sull'impatto e sulle criticità, forse inizialmente non previste, della novità da egli stesso introdotta.

Ed infatti da un lato si è temuto che il sistema delle procedure di allerta, nell'attuale congiuntura economica, potesse finire, per così dire, con l'andare oltre il segno, destabilizzando oltremodo un tessuto imprenditoriale già sofferente per la situazione di crisi generalizzata provocata dall'emergenza pandemica; d'altro lato si è maturata crescente consapevolezza della complessiva impreparazione del sistema rispetto alla necessità di allestire quell'apparato, affidato agli OCRI, che secondo la nuova disciplina sarebbe stato chiamato a gestire il funzionamento delle procedure di allerta (e in particolare la “composizione assistita delle imprese” in stato di crisi).

Poco mistero, allora, che sia stata proprio la materia delle procedure di allerta a rappresentare una delle principali cause dei molteplici rinvii dell'entrata in vigore del Codice, il cui equilibrio dipendeva dalla funzionalità di tali procedure. Tanto che, infine, era stata proprio la sola disciplina delle “procedure di allerta” a costituire oggetto di un ulteriore e cospicuo differimento della relativa entrata in vigore (rinviata al 31 dicembre 2023, rispetto alla data programmata per l'entrata in vigore del Codice al 16.5.2022); se non fosse però che nell'agosto 2021, è stato il complessivo impianto di questa materia, quale previsto nell'originaria versione del Codice, ad essere stato soppresso e riformulato ex novo dal DL. 118/2021, con l'introduzione, in particolare, della composizione negoziata della crisi in luogo della composizione assistita affidata agli OCRI, l'una e gli altri archiviati, quindi, prima ancora di vedere la luce.

Lungo la traiettoria di questa evoluzione normativa, anche la specifica materia degli “obblighi di segnalazione” è stata oggetto di ripetuti interventi: non solo nell'appena ricordato DL. 118/2021 per quanto riguarda, in particolare, gli obblighi di segnalazione da parte dell'organo di controllo (ma non più, come si vedrà, del revisore contabile); ma poi, ancora, con la L. 233/2021, nel convertire e modificare il DL. 152/2021, per quanto riguarda gli obblighi di segnalazione dei cd. creditori pubblici qualificati, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione (già oggetto di precedente, ed ora superato, intervento, con il DL. 147/2020) e contestualmente prevedendo la predisposizione di un “programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l'elaborazione di piani di rateizzazione automatici” (a sua volta attuato con un Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28.9.2021); sino all'ultimo DL. 83/2022, volto all'attuazione della Direttiva nelle parti che ancora lo meritassero (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1.7.2022 e destinato, secondo il suo art. 51 Dir. 2019/1023/UE, ad entrare in vigore con il resto del Codice al 15.7.2022) che ha, fra l'altro, risistemato tutto il plesso normativo appena citato agli artt. 25 octies ss. CCII.

Gli obblighi di segnalazione nell'architettura logica e normativa degli strumenti di allerta.

Tanto ricapitolato sulla tormentata evoluzione della normativa inerente ai meccanismi di allerta e agli obblighi di segnalazione in particolare, può essere utile, e forse in qualche modo rivelatore, riflettere, prima ancora che sul contenuto della nuova disciplina (in buona misura già in vigore per effetto degli interventi normativi appena menzionati, dunque ancor prima del resto del Codice), sulla sua stessa collocazione nel testo normativo, come operata dall'ultimo decreto correttivo.

Gli articoli da 25 octies a 25 undecies Codice, infatti, si trovano in coda a quel Titolo del Codice (il II della Parte prima, successivo solo alle “Disposizioni generali”) che, secondo l'ultimo decreto correttivo, dovrebbe occuparsi ex professo della materia dell'allerta precoce; una collocazione rivelata già dalla rubrica del Titolo: “Composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per la anticipata emersione della crisi”.

Il dato pare meritare una rilevanza che va oltre quella topografica, soprattutto se si nota che l'ordine espositivo del Codice, più che casuale, risulta in certo modo innaturale, perché contrastante con l'ordine logico della complessiva materia; ordine peraltro già tratteggiato, già al vertice, dalla Direttiva europea, che dei meccanismi di allerta va ad occuparsi già nel suo incipit, e cioè al suo art. 3 Dir. 2019/1023/UE (secondo solo alle “Definizioni”) che colloca i “meccanismi di allerta” proprio in cima alla previsione degli “strumenti di allerta”.

Che questa sia una disarmonia notevole, e non solo estetica, si è avveduto, già fra i primi, lo stesso Consiglio di Stato (Adunanza della Commissione speciale del 1° aprile 2022), nel Parere espresso su quest'ultimo schema decreto legislativo. In tale Parere il Consiglio di Stato si duole infatti di ciò, che “Il consolidamento della legislazione emergenziale nel Codice della crisi, certamente necessario, avrebbe dovuto comportare non solo un consolidamento formale, ma anche l'utilizzo di una modalità di redazione - tendenzialmente omogenea al Codice - nel rispetto di criteri ormai consolidati di qualità della regolazione, in senso formale e sostanziale, finalizzata alla semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole (…). Invece, la trasfusione integrale e letterale degli articoli rilevanti dei due decreti-legge nel Titolo II del Codice ha comportato” – fra l'altro – “che gli articoli contenenti le segnalazioni e il programma informatico per la verifica della sostenibilità del debito sono collocati nell'ultimo capo del Titolo II. L'effetto dell'utilizzo di tale tecnica comporta, quantomeno, una difficoltà dell'interprete nel cogliere la portata precettiva della singola disposizione e nello stabilire i collegamenti tra disposizioni, anche strettamente collegate tra loro. Così come la collocazione in un capo piuttosto che in un altro di una disposizione può concorrere alla sostenibilità di un percorso interpretativo della stessa”.

Il Consiglio di Stato ha quindi auspicato, nel suo Parere, una possibile riformulazione della disciplina che non solo anteponesse, già nella stessa rubrica del Titolo del Codice, gli strumenti di allerta rispetto ai conseguenti percorsi di superamento della crisi (“Strumenti di allerta e di supporto per il superamento della crisi, la composizione negoziale e l'esperto”); ma che poi, nell'articolato, seguisse una scansione che al principio ponesse, appunto, le “Segnalazioni per la anticipata emersione della crisi”, mentre solo in ultimo regolasse la “Composizione negoziata”, per poi lasciare in coda a tutto il “Concordato semplificato” (nella nuova formulazione, invece, illogicamente anteposto agli obblighi di segnalazione).

Pare evidente, infatti, come ogni strumento di allerta precoce non possa che fondarsi, secondo successione logica e diacronica: all'interno dell'impresa, sulla previa adozione di assetti organizzativi adeguati alla tempestiva rilevazione dello stato di crisi (art. 3 CCII e art. 2086 c.c.); e, all'esterno dell'impresa, sulla segnalazione al debitore, da parte terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore stesso, delle pre-individuate “situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza “ e, conseguentemente, “della necessità di agire senza indugio”.

Questo ordine logico e funzionale, come visto, viene invece a trovarsi capovolto nel testo del Codice che ci viene consegnato all'esito dell'ultimo decreto correttivo. Ed una tale, innaturale, collocazione ancillare dei meccanismi di allerta esterna, pare allora anticipare la sensazione (appresso motivata) che la portata precettiva e lo stesso rilievo pratico degli obblighi di segnalazione siano infine venuti ad assumere, con l'ultimo intervento normativo, una valenza tutto sommato marginale nella complessiva disciplina dell'allerta: sostanzialmente svuotata di ogni significativo apparato sanzionatorio o premiale, e priva di ogni intima organicità o coerenza, persino nei presupposti delle varie segnalazioni previste.

Azzardando, fra il serio e il faceto, un'interpretazione psicologica della voluntas legisaltoris, potrebbe allora dirsi che, rispetto alla più ambiziosa disciplina contenuta nella versione originaria del Codice, sia stato il legislatore stesso, nel relegare gli obblighi di segnalazione a mo' di appendice della materia, a voler freudianamente confessarci che la montagna ha infine partorito il proverbiale topolino.

L'obbligo di segnalazione dell'organo di controllo

Si valutino ora, dunque, i diversi obblighi di segnalazione previsti dal nuovo testo normativo (art. 25octies ss.), principiando da quello spettante all'organo di controllo societario (art. 25octies: norma, come sopra detto, introdotta, seppure in termini non coincidenti, già con il primo decreto correttivo dell'agosto 2021 art. 15 DL. 118/2021).

Dal punto di vista soggettivo (di chi è tenuto alla segnalazione) colpisce innanzitutto una constatazione, ricavabile: dall'appropriata accezione del termine “organo” (non predicabile per il revisore o la società di revisione); dal rinvio agli articoli in materia di doveri e responsabilità del collegio sindacale (art. 2403 e 2407 c.c., richiamati dall'art. 25octies); e, ancora, dalla disciplina della SRL che come noto distingue espressamente fra “organo di controllo” e “revisore” (art. 2477 c.c., che già nella rubrica distingue, a sua volta, fra “sindaco” e “revisione legale dei conti”). E cioè che dal novero dei soggetti tenuti all'obbligo di segnalazione, in questo caso individuato nel (preposto o nei preposti) organo di controllo, sia stata espunta la figura del “revisore contabile o della società di revisione”.

Una tale scelta legislativa:

  • non solo marca una evidente contrazione della portata precettiva della precedente norma, escludendo dai soggetti tenuti all'obbligo di segnalazione il revisore o la società di revisione (ove nominati, beninteso);
  • ma allontana la disciplina nazionale dal precetto europeo, posto che l'art. 3 Dir. 2019/1023/UE indica (seppure, parrebbe esemplificativamente), fra i “terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore”, proprio la figura del “contabile”, e non già dell'organo di controllo; e ciò, si direbbe, pour cause, dal momento che la nuova norma del Codice
  • finisce con il ricomprendere fra quelli che secondo la Direttiva dovrebbero essere i “terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore”, quello che invece è l'organo di controllo interno della società.

Quest'ultima notazione (c) rileva non tanto perché, si potrebbe pur dire, poco interessa e tanto meno nuoce, in definitiva, che l' “organo di controllo societario” sia o meno riconducibile fra i “terzi” indicati dall'art. 3 Dir. 2019/1023/UE, dal momento che in ogni caso, anche prescindendo da categorizzazioni concettuali, una volta esclusa la figura del revisore o della società di revisione, tanto meglio “venga” (o almeno “resti”, guardando alla precedente formulazione della norma) la previsione di un obbligo di segnalazione da parte dell'organo di controllo, in caso di inerzia dell'organo amministrativo nel rilevare i segnali di allerta, ed una sua responsabilizzazione specifica; ma rileva perché, a ben vedere, proprio in quanto si tratta di organo della società, con i doveri e le responsabilità previsti dagli (inutilmente e superfluamente richiamati e confermati) artt. 2403 e 2407 c.c., ci si trova qui in presenza di un meccanismo di allerta interna, che già può dirsi compreso, senza residui, nel (e comunque discendente dal) più generale obbligo di istituzione , oltre che monitoraggio, verifica e vigilanza da parte dell'organo di controllo , degli adeguati assetti organizzativi che la società deve adottare ai sensi dell'art. 3 CCII e dell'art. 2086 c.c.

Si tratta cioè di obbligo, quello di rilevazione e segnalazione dei segnali di allarme imposto dalla norma in discorso all'organo di controllo, che è già incluso (a prescindere da qualsiasi specificazione statutaria) nello statuto normativo dell'organo di controllo proprio per essere questo una necessaria parte (parte propositiva, parte attiva, parte vigilante) di quell'obbligatorio adeguato assetto organizzativo e contabile di cui la società deve dotarsi per rilevare la crisi dell'impresa e ad assumere ogni idonea iniziativa volta a scongiurarla quanto prima.

Poco o nulla, allora, aggiunge, in mancanza di particolari sanzioni, ma anche di appositi incentivi (esonero da responsabilità in caso di tempestiva segnalazione e da responsabilità penale), la disposizione per cui “in pendenza delle trattative” (di un'eventuale composizione negoziata scaturita dalla segnalazione) rimane fermo il dovere di vigilanza previsto dall'art. 2403 c.c. (così come anche, si potrebbe pur aggiungere, tutti gli altri doveri già spettanti all'organo di controllo, compresi quelli di avvalersi se necessario degli ulteriori strumenti di reazione di cui l'organo di controllo dispone ex artt. 2406 o 2409 c.c.). E poco o nulla aggiunge l'ovvio precetto che la tempestiva segnalazione e la vigilanza sulle trattative sono “valutate” ai fini della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c.: chiaro essendo che ogni negligenza o omessa vigilanza sull'azione amministrativa (anche quella eventualmente negligente nel non avviare o mal condurre trattative per una composizione negoziata della crisi), già di per sé merita di essere valutata, nel giudicare dell'eventuale responsabilità dell'organo di controllo. Ed infatti si passa dalla previsione di un incondizionato (anche se non illimitato) “esonero dalla responsabilità”, ad una più sfumata “valutazione ai fini dell'esonero o dell'attenuazione della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c. (art. 15, comma 2, D.L. 118/2021) sino all'ovvia “valuta(zione) ai fini della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c.” (art. 25octies CCII introdotto dal D.Lgs. 83/2022), che proprio nulla aggiunge o toglie al regime generale della responsabilità dell'organo di controllo e che tanto piacerebbe a monsieur Lapalisse.

Anche poi dal punto di vista oggettivo, il contenuto dell'obbligo di segnalazione dell'organo di controllo, lascia interdetti: esso consisterebbe nella “sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'art. 12 c. 1 CCII”, e cioè per l'istanza di nomina dell'esperto attraverso la quale si dà avvio alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi. Sennonché questo presupposto, come prevede l'articolo appena ricordato, riguarda le “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (dell'imprenditore commerciale o agricolo) che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”. Ma allora: nulla quaestio sulla probabilità di insolvenza; ma quid iuris quanto alla “probabilità della crisi”, posto che essa, secondo la nuova definizione introdotta dall'ultimo decreto correttivo (D.Lgs. 83/2022), consiste a sua volta in una situazione di probabilità, e cioè nello “stato del debitore che rende probabile l'insolvenza”?

L'obbligo di segnalazione scatta quindi anche quando ci sia la probabilità… di una probabilità di insolvenza.

Ora, questa sorta di “probabilità al quadrato”, se il termine probabilità, nel nostro discorso, pare debba intendersi non tanto nel senso matematico di un qualsiasi “rapporto fra il numero dei casi favorevoli ed il numero dei casi possibili, supposti tutti ugualmente possibili”, bensì come un rapporto almeno superiore alla metà (insomma, il noto “più probabile che non”), o comunque significativo, è chiaro allora che, a rigore, può condurre a considerare anche i casi in cui quel rapporto risulti al di sotto di quella soglia, e cioè quando vi sia una probabilità di insolvenza assai sfumata, una più o meno discreta possibilità.

Il risultato, in questo senso, potrebbe allora esser quello, poco virtuoso, di indurre i componenti dell'organo di controllo ad attivarsi pure in casi di modeste probabilità, a scanso di ogni rischio di responsabilità; tanto più considerando come la probabilità di crisi (cioè una “probabilità di probabilità di insolvenza”) pare non coincidere e verosimilmente attestarsi al di sotto dei parametri di riferimento più o meno oggettivi quali potevano essere gli “indicatori e degli indici della crisi” già previsti (e a loro volta rimessi alla determinazione dell'ordine dei dottori commercialisti) ma ora espunti dal suo testo, ovvero ora i “segnali di crisi” riportati nell'art. 3 c. 4 CCII (almeno le lettere a, b e c; della d si dirà appresso) , come da ultimo riscritto dall'art. 2 D.Lgs. 83/2022.

Con il risultato, quindi, di aver generato un meccanismo di allerta forse ipersensibile, capace di dar luogo a “falsi positivi”; ovvero, per converso, di dar luogo ad una eccessiva responsabilizzazione dell'organo di controllo che sia rimasto inerte di fronte a deboli indici di crisi incipiente, se poi però si ritenesse, alla luce di un ipotetico giudizio a priori formulato col facile senno del poi, da parte di chi possa constatare il successivo determinarsi di una situazione di insolvenza, che una segnalazione all'organo amministrativo avrebbe dovuto essere inviata già in presenza di quei deboli segnali.

Si noti infine, in ultimo ma non per ultimo, che l'art. 3.1. Dir. 2019/1023/UE parla semplicemente di “probabilità di insolvenza”; d'onde, la formula introdotta nel Codice della Crisi con il D.Lgs. 83/2022 che avrebbe dovuto dare attuazione alla Direttiva, e che accorda rilevanza alla “probabilità di una probabilità”, pare piuttosto eccentrica rispetto alla norma europea; allontanandone la normativa italiana più di quanto non lo fosse prima dell'ultimo intervento.

L'obbligo di segnalazione dei creditori pubblici qualificati

L'obbligo di segnalazione previsto a carico dei creditori pubblici qualificati, come ora previsto dall'art. 25 novies CCII, è anch'esso già in vigore (il 1.1.2022) per essere stato introdotto dall'art. 30 sexies D.L. 152/2021.

Il meccanismo di allerta, pur articolato nella sua disciplina a seconda dei diversi creditori coinvolti, è comunque lineare nella sua logica: entro sessanta giorni dal superamento di una determinata esposizione debitoria nei confronti dell'INPS, o dell'INAIL, o dell'Agenzia delle entrate o dell'Agenzia delle entrate-Riscossione, ciascuno di tali “creditori qualificati” dovranno avvisare l'imprenditore, ed eventualmente il suo organo di controllo, del superamento della soglia prevista, “invitandolo” a presentare una istanza di accesso alla procedure di composizione negoziata.

Si tratta di una disciplina francamente poco significativa e svuotata rispetto alla sua portata originaria e, anche in questo caso, capace di generare falsi positivi oltre che, per certi, incertezze.

In primo luogo, se per gli obblighi di segnalazione imposti all'organo di controllo non sembra potersi percepire un apparato sanzionatorio specifico ed ulteriore rispetto a quello già contenuto nello statuto normativo generale dei suoi doveri e responsabilità, nel nuovo art. 25 nonies CCII risulta persino svanita ogni sanzione, e in primis quella, severa (inefficacia del titolo di prelazione spettante sul credito che avrebbe dovuto occasionare la segnalazione) e con essa, pertanto, anche le preoccupazioni che aveva destato in capo ai creditori pubblici qualificati (e al suo personale).

In secondo luogo, le stesse soglie di indebitamento rilevante previste dalla legge appaiono, per la verità, ben poco indicative, di per sé, di un particolare squilibrio patrimoniale o economico-finanziario: in effetti, soglie di soli € 5.000-15.000 per mancate retribuzioni, o di € 5.000 per mancato versamento di contributi previdenziali o assistenziali, o di € 5.000 di mancato versamento Iva, davvero appaiono lontane dal denunciare, di per sé, la crisi, anche solo incipiente, di un'impresa, tanto meno poi se non si differenzia rispetto alle sue dimensioni.

Tanto ciò è vero, che lo stesso invito alla presentazione dell'istanza di accesso alla procedura di composizione negoziata, che il creditore qualificato deve rivolgere all'imprenditore, risulta di ben tenue impulso.

Innanzitutto, perché lo stesso invito non è incondizionato, ma è dalla legge stessa subordinato alla eventualità che i presupposti sussistono (“se ne ricorrono i presupposti”). Presupposti, dunque, che restano tutti da verificare e da valutare autonomamente, a prescindere dal superamento delle soglie di indebitamento verso il creditore qualificato, e che allora devono di per sé ritenersi incapaci di esprimere un indice di crisi (così emergendo, oltretutto, una certa contraddizione fra la disposizione ora osservata e il nuovo art. 2, comma 4, lett. d, CCII, che considera invece incondizionatamente le soglie indicate dall'art. 25 nonies CCII quali “segnali di allarme”). Si tratta, allora, di meri elementi, certo non virtuosi ma talora insignificanti (si pensi, per tutti, al mancato versamento di soli € 5.000 di Iva per un'impresa con milioni di euro di fatturato), che l'imprenditore dovrà prendere in considerazione nel contesto della più complessa valutazione di una probabilità… di “probabilità di insolvenza”.

Inoltre, l'invito proveniente del creditore qualificato costituirà un ben debole impulso, dal momento che in caso di mancata (e sol perciò negligente) reazione da parte dell'imprenditore, costui saprà che, secondo la nuova disciplina, non vi sarà più il rischio che il creditore qualificato, com'era previsto nell'originaria versione del Codice (art. 15, comma 4, CCII), possa denunciare l'inerzia del debitore, così provocando l'avvio di una procedura di composizione assistita (e, in difetto, incorrendo ancora una volta nella decadenza dalla causa di prelazione che assiste il proprio privilegio). Al contrario, secondo l'art. 25 nonies CCII, se l'imprenditore non dà alcun seguito alla segnalazione del creditore qualificato, costui non avrà alcun onere o potere di assumere alcuna ulteriore iniziativa, salvo procedere ad ulteriori segnalazioni.

L'obbligo di segnalazione delle banche ed intermediari finanziari di informazioni già date

L'obbligo di segnalazione delle banche ed intermediari finanziari previsto dall'art. 25 decies CCII, corrisponde, inalterato, a quello già previsto dal testo originario del Codice.

Si tratta, in primo luogo, di un obbligo di segnalazione la cui autonoma carica precettiva, e valenza informativa, può misurarsi solo nei termini di una duplicazione di un'informazione già data: ed infatti ha ad oggetto non già elementi da comunicarsi comunque ed imperativamente, ma solo la ripetizione, a favore dell'organo di controllo (sempre che esistente), di una comunicazione – quella avente ad oggetto le “variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti”, che risulti già data al “cliente”, cioè all'organo amministrativo della società (“nel momento in cui comunicano…. ne danno notizia anche…”).

Anche in questo caso, nessuna specifica sanzione assiste l'obbligo della banca; seppure, in via più generale ed indiretta, non possa escludersi che in sede giudiziale possa valorizzarsi la condotta omissiva della banca nella prospettiva di un ipotetico concorso in alcuno dei diversi reati “fallimentari” nei quali, a torto o a ragione, gli intermediari vengono talvolta coinvolti.

Inoltre, a seguito della segnalazione, nessun obbligo conseguente viene imposto all'imprenditore (ed eventualmente al suo organo di controllo): se non quello, che si direbbe però imposto dal generale dovere di diligenza e dalla sua specificazione negli artt. 3 ss. CCII, di prendere atto della segnalazione e di valutarne la rilevanza nell'ambito della più complessiva, e comunque doverosa, attività di rilevazione di un possibile stato di crisi. E ciò eventualmente anche in sede di quella “auto-diagnosi” che ai sensi del nuovo art. 25 undecies CCII può essere effettuata tramite il programma informatico disponibile sulla piattaforma telematica nazionale di cui all'art. 13 CCII, verificando, e allora considerando lo stato attuale degli affidamenti e della esposizione bancaria, la sostenibilità del debito e la perseguibilità di un piano di risanamento.

Tanto rumore per nulla

Per concludere, occorre constatare che della severa ed ambiziosa disciplina degli obblighi di segnalazione, quale perno e propulsore delle procedure di allerta, che a loro volta potevano addirittura concludersi, in caso di protratta inerzia del debitore, con una segnalazione dell'OCRI al pubblico ministero, affinché questi, a sua volta, provocasse l'apertura di una liquidazione giudiziale, davvero restano, ad oggi, scarse vestigia.

Quel che resta, infatti, è solo un blando apparato di obblighi, privi di specifica sanzione, volti a procurare la comunicazione all'imprenditore, ed eventualmente al suo organo di controllo, di alcuni dati, talora già noti e spesso di per sé poco o punto significativi, da aggiungere a tutti gli altri che vanno comunque presi in considerazione nella complessiva e continuativa attività di individuazione della sussistenza dei presupposti per accedere (e comunque mai coattivamente) ad una procedura di composizione negoziata.

Ma un tale sistema di segnalazioni obbligatorie non toglie che ogni iniziativa volta ad una precoce reazione alla crisi incipiente resta, in definitiva, nella piena disponibilità e rimessa alle valutazioni, insomma alla buona volontà, dell'imprenditore. Il quale tuttavia, come noto, almeno in Italia suole distinguersi, piuttosto, per una certa renitenza ad ammettere, e poi a rendere pubblico, il suo stato di crisi o tanto meno di insolvenza; e forse troppo ottimistico sarebbe credere che una tale indole possa essere vinta solo grazie alla promessa di misure premiali consistenti nella minimizzazione degli eventuali interessi o sanzioni tributarie.

Degli “incentivi” (premiali o afflittivi) che invece, secondo la Direttiva, avrebbero dovuto sollecitare i “terzi”, invece, non resta traccia, così che l'ultimo decreto correttivo, giustificato dall'esigenza di dare attuazione alla Direttiva, l'abbia tradita più di quanto non facesse il testo originario del Codice.

Tanto rumore per nulla, insomma, avrebbe sentenziato il poeta. Ma viene il sospetto che sia stato persino per peggio di nulla.

(*) Il testo riprende e sviluppa le considerazioni svolte in una relazione tenuta ad Ancona il 24 giugno 2022 nell'ambito del Corso specialistico dedicato a “Crisi economica, tutela dell'impresa e del lavoro alla luce della riforma”.

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