Appalto di servizi nell'ambito di trasferimento di ramo di azienda: legittimità del contratto e applicabilità dell'art. 2112 c.c.
29 Luglio 2022
Massima
I criteri che distinguono l'appalto genuino di cui all'art. 1655 c.c. dalla somministrazione vietata di manodopera vengono identificati con riferimento alla figura dell'appaltatore nell'organizzazione dei mezzi necessari, seppur minima, con prevalenza dell'apporto di personale specializzato dell'appaltatore, nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavori e nell'assunzione del rischio di impresa (Cass. n. 13413/2021). Il caso
Il ricorrente chiedeva alla cedente di un ramo di azienda il ripristino del precedente rapporto di lavoro ceduto, con la conseguente ricostruzione giuridica ed economica, in quanto la cessione di detto rapporto avrebbe concretizzato, in realtà, un illegittimo appalto di manodopera o, comunque, un'illegittima interposizione fittizia.
I fatti oggetto di causa sono presto detti e riassunti.
La società presso cui lavorava il ricorrente era stata interessata da una cessione mediante un trasferimento di ramo di azienda ex art. 2112 c.c. La cessione era comprensiva dell'avviamento, dei rapporti contrattuali all'epoca in essere con i 504 dipendenti, delle apparecchiature del laboratorio collaudi, delle altre attrezzature, dei software, degli autoveicoli, delle disponibilità finanziarie e delle relative passività.
Il ricorrente ravvisava degli indici di continuità tra la vecchia e la nuova realtà aziendale quali: i) lo svolgimento del medesimo incarico relativamente ad un progetto in corso anche successivamente alla cessione del ramo di azienda; ii) la continuazione anche per gli altri dipendenti ceduti del rapporto di lavoro a favore della cedente; iii) il mantenimento in capo alla cedente degli strumenti di lavoro informatici e, più in generale, delle procedure necessarie all'espletamento dell'attività da parte del ricorrente.
Ciò avrebbe determinato la mancanza di autonomia gestionale e organizzativa del ramo di azienda ceduto e la conseguente interposizione fittizia di manodopera.
La resistente ribadiva invece la legittimità del trasferimento di azienda, tra l'altro non impugnato in sede giudiziale e, pertanto, definitivamente accertato.
Precisava che, tra le due società, era in vigore un contratto di appalto per la fornitura di specifici servizi di installazione, manutenzione e supporto dettagliatamente elencati e, tra l'altro, le medesime avevano sottoscritto un contratto di rete per accrescere la competitività mediante le più ampie forme di collaborazione e in tale ambito avevano trovato origine la sottoscrizione di molteplici rapporti contrattuali con i clienti finali.
In sintesi, il ricorrente non era inserito nei progetti della cedente ma nei progetti oggetto del contratto di appalto di servizi, sulla base del contratto di rete stipulato da cedente e cessionaria del ramo di azienda.
Secondo il Giudice, visto che, anche successivamente al trasferimento, il citato ramo aveva conservato la propria identità, atteso che era stata ceduta non solo la titolarità dei rapporti di lavoro ma anche tutto quanto necessario e sufficiente per continuare la normale attività di impresa fino a quel momento esercitata, considerato il fatto che, benché il ricorrente avesse potuto continuare a lavorare su alcuni applicativi, ciò non poteva di per sé determinare la sussistenza di una interposizione fittizia di manodopera avuto riguardo al fatto che si trattava di un appalto tecnico che non poteva che essere svolto su applicativi del committente, per tutte queste ragioni l'appalto, intercorso tra le due società e fondato a sua volta sul contratto di rete, non poteva che essere pienamente legittimo e, di conseguenza, non poteva che essere applicabile ai lavoratori ceduti l'art. 2112 c.c. La questione
Quali sono i criteri distintivi di un appalto genuino rispetto ad una interposizione di manodopera fittizia, del tutto illecita, nel caso di un trasferimento di ramo di azienda tra il cedente-committente ed il cessionario-appaltatore, anche ai fini del mantenimento dei diritti dei lavoratori ceduti ex art. 2112 c.c.? Le soluzioni giuridiche
Ai fini di un corretto inquadramento della questione occorre necessariamente muovere dal dato normativo di riferimento per poi verificare l'orientamento della giurisprudenza maggioritaria - di merito, di legittimità ed anche amministrativa - a cui il Giudice del caso in esame è sembrato ancorarsi al fine di decidere la controversia.
L'appalto, in base alla definizione codicistica, è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un determinato corrispettivo in denaro (cfr. art. 1655 c.c.).
L'appalto di servizi si discosta dalla somministrazione di manodopera, illecita, per le ragioni di seguito indicate.
Il D.Lgs. n. 276 del 2003, all'art. 29 prevede che "ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo (Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco), il contratto di appalto, stipulato ai sensi dell'art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenza dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa".
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13413/2021, ha precisato i criteri che distinguono l'appalto genuino dalla interposizione di manodopera, e infatti: “La distinzione tra appalto genuino di cui all'art. 1655 c.c. e somministrazione vietata di manodopera si individua dalla presenza dei seguenti requisiti (per la sussistenza dell'appalto genuino): organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, con la precisazione, però, che l'organizzazione dell'appaltatore può anche essere minima, con prevalenza dell'apporto di personale specializzato da parte dell'appaltatore; l'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavori utilizzati, da parte dell'appaltatore; l'assunzione da parte dell'appaltatore del rischio di impresa.”.
In sostanza, ciò che caratterizza l'appalto “non genuino” non è tanto la mancanza di una organizzazione che può essere anche minima (cfr. Cass. n. 19920/2011), ma, soprattutto, l'eterodirezione, ancora prima dell'assenza di rischio di impresa (Cass. n. 31720/2018), che si ha allorquando l'appaltante-interponente, non solo organizza ma anche dirige i dipendenti dell'appaltatore, utilizzandoli in prima persona.
Si ha eterodirezione quando restano in capo all'appaltatore solo i compiti di gestione amministrativa, quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, senza una reale organizzazione della prestazione, volta ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 7820/2013), mentre l'interponente-committente non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona (Corte Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/12, Amatori, in relazione al tema contiguo del trasferimento di azienda labour intensive, ossia nelle realtà ad alta intensità di manodopera).
Ai fini di individuare la linea di demarcazione tra la fattispecie vietata di interposizione di manodopera e quella lecita dell'appalto di opere o servizi, è necessario accertare che all'appaltatore sia stato affidato un servizio ed un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso la reale organizzazione e gestione autonoma della prestazione, con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo, con l'impiego di propri mezzi da parte dell'appaltatore e sempre che sussista un rischio di impresa (Trib. Perugia, sentenza n. 44 del 02/03/2022).
L'appaltatore deve in sintesi mantenere una organizzazione autonoma anche dopo la cessione del ramo di azienda, risorse di beni e personale propri e deve aver assunto il rischio di impresa in relazione al servizio erogato in virtù dell'appalto.
In merito poi alle attrezzature e agli strumenti necessari alla realizzazione del servizio la Corte ha puntualizzato, con ordinanza n. 4208/2022, depositata in data 9 febbraio 2022, che: “in tema di intermediazione di manodopera, al fine di ritenere operante la presunzione di cui all'art. 1, comma 3, della legge n. 1369 del 1960, occorre verificare che l'utilizzazione da parte dell'appaltatore di mezzi dell'appaltante sia significativa e non marginale, e dunque non occasionale, né temporanea, né legata all'oggetto dell'appalto (cfr. Cass. n. 4181 del 2006, Cass. n. 15292 del 2018;… , cfr. Cass. n. 10534 del 2020); la valutazione di questi aspetti rientra nei compiti del giudice del merito…”.
E, dall'istruttoria condotta dal Giudice sul punto, non sono emersi elementi di prova a sostegno dell'esistenza di una interposizione fittizia di manodopera del lavoratore che, pertanto, può continuare a prestare legittimamente la propria attività per la cessionaria mantenendo i diritti di cui all'art. 2112 c.c. Osservazioni
Di norma, solo il legittimo trasferimento d'azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato nei suoi elementi oggettivi, ovviamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all'art. 2112 c.c.
E ciò rimane vero anche nel caso di combinazione del trasferimento di parte dell'azienda e contestuale conclusione di un contratto di appalto tra cedente e cessionario; fattispecie più frequente nella prassi di quanto si possa pensare. In sostanza, il venditore stipula con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo di azienda oggetto di cessione.
Nel caso che ci occupa, viene in rilievo una questione patologica della suddetta particolare situazione cessione di azienda/contratto di appalto, anche se, a dire il vero, giudizialmente, il lavoratore ha richiesto solamente il diritto ad essere riammesso in servizio presso la cedente per interposizione fittizia di manodopera ma senza accertamento dell'illegittimità del trasferimento del ramo di azienda che anzi ha riconosciuto valido.
I fenomeni interpositori rappresentati dalla somministrazione irregolare o dall'appalto illecito risultano strutturalmente incomparabili con le cessioni di ramo d'azienda dichiarate illegittime nei confronti del lavoratore ceduto.
“Nel primo caso il soggetto che ha utilizzato le prestazioni è il datore di lavoro reale al quale è imputabile la titolarità dell'unico rapporto, mentre nel secondo caso l'impresa cedente non è il soggetto che utilizza la prestazione, invece effettuata a vantaggio di una diversa organizzazione d'impresa che diventa titolare di un altro rapporto e che paga un debito proprio" (Cass., n. 17784/2019).
Le conseguenze dal punto di vista retributivo ormai sono state dalla giurisprudenza equiparate in quanto la Cass. n. 2990/2018 ha sancito che: “La declaratoria di nullità dell'interposizione di manodopera per violazione di norme imperative e la conseguente esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato determina, nell'ipotesi in cui per fatto imputabile al datore di lavoro non sia possibile ripristinare il predetto rapporto, l'obbligo per quest'ultimo di corrispondere le retribuzioni al lavoratore a partire dalla messa in mora decorrente dal momento dell'offerta della prestazione lavorativa”.
Poi, la Corte cost. 28 febbraio 2019, n. 29 ha ritenuto il detto principio espressione del diritto vivente “sopravvenuto” anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione di azienda affetta da invalidità.
Fermo quindi il riconoscimento della natura retributiva e non risarcitoria delle somme dovute, il problema rimane se si intende procedere a detrarre dalle retribuzioni pretese dal lavoratore – illegittimamente non riammesso al lavoro dalla cedente nonostante l'avvenuta offerta delle prestazioni – le retribuzioni corrisposte dalla cessionaria presso la quale egli abbia comunque prestato il proprio lavoro dopo la declaratoria di nullità della cessione.
Ed è qui che si sviluppa e diventa importante la differenza tra l'interposizione fittizia di manodopera e la cessione di azienda non valida perché avvenuta in mancanza dei requisiti di cui all'art. 2112 c.c. ovvero in assenza del consenso del ceduto quale elemento costitutivo della cessione.
Al caso dell'interposizione fittizia di manodopera nell'appalto di servizi è applicabile l'art. 27, comma 2 D.Lgs. 276 del 2003.
Il nuovo datore di lavoro cessionario non è l'utilizzatore effettivo come nel trasferimento dichiarato illegittimo bensì è l'utilizzatore apparente e si applicano giustappunto le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 276 del 2003 laddove all'art. 27, comma 2 (previsto in materia di somministrazione irregolare ma richiamato anche dall'art. 29, comma 3-bis, in tema di appalto illecito) si stabilisce che "tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata".
Con la conseguenza che il lavoratore non potrà ottenere dal cedente la medesima retribuzione già corrispostagli dal cessionario, ma solo le differenze rispetto a quanto avrebbe percepito alle dipendenze del primo.
Il dato testuale della norma, che consente l'effetto liberatorio del pagamento in favore del soggetto che “ha effettivamente utilizzato la prestazione”, sembra escludere però ogni interpretazione estensiva che consenta l'applicazione anche alla cessione di ramo di azienda, in quanto l'impresa cedente, che dovrebbe beneficiare del pagamento altrui, non utilizza affatto la prestazione del lavoratore ceduto.
Le retribuzioni corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa, in quanto l'invalidità della cessione determina l'instaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario.
Dopo questo ampio ma doveroso excursus logico, ritorniamo al caso trattato, a cui, a ben vedere, mancano addirittura i requisiti per definire illegittimo il contratto di appalto per interposizione fittizia di manodopera.
Non è sufficiente ad integrare il ricorso alla somministrazione abusiva di manodopera la circostanza che i dipendenti dell'appaltatore utilizzino per i lavori macchinari e attrezzature messe a disposizione del committente (Cass. pen. n. 18667/2015).
Il Cons. Stato, con pronuncia n. 1571/2018, ha confermato che, per la distinzione tra appalto “genuino” e somministrazione illecita di manodopera, i criteri amplius supra illustrati, che devono in concreto accertarsi nelle fattispecie poste all'attenzione del Giudice, determinano comunque il potere del committente di indicare all'appaltatore ed ai suoi collaboratori l'oggetto dell'attività da svolgere; con derivante accertamento della genuinità di tale contratto laddove tale aspetto si sia rivelato quale inevitabile, mera, conseguenza dell'esecuzione dell'appalto stesso.
Quindi escluso definitivamente il carattere fittizio dell'appalto in oggetto, nel caso in cui ci sia contratto di appalto nell'ambito di un trasferimento di azienda, non rimane semmai che invocare tra committente/cedente e appaltatore/cessionario il regime di solidarietà: il committente è obbligato in solido con l'appaltatore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi (comprese le quote di trattamento di fine rapporto), nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell'appalto (art. 2112, comma 6 c.c.; art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003). |