La non rilevabilità d'ufficio dell'incapacità a testimoniare e la nullità della deposizione
01 Agosto 2022
Massima
Occorre rimettere gli atti al Primo Presidente per valutare l'opportunità di sottoporre alle Sezioni Unite di verificare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva restando altrimenti sanata ex art. 157, comma 2, c.p.c., senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza ammessa ed assunta nonostante l'opposizione. Il caso
Tizio e Caio avevano convenuto in giudizio la società Alfa, in qualità di impresa designata alla gestione dei sinistri a carico del Fondo Garanzia Vittime della Strada, per ottenere il risarcimento del danno subiti in conseguenza di un incidente stradale in cui aveva perso la vita un loro congiunto. Istruita la causa mediante escussione testimoniale, il Tribunale adito rigettava le domande proposte dagli attori per mancanza di prova. In particolare, il Giudice di prime cure riteneva inutilizzabili le dichiarazioni rese dal teste terzo trasportato Sempronio in ragione dell'incapacità a testimoniare del medesimo ai sensi dell'art. 246 c.p.c. La pronuncia veniva confermata dalla Corte di Appello che condivideva la statuizione del primo giudice in ordine all'incapacità a testimoniare della terza trasportata, seppure integralmente risarcita dall'istituto assicuratore, richiamando l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui chi è privo della capacità a testimoniare, perché titolare di un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, non riacquistata tale capacità per l'intervento di una fattispecie estintiva del diritto che potrebbe far valere, quale la transazione. Avverso la pronuncia di secondo grado veniva proposto ricorso in Cassazione deducendosi, tra l'altro, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 112,115,116,157 e 246 c.p.c., ex art. 360, n. 3 con riferimento alla incapacità a testimoniare della terza trasportata, sebbene la testimonianza di quest'ultima fosse stata ritualmente ammessa in fase di istruttoria. La questione
La terza sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione afferente all'attualità ed effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157 c.p.c., comma 2, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l'opposizione. Le soluzioni giuridiche
La terza sezione della Cassazione mette in discussione l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la nullità della testimonianza resa da persona incapace ex art. 246 c.p.c. (in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio) deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. (salvo che il difensore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, nel qual caso la nullità può essere eccepita nell'udienza successiva), sicché, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell'art. 246 c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione (cfr. Cass. civ., sez. lav., 20 aprile 2021, n. 10374; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2021, n. 3685; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 2020, n. 25021). All'uopo era stato, peraltro, di recente chiarito dalla S.C. che l'eccezione di incapacità a deporre, sollevata, nel rispetto dell'art. 157, comma 2, all'esito dell'escussione del teste, costituisce idonea manifestazione dell'intenzione di proporre eccezione di nullità della prova assunta, non essendo necessario a questo scopo la doppia formale espressione deduttiva di "incapacità e, quindi, nullità (cfr. Cass. civ. sez. III, 6 maggio 2020, n. 8528). I giudici della terza sezione osservano che il consolidato orientamento di legittimità - affermato per la prima volta da Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1990, n. 7869 – si basava in origine su due diverse argomentazioni. In primo luogo, sul dato che la parte non si era avvalsa del rimedio del reclamo ex art. 178 c.p.c., comma 2, avverso l'ordinanza del giudice istruttore che, ammettendo la prova testimoniale, implicitamente aveva rigettato l'eccezione di incapacità. Argomentazione questa sicuramente non più attuale alla luce delle modifiche introdotte dalla l. 353/1990, che ha abolito la possibilità di reclamo al collegio per la soluzione di questioni istruttorie. In secondo luogo, si riteneva che l'eccezione preventiva di incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. doveva ritenersi inidonea a fungere anche da eccezione di nullità delle testimonianze malgrado ciò ammesse e assunte, attesa la diversa natura e funzione delle due eccezioni e attesa l'impossibilità di riferire l'eccezione di nullità ad un atto futuro non ancora compiuto. Sul punto nell'ordinanza di remissione viene messa in discussione la qualificazione del vizio della testimonianza resa dall'incapace quale nullità relativa, profilando la possibilità di qualificarla come inefficace/inutilizzabile con conseguente venir meno del limite di decadenza ex art. 157, comma 2, c.p.c. I giudici della Terza sezione sottolineano come una diversa qualificazione del vizio della testimonianza resa dall'incapace ex art. 246 c.p.c. non inciderebbe sulla scelta finale di avvalersi o meno delle dichiarazioni del teste incapace (assunte nonostante l'eccezione), scelta che spetterebbe comunque alla parte che ha interesse a sollevare l'eccezione medesima la quale, in sede di precisazione delle conclusioni, potrebbe decidere di rinunciare a contestare nuovamente la capacità a testimoniare, ove ritenesse tali dichiarazioni per lei favorevoli. Osservazioni
Appare opportuno ricordare che, secondo l'orientamento sinora consolidato della S.C., qualora l'eccezione di nullità della testimonianza resa dall'incapace venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (cfr. Cass. civ., sez. VI, 10 aprile 2019, n. 10120; Cass. civ., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21670). Conseguentemente, se l'eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, ritualmente proposta, non sia stata presa in esame dal giudice davanti al quale la prova venne espletata, la stessa deve essere formulata con apposito motivo di gravame avanti al giudice di appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell'art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2005, n. 6555). Pertanto, in sede di ricorso per cassazione qualora la parte deduca la violazione dell'art. 246 c.p.c. per l'omessa motivazione del giudice d'appello sull'eccezione di incapacità di alcuni testimoni, formulata in primo grado in via preventiva all'assunzione degli stessi con le memorie dell'appendice scritta della prima udienza di trattazione, senza tuttavia indicare, anche agli effetti dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di avere sollevato tempestivamente l'eccezione di nullità delle testimonianze comunque rese, e di avere riproposto la stessa eccezione in appello a norma dell'art. 346 c.p.c., l'eventuale nullità derivante dall'incapacità dei testi per l'irritualità della relativa eccezione deve ritenersi comunque sanata (cfr. Cass. civ., sez. II, 1 agosto 2017, n. 19144). Riferimenti
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