Valido il contratto che tutela l’assicurato in caso di morte saldando il mutuo della casa

Edoardo Valentino
02 Agosto 2022

La Suprema Corte ha avuto modo di esprimersi su una controversia avente ad oggetto un contratto assicurativo, stipulato al fine di garantire il pagamento del mutuo acceso per l'acquisto di un immobile in caso di morte.

Il caso. Un soggetto aveva sottoscritto un contratto con una compagnia assicurativa con lo scopo di garantire il pagamento del mutuo acceso per l'acquisto di un immobile in caso di evento morte.

Il contratto in oggetto, in particolare, prevedeva che in caso di morte del contraente la banca avesse diritto ad essere saldata di tutti i canoni residui del mutuo sino ad un certo importo e che, in caso di eccedenza, a seguito del soddisfo della banca, le somme andassero ai parenti del de cuius.

Nel caso in oggetto, il succitato soggetto veniva a mancare, ma l'assicurazione negava il pagamento alla banca.

La sorella dell'intestatario del contratto, quindi, agiva in giudizio avverso l'assicurazione chiedendo l'adempimento dell'accordo.

La compagnia, però si costituiva in giudizio contestando la legittimazione attiva della attrice e negando il pagamento in quanto l'assicurato avrebbe, a detta loro, taciuto pregressi problemi di salute invalidando il contratto di assicurazione.

Il Tribunale, a seguito della chiamata in causa anche dell'istituto bancario, accoglieva la domanda della parte attrice, condannando l'assicurazione al pagamento della somma.

La vicenda approdava quindi in Corte d'Appello, ma il secondo giudice confermava in toto la decisione del primo Giudice, ossia la condanna dell'assicurazione a saldare il debito eventualmente ancora pendente con l'istituto bancario.

Il contratto è di assicurazione e la compagnia deve risarcire. A seguito della duplice soccombenza la compagnia di assicurazione agiva in sede di Cassazione.

La Suprema Corte, rigettando integralmente il ricorso, con la sentenza numero 21863 dell'11 luglio 2022 svolgeva le seguenti considerazioni in punto di diritto.

In primo luogo, il contratto in oggetto veniva definito dalla Cassazione come «un perfetto esempio di come non si dovrebbe scrivere un contratto di assicurazione (ed anzi qualsiasi contratto)».

Secondo i giudici, infatti, l'assicurazione – lungi dal rispettare i dettami dell'art. 166 cod. ass. che prevederebbe la chiarezza ed esaustività dei contratti – conteneva formule involute e ambigue tali da ingenerare dubbi e incomprensioni anche sulla natura dell'accordo e sui soggetti coinvolti.

Tale norma prevedeva infatti che «1. Il contratto e ogni altro documento consegnato dall'impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente.

2. Le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente o dell'assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare evidenza».

Il contratto in questione, quindi, appariva eccessivamente convoluto e ambiguo.

Si occupava quindi la Cassazione di fare chiarezza.

Dal punto di vista della tipologia contrattuale, infatti, chiariva il giudice come detto rapporto fosse annoverabile tra quelli di cui all'art. 1891 c.c. (ossia assicurazione per conto altrui) che prevede al comma primo che «se l'assicurazione è stipulata per conto altrui o per conto di chi spetta, il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, salvi quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall'assicurato».

Nel caso in questione, poi, vi erano questioni inerenti ai soggetti coinvolti nell'accordo, ma la Cassazione chiariva come il contraente fosse l'assicurazione, il beneficiario fosse la banca e l'assicurato il de cuius.

Quanto alla legittimazione attiva della sorella dell'assicurato gli Ermellini rigettavano l'eccezione dell'assicurazione confermando la sussistenza della stessa.

Sussisteva, infatti, un interesse legittimo della sorella affinché la banca fosse pagata dall'assicurazione per due ordini di motivi: in primo luogo pare una motivazione condivisibile il fatto che la banca creditrice fosse saldata al fine di evitare un eventuale recupero del credito verso i parenti del de cuius anche a seguito dell'accettazione dell'eredità.

In secondo luogo, poi, il contratto prevedeva il pagamento dell'eccedenza (a seguito di soddisfo della banca creditrice) agli eredi, che quindi avevano tutto l'interesse di agire in caso di diniego da parte dell'assicurazione.

Vi era nel ricorso della Assicurazione altresì la contestazione della sentenza d'appello nella parte in cui non aveva valutato la mancata completa informativa del contraente rispetto alle proprie condizioni di salute.

La Cassazione, nel rigettare il predetto motivo di ricorso, specificava come tale argomentazione avrebbe dovuto essere svolta compiutamente in Corte d'Appello, domandando l'eventuale nullità del contratto e non solo genericamente contestando quanto già deciso dal primo giudice.

Per legge, infatti, laddove sia provato che il contraente abbia taciuto malattie pregresse che poi lo abbiano portato alla morte, l'assicurazione può richiedere la nullità del contratto per carenza dei requisiti e invocare tale invalidità per il diniego del risarcimento.

Nel caso in questione, invece, la difesa dell'assicurazione si era limitata in primo grado a chiedere l'annullamento della polizza.

A seguito del rigetto in prime cure, come detto, non aveva argomentato in sede di atto di citazione in appello, ma solo riportato il punto in modo generico e andando così incontro al rigetto dell'eccezione in sede di riesame.

Per la Corte di Cassazione, parimenti, la generica contestazione del punto non era sufficiente per un riesame del punto (peraltro di merito, non di legittimità) e il giudice conseguentemente rigettava altresì tale doglianza.

Alla luce di queste valutazioni giuridiche, quindi, la Cassazione rigettava il ricorso dell'assicurazione e confermava la necessità per la compagnia di provvedere al pagamento del debito lasciato dal soggetto che morendo non aveva più provveduto a pagare le rate del mutuo.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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