Opposizione tardiva a convalida di sfratto e mediazione

Mauro Di Marzio
02 Agosto 2022

La sentenza si misura con una questione di indiscutibile interesse pratico, che suscita plurimi interrogativi: se il procedimento di mediazione debba avere ingresso in riferimento all'opposizione tardiva; se eventualmente la mediazione debba essere promossa dal conduttore o dal locatore; in quale fase del procedimento di opposizione tardiva la mediazione debba eventualmente svolgersi.
Massima

Nel giudizio di opposizione tardiva a convalida di sfratto l'onere di introdurre il procedimento di mediazione insorge soltanto a chiusura della fase rescindente.

Il caso

Il conduttore di un immobile concesso in locazione ad uso non abitativo, subìto uno sfratto per morosità, propone opposizione tardiva alla convalida, ai sensi dell'art. 668 c.p.c., dolendosi dell'irregolarità della notificazione della intimazione e citazione per la convalida, tale da impedirgli di avere conoscenza del procedimento, e così di comparire in udienza per spiegare opposizione: opposizione legata alla pandemia, che avrebbe determinato l'insorgenza in capo al conduttore di un diritto alla riduzione del canone. Lo stesso conduttore lamenta altresì che il locatore, onerato dell'introduzione del procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione tardiva, non vi avrebbe provveduto. Il giudice adito, dopo aver svolto condivisibili osservazioni sulla piena validità dell'originaria notificazione, si è soffermato sulla questione della mediazione, disattendendo in proposito l'eccezione formulata dall'opponente, e concludendo infine con ineccepibile pronuncia di inammissibilità dell'opposizione spiegata.

La questione

La sentenza si misura con una questione di indiscutibile interesse pratico, che suscita plurimi interrogativi: se il procedimento di mediazione debba avere ingresso in riferimento all'opposizione tardiva; se eventualmente la mediazione debba essere promossa dal conduttore o dal locatore; in quale fase del procedimento di opposizione tardiva la mediazione debba eventualmente svolgersi.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione adottata nella sentenza in commento muove dalla constatazione che il procedimento di opposizione tardiva a convalida ha natura di impugnazione con duplice fase rescindente e rescissoria con la conseguenza che il procedimento di mediazione, obbligatorio per le controversie locatizie, costituisce condizione di procedibilità solo ove, conclusa positivamente per l'opponente la fase rescindente, si debba passare a quella rescissoria e valutare nel merito la pretesa del locatore. Circostanza non verificatasi nel caso che il tribunale ha esaminato, in cui la delibazione di ammissibilità dell'opposizione tardiva aveva avuto esito infausto per il ricorrente, rendendo superfluo e non obbligatorio l'esperimento del procedimento di mediazione.

Osservazioni

Cominciamo dalla natura dell'opposizione tardiva a convalida, che è fondamentale per dare una soluzione al problema. La ratio dell'istituto è chiara. Poiché la mancata comparizione dell'intimato all'udienza di convalida, nel congegno delineato dal legislatore, assume il significato di ficta confessio dei fatti dedotti dall'intimante in atto introduttivo, è indubbiamente necessario che tale condotta sia volontaria. Se volontaria non è — perché l'intimato neppure sapeva che l'udienza si sarebbe tenuta —, il meccanismo di ficta confessio non può operare e l'ordinanza di convalida eventualmente pronunciata poggia sul nulla. Fin qui nessun dubbio. Ma, rimane da chiedersi, l'opposizione tardiva a convalida è un mezzo d'impugnazione diretto a travolgere un provvedimento, l'ordinanza di convalida, che altrimenti acquista autorità di cosa giudicata, o è un congegno che comporta una sorta di regressione del procedimento alla fase della comparizione dinanzi al giudice della convalida?

Esattamente afferma la sentenza in commento che tale opposizione costituisce mezzo d'impugnazione, Garbagnati dice mezzo di gravame, rivolto contro l'ordinanza di convalida. Ma questa soluzione non è unanimemente condivisa, ed anzi dalla cabina di regia, intendo dire dalla Cassazione, giungono indicazioni contrastanti. In effetti, l'opposizione tardiva mira, secondo l'interpretazione preferibile, a rescindere il provvedimento adottato e a sostituirlo con un provvedimento sul merito della controversia pronunziato in forma di sentenza: dunque uno speciale mezzo di impugnazione (Giordano, in La locazione, a cura di Cuffaro, Bologna, 2009, 700; Trifone-Carrato, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 2003, 354; Garbagnati, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano, 1979, 340; Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 1379; Preden, Sfratto, in Enc. Dir., XLII, Milano, 1990, 452; Di Marzio-Di Mauro, Il processo locatizio, Milano, 2011, 957), l'unico, del resto, riconosciuto espressamente dal codice. Questa ricostruzione è stata espressamente fatta propria dalla S.C. (Cass. civ., 29 ottobre 2001, n. 13419, della quale fu estensore Roberto Preden). Vi è però un'altra opinione, seppur minoritaria, secondo cui l'opposizione tardiva a convalida vale ad operare, nella sostanza, come rimessione in termini dell'intimato, che, attraverso l'art. 668 c.p.c., può spiegare, ora per allora, l'opposizione alla convalida preclusagli dai vizi genetici del contraddittorio indicati dalla norma (Lazzaro-Preden-Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978, 294). Ora, questa seconda soluzione è insostenibile, e lo è per una ragione facile a comprendersi: se si trattasse di regressione del procedimento alla fase in cui l'intimato può ancora spiegare l'opposizione a convalida, l'opposizione tardiva travolgerebbe ex se, l'ordinanza di sfratto, o almeno la priverebbe di efficacia esecutiva, essendo appunto regredito il procedimento, come nel gioco dell'oca, di tante caselle tali da ricondurre la ruota del tempo ad un momento in cui tale ordinanza non era stata ancora pronunciata; ma così non è, poiché l'opposizione tardiva non sospende ipso iure l'esecutività dell'ordinanza di convalida, la quale, anzi, almeno temporaneamente, le sopravvive, conservando sia efficacia esecutiva, sia efficacia di accertamento del diritto fatto valere dall'intimante. Nondimeno, la S.C. ha accolto anche questa soluzione (Cass. civ., 4 giugno 2009, n. 12880, e qui, più che l'estensore, si può supporre contasse il presidente del collegio).

Ora, se si accogliesse questa seconda soluzione, e cioè si concepisse l'opposizione tardiva a convalida come un regresso del procedimento in fase sommaria, il problema della mediazione probabilmente non si dovrebbe neppure porre, giacché la mediazione quale condizione di procedibilità, altrimenti imposta per le cause locatizie dall'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, non opera nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, secondo la stessa norma, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c..

Diamo però per ammesso che la soluzione preferibile sia l'altra ampiamente maggioritaria, e giustamente condivisa anche dal Tribunale. Una risposta al quesito, in tal caso, sta nell'escludere in radice che nel procedimento di opposizione tardiva a convalida debba innestarsi la mediazione quale condizione di procedibilità: e ciò perché l'art. 5 d.lgs. marzo 2010, n. 28, stabilisce che «è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione», ove si versi tra l'altro in materia di locazione, «chi intende esercitare in giudizio» l'azione: e cioè, la mediazione si colloca in fase preprocessuale, con adattamenti necessari in casi particolari, quale quello dell'opposizione a decreto ingiuntivo, del procedimento per convalida di licenza e sfratto, dei procedimenti possessori e così via; viceversa, una volta che il giudice abbia definito la controversia con provvedimento suscettibile di impugnazione, non v'è ovviamente luogo a dar corso alla mediazione, salvo il caso della mediazione delegata, in grado d'appello, di cui ora non ci interessa però occuparci. E cioè, il sistema disegnato dal legislatore si riassume in ciò, che il locatore può agire per convalida senza passare preliminarmente per la mediazione e, se è pronunciata l'ordinanza di convalida, il discorso si chiude lì, mentre, solo se il conduttore intimato propone opposizione, adottata l'eventuale decisione sull'ordinanza provvisoria di rilascio e disposta la trasformazione del rito, spetta al locatore dar corso alla mediazione: il che ― la mediazione va promossa dal locatore attore, e non dal conduttore convenuto ― deve affermarsi sulla base della nota sentenza delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596) sulla mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo (per questa mi pare indubbia soluzione v. Gabellini, Mediazione nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo: le sezioni unite imputano al creditore-opposto l'onere di attivare la procedura di mediazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 585).

In effetti questa tesi è sostenuta da un locazionista di rango: «Ancora, sembrerebbe incompatibile con la procedura mediativa l'opposizione tardiva a convalida dello sfratto avanzata ai sensi dell'art. 668 c.p.c. (che pure formalmente involge controversia “in materia di locazione”) … la considerazione della natura giuridica del mezzo in esame potrebbe deporre, appunto, per la non necessità del preventivo esperimento della mediazione. Si consideri che, secondo la communis opinio, l'istituto ha natura di “mezzo di impugnazione speciale”. Se la mediazione deve precedere “l'esercizio in giudizio dell'azione”, ovvero, l'instaurazione di un processo di primo grado, implicitamente con ciò parrebbe escluso che la stessa debba precedere l'introduzione della fase di impugnazione» (Masoni, La mediazione nelle controversie lato sensu locatizie, in Giur. merito, 2011, 1762). Devo dire che questa è anche la mia opinione, probabilmente secondata anche da una personale larga sfiducia sull'utilità di mediazioni innestate nell'ambito di liti già portate dinanzi al giudice civile, mediazioni che a mio parere fanno perlopiù perdere tempo e denaro. Ed aggiungerei un dato tecnico, e cioè che il legislatore, ove la mediazione si debba inserire in un procedimento pendente, interviene stabilendo come e quando essa va introdotta. Questo non accade per l'opposizione tardiva a convalida, sicché occorrerebbe un'operazione di ingegneria processuale pretoria, certo non impossibile, ma neppure del tutto scontata, volta a stabilire in qual modo l'opposto, e cioè il locatore, che è l'attore in senso sostanziale, debba dar corso alla mediazione.

Il Tribunale di Roma sceglie un altro percorso, che è certo legittimo. E cioè dice: poiché l'opposizione tardiva a convalida dà luogo ad una impugnazione con duplice fase rescindente e rescissoria, la mediazione va fatta, ma va fatta solo se si supera il rescindente. A suffragio di questa conclusione, richiamando ancora una volta Garbagnati, si può ricordare che, una volta che sia stata positivamente vagliata l'ammissibilità, l'opposizione tardiva la luogo ad «un procedimento di primo grado che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario dinanzi al giudice adito e nel quale l'opponente, pur essendo formalmente attore, ha sostanzialmente posizione di convenuto». E così stando le cose si potrebbe dire: ma perché ritenere che un simile procedimento di primo grado vertente in materia di locazione debba essere esentato dalla mediazione?

E però qui i problemi non cessano. È vero che nell'opposizione a decreto ingiuntivo c'è una fase rescindente ed una rescissoria. Ma non è vero ― il discorso sarebbe lungo, ed anche complicato, ma il lettore deve fidarsi ― che la duplicità di fasi si traduca in duplicità di provvedimenti, e cioè in una sentenza che dichiara ammissibile l'opposizione tardiva ed in un'altra successiva sentenza che accoglie o rigetta l'opposizione, statuendo sulla sostanza sul diritto in contesa e, in definitiva, stabilendo quale debba essere la sorte dell'originaria domanda del locatore. Rammentando la mia lunga esperienza di giudice delle locazioni, posso dire di non aver mai pronunciato due sentenze una sul rescindente ed una sul rescissorio, e d'altronde nel processo civile il motto paghi uno prendi due dovrebbe essere recisamente bandito, per l'ovvia considerazione che fa perdere tempo. Insomma il giudice dell'opposizione tardiva a convalida decide in genere simultaneamente con la stessa sentenza, rescindente e rescissorio, ed una soluzione di continuità tra l'una e l'altra fase non c'è.

Ora, il Tribunale nel nostro caso ha dichiarato inammissibile l'impugnazione in buona sostanza perché la notificazione che l'opponente diceva essere invalida non lo era affatto. Ma se non fosse stato così? Se si fosse trattato di una notificazione nullissima e tale da impedire al conduttore di comparire in udienza per opporsi, che cosa avrebbe fatto il giudice? Sarebbe stato forse costretto a chiudere la fase rescindente con sentenza ed a dar corso al rescissorio, previa mediazione, per concludere poi il giudizio con un'altra sentenza?

E formulo ancora un interrogativo. Ammettiamo l'ammissibilità dell'opposizione tardiva. Nel nostro caso il conduttore, nel merito, intendeva opporsi allo sfratto per morosità sostenendo di non dover pagare il canone pattuito, ma un canone dimidiato causa pandemia. È, questa, una tesi su cui si sono misurati, in tempi recenti, torrenziali contributi di dottrina e pronunce talora ermetiche della giurisprudenza. Poniamo che il giudice condividesse l'opinione di chi, sforzandosi di tenere la testa al solito posto, cioè sul collo, ritiene che l'ordinamento non offra strumenti per modificare ab externo, attraverso l'intervento del giudice, l'assetto dei rapporti negoziali tra le parti: che cosa avrebbe dovuto fare, in un simile frangente, una sentenza favorevole al conduttore sul rescindente, per poi lasciare spazio alla mediazione ed infine, dopo il fallimento di questa, dire al medesimo conduttore che di riduzione del canone causa Covid non se ne parla proprio? E non sarebbe questa un'ipotesi di inutile duplicazione dell'attività giudiziaria, con spreco di energie che infinite non sono?

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