La sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 d.l. 138/2011, convertito in legge 148/2011
03 Agosto 2022
Massima
E' da ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 d.l. 138/2011 convertito in legge 148/2011, per violazione degli art. 2 e 39 comma primo nonché dell'art. 39 comma quarto della Costituzione, nella parte in cui estende l'efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati, anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo. Il caso
I lavoratori proponevano appello avanti alla Corte di Appello di Napoli avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, il quale aveva rigettato le loro richieste di pagamento a titolo di differenze retributive.
Tale rigetto faceva seguito alle disposizioni di un accordo di prossimità, firmato da un Sindacato ritenuto maggiormente rappresentativo relativo al triennio 2016-2019, disdettato dal sindacato firmatario in data 29 ottobre 2019, ma riproposto nel suo contenuto nel nuovo contratto di prossimità sottoscritto dal medesimo sindacato in data 7 febbraio 2020.
Il Tribunale di Napoli aveva ritenuto che, sulla base dell'art. 8 d.l. 138/2011, la disciplina contrattuale prevista dal predetto contratto avesse efficacia erga omnes.
A motivazione della propria decisione, il Tribunale aveva ribadito che il contratto di prossimità può derogare al ccnl ed è efficace verso tutti i lavoratori interessati, indipendentemente dal loro consenso e da quello delle organizzazioni sindacali cui appartengono, sulla base del detto articolo che recita "I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione…”.
Il Tribunale affermava, quindi, che essendo il Sindacato firmatario del contratto di prossimità (Cisal) un sindacato maggiormente rappresentativo, avendo lo stesso una propria rappresentanza sindacale in azienda ed atteso che il predetto accordo era volto ad aumentare l'occupazione ed a rendere sempre più competitiva l'azienda al fine di salvaguardare i livelli occupazionali, sussisteva la conformità del medesimo ai requisiti previsti dall'art. 8 d.l. 138/2011 ed era quindi stato correttamente esteso a tutti i lavoratori interessati.
I lavoratori, in sede di appello, contestavano la decisione del Tribunale, avendo loro aderito ad altro Sindacato non firmatario dell'accordo di prossimità citato, avendo gli stessi in data 30 dicembre 2018 tramite il loro Sindacato disdettato gli accordi di prossimità del triennio 2016-2019, non essendo loro firmatari, sia individualmente che tramite il loro Sindacato, del nuovo contratto di prossimità sottoscritto dalla medesima Cisal in data 7 febbraio 2020.
Gli appellanti sollevavano la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 d.l. 138/2011.
La Corte d'Appello di Napoli, ritenendo fondata la questione per violazione degli art. 2 e 39 comma 1 e art. 39 comma quarto della Costituzione, nella parte in cui l'art. 8 estende l'efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati, anche se appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo, disponeva l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospendeva il processo in corso. La questione
Si chiede alla Corte di valutare se l'efficacia erga omnes dell'accordo di prossimità di cui all'art. 8 d.l. 138/2011 lede la libertà di organizzazione sindacale tutelata dall'art. 39 comma 1 e dall'art 2 Cost. nonchè il modello costituzionale di cui all'art. 39 comma quarto Cost., che riconosce ai soli sindacati che si registrano e acquisiscono la personalità giuridica la facoltà di stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Le soluzioni giuridiche
La menzionata pronuncia ricorda che la libertà di organizzazione sindacale trova solida tutela non solo nell'art. 39 comma 1 Cost., ma anche nell'art. 2 Cost, ove viene garantito lo sviluppo della personalità di ogni cittadino all'interno delle formazioni sociali di cui fa parte anche il Sindacato.
Libertà che deve essere intesa sia come possibilità per il lavoratore di costituire organizzazioni sindacali collettive, sia come possibilità per lo stesso di aderire o no alle varie organizzazioni sindacali.
Ed allora, argomenta la Corte d'appello, l'estensione di un accordo aziendale, quale è il contratto di prossimità, a tutti i lavoratori interessati indipendentemente dalla loro adesione al Sindacato firmatario, non può che compromettere la libertà del singolo lavoratore di aderire ad un altro sindacato non firmatario, violando quindi quanto disposto dagli articoli della Costituzione sopra citati.
Lesione che coinvolge altresì la libertà di organizzazione del Sindacato non firmatario dell'accordo, il quale non potrà in alcun modo impedire che i propri iscritti siano soggetti alle condizioni previste dal predetto accordo.
Non solo. Una siffatta estensione, argomenta la Corte d'Appello, viola altresì l'art. 39 comma quarto Cost. che riconosce l'efficacia erga omnes dei contratti collettivi stipulati dai sindacati a condizione che essi si registrino e acquisiscano la personalità giuridica.
Vero è, argomenta la Corte, che la citata norma parrebbe vincolare solo la contrattazione collettiva nazionale – e non quindi quella aziendale - in quanto l'art. 39 quarto comma fa espressamente riferimento “alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.
Tuttavia, sostiene la Corte, tale limitazione non parrebbe convincente, atteso che la ratio della norma costituzionale vuole impedire, se non attraverso il rispetto della condizione della registrazione, che una libera organizzazione sindacale possa dettare le regole per tutte le altre con uno statuto non sottoposto ad alcun tipo di verifica.
A fondamento delle proprie argomentazioni la Corte richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 268 del 1994, dove, nell'escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 39 quarto comma Cost gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, la Corte ha sancito che sono vincolati alle disposizioni previste dal citato articolo i contratti collettivi normativi destinati a regolare i rapporti individuali di lavoro di una o più categorie professionali o di una o più imprese, estendendo quindi l'applicazione della predetta normativa anche ai contratti aziendali.
La Corte D'Appello non si esime tuttavia dal citare anche la pronuncia della Corte Costituzionale n. 106 del 1962, ove si è discusso della legittimità costituzionale della legge 741/1959, la quale autorizzava il governo a recepire in atti aventi forza di legge i contenuti dei contratti collettivi di diritto comune stipulati sino a quel momento, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti ad una stessa categoria.
La medesima legge tuttavia limitava l'efficacia delle norme delegate per un periodo transitorio, ovvero fino al momento in cui non fossero intervenuti contratti validi per tutti gli appartenenti alla categoria.
La Corte Costituzionale si pronunciava ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge sopra citata, atteso che la stessa, stante la non attuazione delle forme e del procedimento previsti dall'art. 39 quarto comma Cost, aveva la funzione di una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata ed a tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Tali presupposti, secondo la Corte Costituzionale, ponevano al riparo la legge impugnata dal contrasto con l'art. 39, comma 4 Cost.
Con tale pronuncia la Corte riconosceva quindi, in assenza di attuazione dell'art. 39, comma 4 Cost., la possibilità di intervento del legislatore in materia di efficacia erga omnes dei contratti collettivi ma delimitava temporalmente il perimetro di quell'intervento intervento, ovvero con una norma transitoria, provvisoria ed eccezionale, finalizzata a tutelare una situazione passata ed a tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Prova ne è che la Corte, nella medesima pronuncia, ha dichiarato incostituzionale la legge n. 1027/1960, che delegava il governo ad emanare norme uniformi alle clausole dei contratti collettivi stipulati nei dieci mesi successivi dall'entrata in vigore della legge n. 741/1959, motivando che la reiterazione della delega toglieva alla legge il suo carattere eccezionale e transitorio.
Argomenta quindi la Corte d'Appello che l'art. 8 d.l.138/2011 non è affatto provvisorio, né transitorio, né eccezionale ma regola e disciplina la contrattazione collettiva di prossimità attribuendole in modo permanente efficacia erga omnes, non è poi rivolto alla parità di trattamento, né a regolare una situazione passata.
Conclude la Corte affermando che, poiché non sussistono i presupposti che nel 1962 avevano consentito di considerare conforme all'art. 39 Cost. l'efficacia generalizzata dell'accordo collettivo, non ci sono margini per ritenere non fondata la questione sollevata di legittimità costituzionale dell'art. 8 citato, neppure alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 106 del 1962. Osservazioni
La giurisprudenza ha statuito che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma comporta la caducazione dei soli effetti non definitivi e, nei rapporti ancora in corso di svolgimento, anche degli effetti successivi alla pubblicazione della sentenza, restando quindi fermi quegli effetti anteriori che, pur essendo riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva e modificativa di situazioni giuridicamente rilevanti (Cass. 11 aprile 1975, n. 1384 e Cass. 28 luglio 1997, n. 7057 in Mass. Giur. It., 1997).
Pare quindi a chi scrive che le conseguenze di una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 8 d.l. 138/2011 possano essere quelle conseguenti alla caducazione di un qualsiasi contratto collettivo.
La giurisprudenza, in tali casi, ha chiarito che i diritti dei lavoratori derivanti dalla disciplina del contratto caducato sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa, o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente regolamentazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18548 in Mass. Giur. It., 2009).
Pare quindi ipotizzabile che, dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma citata, la disciplina prevista nei contratti di prossimità in essere perderà validità a seguito della pubblicazione della sentenza, fatti salvi i diritti già entrati nel patrimonio delle parti, perché si sono già verificate tutte le condizioni per la loro maturazione seppure non ancora riscossi e non anche le mere aspettative. |