Riflessioni sull'efficacia ultra partes della sentenza revocatoria in favore del cessionario del credito

04 Agosto 2022

Il cessionario di un credito beneficia ope legis, in conseguenza della cessione, degli effetti dell'azione revocatoria ordinaria vittoriosamente esperita dal cedente.
Massima

Il cessionario di un credito beneficia ope legis, in conseguenza della cessione, degli effetti dell'azione revocatoria ordinaria vittoriosamente esperita dal cedente.

Il caso

Nel 1990 BPI concedeva un mutuo a BZ, il quale, l'anno dopo vendeva un immobile a FI. La Banca, pertanto, promuoveva un'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. per far dichiarare inefficace nei propri confronti la suddetta compravendita. Il giudizio si concludeva nel 2014 con l'accoglimento della domanda derivante dal rigetto del ricorso promosso avanti la Corte di Cassazione.

Medio tempore BPI otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di BZ avverso il quale non veniva proposta opposizione e nel 2002 cedeva pro soluto, ai sensi dell'art. 58 d.lgs. 385/1993, il credito vantato nei confronti di BZ a M S.r.l. unitamente ai diritti scaturenti dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria.

Successivamente M S.r.l. – in virtù della sentenza di merito che accoglieva l'azione revocatoria ordinaria – conferiva mandato alla società NGC S.p.a. affinché, in forza del predetto decreto ingiuntivo, iniziasse l'esecuzione forzata sull'immobile alienato da BZ a FI.

FI proponeva opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. e dopo un iniziale accoglimento, poi cassato con rinvio e rigettato, per l'appunto in sede di rinvio, dal Tribunale di Benevento, la Corte d'Appello di Napoli nel 2018 rigettava il gravame proposto da FI ritenendo, inter alia, che il cessionario del credito beneficiasse degli effetti dell'azione revocatoria proposta dal cedente.

La questione

FI proponeva, quindi, ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e, per quel che più rileva, con il quinto, censurava la sentenza di secondo grado della Corte partenopea nella parte in cui ha ritenuto che il cessionario di un credito potesse giovarsi della sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. promossa dal cedente anteriormente alla cessione del credito.

Con sentenza del 5 aprile 2022 pubblicata il 23 giugno 2022 la Terza Sezione della Corte di Cassazione respingeva il ricorso statuendo nel senso della massima in epigrafe.

Le soluzioni giuridiche

Nell'illustrazione del quinto motivo, il ricorrente sostiene che il diritto oggetto del giudizio revocatorio è differente rispetto al diritto di credito (ceduto) a garanzia del quale viene proposta l'actio pauliana, con la conseguenza che la cessione del credito perfezionata successivamente all'avvio dell'azione revocatoria non trasferirebbe al cessionario anche il “diritto all'inefficacia dell'atto” e, pertanto, l'immobile acquistato non avrebbe potuto essere oggetto di esecuzione forzata da parte di BPI. La Corte di Cassazione, con specifico rifermento al motivo in questione, rigettale doglianze di parte ricorrente motivando la propria decisione – premesso che la cessione aveva coinvolto non soltanto il credito ma anche i diritti derivanti dall'accoglimento della domanda revocatoria – sulla base dell'art. 2902 c.c. e di una serie di ulteriori argomentazioni.

Più nel dettaglio, la S.C. articola un sillogismo che ha come premessa maggiore l'art. 2902 c.c. nella parte in cui stabilisce che il creditore vittorioso in sede di revocazione possa esercitare l'azione esecutiva nei confronti dell'avente causa del debitore, come premessa minore la cessione del credito e come deduzione il fatto che, se il credito tutelato con l'actio pauliana si trasferisce in virtù della cessione, allora anche il cessionario acquista ipso iure il diritto di agire coattivamente. Tale conclusione che viene definita “ovvia” troverebbe conferma in ulteriori considerazioni “di tipo sistematico”, ossia: (a) poiché l'art. 1263 c.c. prevede che per effetto della cessione si trasferiscono anche i privilegi al medesimo connessi e i privilegi condividono con l'azione revocatoria lo scopo di garanzia del credito (entrambi collocati nel Titolo III del Libro V del codice civile) allora, a maggior ragione, si dovrà ammettere che per effetto della cessione si trasferiscano anche gli effetti dell'azione revocatoria; (b) tra i crediti privilegiati si annoverano le “spese di giustizia per atti conservativi” ex art. 2755 c.c. che, come già detto, hanno lo stesso scopo ultimo della revocatoria ordinaria e circolano in uno con la cessione del credito, di talché se si negasse al cessionario di beneficiare degli effetti dell'actio pauliana si incorrerebbe nel paradosso per cui il credito ceduto conserverebbe il privilegio per le spese connesse al giudizio ex art. 2901 c.c., ma non si trarrebbero vantaggi derivanti dall'accoglimento della relativa domanda; (c) il pignoramento e l'azione revocatoria avrebbero entrambi la funzione di evitare la dispersione della garanzia patrimoniale; pertanto sarebbe contrario al canone ermeneutico dell'interpretazione sistematica, posto che il cessionario di un credito si giova del pignoramento eseguito dal cedente, sostenere che il cessionario possa fare propri gli effetti del pignoramento promosso da altri, ma non quelli dell'azione revocatoria; (d) acclarato che l'azione revocatoria ha lo scopo di conservare la garanzia patrimoniale del creditore e che il cessionario di un credito non è “men” creditore di quanto lo fosse il cedente, se ne ricava l'estensione ipso iure della pronuncia costituiva dell'inefficacia; (e) l'interpretazione prospettata dalla ricorrente avrebbe l'effetto di vanificare l'attività processuale svolta dal creditore cedente; (f) la cessione del credito non farebbe perdere la qualifica di “atto in frode del creditore”, da qui la liceità dell'efficacia della sentenza revocatoria anche in favore del cessionario.

Osservazioni

La recente sentenza emessa dalla S.C. – di indubbia utilità pratica dal punto di vista delle fattispecie concrete che vedono coinvolti i consociati – non convince pienamente, in quanto appare più fondata su criteri di c.d. giustizia sostanziale che sull' applicazione delle norme processuali di riferimento. L'impressione che ne scaturisce è di un decisum caratterizzato da argomentazioni prettamente sostanziali, ad una prima lettura anche persuasive, ma che trascurano alcuni fondamenti del codice di procedura civile giungendo, così, ad un risultato che da ultimo si rivela corretto, ma solo perché, in definitiva, il fatto storico accertato è idoneo ad integrare l'istituto della successione a titolo particolare nel diritto controverso (invero obliato) consentendo, più correttamente, l'applicazione della sentenza revocatoria anche a favore del terzo cessionario. Con l'intento di meglio comprendere le perplessità riscontrate nella disamina della parte motiva della sentenza in commento, si cercherà, dapprima, di tratteggiare alcune delle caratteristiche rilevanti dell'azione revocatoria ordinaria (in particolare l'oggetto della medesima) oltre alle ipotesi in cui una pronuncia possa avere efficacia diretta ultra partes e, poi, trarre qualche riflessione raccordando anche quanto testé delineato con le tesi articolate dalla Corte.

In estrema sintesi, l'azione revocatoria – collocata nel capo V del libro VI del codice civile insieme con l'azione surrogatoria e il sequestro conservativo – rappresenta, come noto, un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale del creditore che ha lo scopo di far dichiarare giudizialmente l'inefficacia, nei confronti del creditore stesso, degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni, per consentire al primo di esercitare sui beni oggetto dell'atto dispositivo l'azione esecutiva ai sensi dell'art. 602 ss. c.p.c. (da ultimo, Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2021, n. 25855). Tale finalità, eminentemente cautelare, si realizza, per l'appunto, attraverso la dichiarazione di inefficacia dell'atto di disposizione del debitore consentendo, poi, l'esperimento delle opportune azioni cautelari e esecutive sul bene distratto. Per quanto concerne l'inefficacia caratterizzante la revocatoria ordinaria, la dottrina l'ha definita relativa e parziale (Nicolò, Tutela dei diritti, in Comm. Scialoja, Branca, VI, artt. 2900-2906, sub art. 2901, 1953, 188) o doppiamente relativa (Bigliazzi Geri, Revocatoria (azione), in Enc Giur, XXVII, 1991, 2; D'ercole, L'azione revocatoria, in Tratt. Rescigno, 20, II, 1998, 166; Natoli, Azione revocatoria, in Enc. Dir., IV, 1959, 889), poiché, quanto ai soggetti, l'atto di disposizione è inopponibile nei soli confronti del creditore attore (tra le più recenti, cfr. Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2021, n. 12047 ; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2021, n. 2153 in Giustizia Civile Massimario 2021; Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 2019, n. 31654 in Giustizia Civile Massimario 2020). Da un punto di vista processuale occorre considerare che, come è stato autorevolmente osservato (Bianca, Diritto civile, V, 1994, 437), il potere revocatorio ha natura di diritto potestativo ad esercizio giudiziale configurando, nell'ambito del processo di cognizione, un'azione costitutiva (Cass. civ., sez. un., 23 novembre 2018, n. 30416 in Banca Borsa Titoli di Credito 2019, 3, II, 284; Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2007, n. 3379 in Giust. civ. 2008, 5, I, 1281; Trib. Torino, sez. I, 5 novembre 2020, n. 3867 in Redazione Giuffrè 2020; Trib. Torino, sez. I, 3 settembre 2020, n. 2877 in Redazione Giuffrè 2020).

Concordemente al proposito di cui si è detto, in ordine alla portata soggettiva diretta della sentenza nei confronti dei terzi (di quella riflessa si dirà meglio infra), nella consapevolezza che sul tema si è confrontata da decenni la più illustre dottrina processualistica, basti qui evidenziare qualche punto fermo (Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, I, 2012, 99), ossia che la pronuncia giudiziale ha efficacia diretta ex art. 2909 c.c.: (i) tra le parti in senso sostanziale; (ii) nei confronti degli eredi e aventi causa (terzi) post rem iudicatam; (iii) ultra partes nei confronti dei (terzi) successori a titolo particolare ex art. 111, IV comma, c.p.c.

Orbene, volendo calare le predette considerazioni nel caso deciso dalla S.C. a noi sembra che l'efficacia (o il beneficio per utilizzare le parole del Collegio) della sentenza revocatoria non possa essere estesa al cessionario del credito. Ciò in quanto sono certamente inapplicabili le fattispecie sub (i)-(ii) visto che il terzo M S.r.l. non è mai stato parte dell'azione revocatoria ed è divenuto avente causa di BPI nell'anno 2002, mentre il giudicato sul procedimento ex art. 2901 c.c. si è perfezionato solo successivamente, nell'anno 2014. Residuerebbe, in tesi, l'opzione sub (iii), la quale però, seppur astrattamente rilevante dal punto di vista temporale, non lo è da quello contenutistico-processuale (recte lo è, ma la S.C. percorre un'altra via per giungere a quel risultato ripudiando piuttosto esplicitamente l'applicazione del fenomeno successorio considerato dal punto di vista del codice di rito).

A riguardo si è già osservato come il rimedio di cui all'art. 2901 c.c. consista nell'avvalersi di un diritto potestativo ad esercizio giudiziale, il quale, nella misura in cui ne viene chiesta la tutela dinanzi all'autorità giudiziaria, diviene controverso, sicché con la cessione del credito nella pendenza della causa revocatoria il cedente non trasferisce detto diritto potestativo, ma una diversa situazione giuridica (per l'appunto, il credito); ergo non può dirsi configurata alcuna successione ex art. 111 c.p.c. nel diritto (potestativo) controverso con la conseguente impossibilità per il terzo cessionario di beneficiare degli effetti della sentenza revocatoria. Sul punto, la giurisprudenza degli ultimi anni, in casi analoghi a quello di specie, ha puntualizzato la distinzione (e la differenza) tra l'oggetto dell'azione revocatoria pendente e la cessione del credito in corso di causa negando il fenomeno successorio (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2019, n.32789 in DeJure.it; Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2019, n.31077 in DeJure.it; Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2017, n. 29637 in Giustizia Civile Massimario 2018; App. Torino, sez. I, 24 marzo 2022, n. 330 in Redazione Giuffrè 2022; Trib. L'Aquila, sez. I, 22 febbraio 2022 n. 78 in DeJure.it; Trib. Rieti, sez. I, 19 febbraio 2021, n.104 in DeJure.it; App. Genova, 8 ottobre 2021 in deaprofessionale.it; Trib. L'Aquila, sez. I, 10 febbraio 2021, n. 102 in Redazione Giuffrè 2021; App. Torino, sez. I, 24 novembre 2020, n. 1159 in Redazione Giuffrè 2021; App. Torino, sez. I, 1° ottobre 2020, n. 964 in Redazione Giuffrè 2020 contra App. Bari Sez. Lav., 18 novembre 2021, n. 2078 in Guida al diritto 2022, 10), ma tali precedenti non vengono considerati dal decisum in commento, che, anzi, formula, almeno in astratto, un principio di diritto antitetico rispetto i prevalenti arresti di merito e legittimità.

È esattamente questo il punto focale dell'intera vicenda.

Il Collegio – pur essendo consapevole della diversità tra l'oggetto della cessione del credito (avvenuta successivamente alla litispendenza) e l'actio pauliana tanto da evidenziare che al cessionario erano stati comunque trasferiti “anche i diritti scaturenti dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria” – trascura (giustificando l'estensione degli effetti della sentenza revocatoria al terzo in virtù di altre motivazioni) la disposizione espressa dall'art. 111, comma 4, c.p.c.

Nel caso concreto, vi è da dire che tale norma ha ricevuto comunque “involontaria” applicazione, soltanto perché, in ultima analisi, per come si sono svolti in concreto i fatti di causa, la fattispecie successoria poteva dirsi comunque integrata e ciò indipendentemente dal percorso logico seguito dal giudicante. Il che, volendo condurre alle estreme conseguenze il ragionamento elaborato dalla S.C, obbliga a porsi un interrogativo, a cui parrebbe si possa dare risposta affermativa, ossia che la Corte di cassazione avrebbe, in ogni caso, statuito per l'efficacia ultra partes della sentenza revocatoria anche qualora non vi fosse stata un'effettiva successione a titolo particolare (dunque, cessione del solo credito non accompagnato dai diritti connessi all'esito favorevole dell'azione revocatoria) con ciò prescindendo da uno degli istituti portanti dell'attuale sistema processuale.

Poco pertinente appare, in proposito, il precedente in tema di interesse ad agire richiamato dalla sentenza in esame (il riferimento corre a Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2018, n. 6130 in Giustizia Civile Massimario 2018), poiché nel caso – del tutto diverso – deciso dallo stesso, il cessionario del diritto di credito era divenuto tale anteriormente all'instaurazione dell'actio pauliana (e non a lite pendente) e, pertanto, ab origine aveva quell'interesse (rilevante ex art. 100 c.p.c.) attuale ad un risultato utile e la qualità (pregiudiziale rispetto alla pronunzia sulla domanda revocatoria) di creditore per esercitare ex art. 2901 c.c. quel diritto potestativo che, detto altrimenti, è sempre stato in capo al medesimo soggetto senza eventi successori.

Parimenti, suscita perplessità la mancata adesione della S.C. ai due precedenti giurisprudenziali invocati dalla ricorrente (Cass., Sez. III, 12 dicembre 2017, n. 29637, cit.; Cass., sez. I, 4 dicembre 2014, n. 25660 in Giustizia Civile Massimario 2014). In particolare, i principi espressi dall''ordinanza del 2017 subiscono una capitis deminutio perché ad avviso della pronuncia in esame la stessa tratterebbe soltanto dell'ammissibilità dell'intervento del cessionario nel giudizio (revocatorio) promosso dal cedente e non, invece, dell'estensibilità degli effetti dell'azione revocatoria. Orbene, sul punto sia consentito di osservare che l'intervento del cessionario-successore e l'efficacia della sentenza sono due angolazioni del medesimo fenomeno che presuppongono entrambi un'effettiva successione nel diritto controverso e, dunque, esclusa la seconda per diversità tra l'oggetto della cessione e l'actio pauliana ne deriva l'inconfigurabilità dei primi.

Le medesime considerazioni valgono per la sentenza del 2014; il potere di impugnazione del cessionario presuppone sempre i requisiti di cui all'art. 111 c.p.c. e se non vi è identità tra il credito ceduto – in quel caso lo stesso di cui era stata chiesta la revocatoria (fallimentare) – rispetto all'oggetto di quest'ultima a maggior ragione non potrà dirsi sussistente l'eguaglianza tra credito ceduto (i.e. credito a garanzia del quale è stata esperita la domanda giudiziale di cui all'art. 2901 c.c.) rispetto al diritto potestativo esercitato in sede di revocatoria ordinaria, per cui concentrare l'attenzione sui diversi effetti (possibilità per il terzo di impugnare versus efficacia ultra partes) scaturenti dall'unitario istituto al fine di escludere la rilevanza del provvedimento del 2014, non convince atteso che il denominatore comune ad entrambe le fattispecie risiede nell'operatività della norma codicistica di parte generale più volte menzionata.

Tuttavia, la conclusione a cui giunge la Cassazione può dirsi corretta non tanto per aver la Corte fatto buon governo dell'art. 111 c.p.c., ma perché, nei fatti storici occorsi, una successione a titolo particolare nel diritto controverso (i.e. diritto potestativo alla revocatoria) si è verificata per la semplice ragione, indicata nella stessa parte motiva della della sentenza, che “la cessione del credito dalla ….. ebbe ad oggetto anche i diritti scaturenti dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria”. In altre parole, avendo il cessionario acquistato “il diritto alla revocatoria” in pendenza del giudizio promosso dal cedente il primo si trova a beneficiare degli effetti della sentenza in quanto successore in quel diritto (potestativo) controverso ricadendo nell'alveo del IV comma dell'art. 111 c.p.c.

D'altro canto, anche gli argomenti sostanziali “di tipo sistematico” invocati dalla pronuncia in commento destano qualche perplessità.

La decisione in questione si basa, in primis, sull'interpretazione o, meglio, sull'individuazione della portata dell'art. 2902 c.c..

In particolare, secondo la S.C., siccome il creditore, per effetto dell'accoglimento della domanda di revocazione, può promuovere ex art. 2902 c.c. l'azione esecutiva, allora anche il cessionario del credito tutelato con l'actio pauliana acquisterebbe ipso iure il diritto di agire in via esecutiva. Tale conclusione, che viene definita “ovvia”, a parer di scrive presta il fianco a qualche critica assumendo perlopiù la fisionomia del suggestivo paralogismo post hoc ergo propter hoc nella parte in cui legittimerebbe il cessionario del credito ad avvalersi della sentenza che pronuncia l'inefficacia dell'atto dispositivo ed avviare l'espropriazione forzata per la semplice ragione di aver acquistato dal cedente-attore – in corso di causa e, perciò, in un momento successivo al sorgere del credito – il diritto tutelato con l'azione revocatoria. Siffatto percorso non persuade del tutto, poiché volendo aderire a quanto è stato fatto notare da alcuni studiosi circa le specialità che connotano la revocatoria in termini di inefficacia originaria relativa che giova soltanto al creditore che l'abbia promossa e di ancillarità della stessa al credito che il revocante-cedente ha individuato nella sua domanda giudiziale - pena il paradosso di estendere l'inefficacia relativa a “qualsivoglia nuovo e/o diverso credito, munito di un diverso titolo” (De Cristofaro, La prospettiva processuale della pauliana note sull'introduzione del nuovo art. 2929-bis c.c., in NLCC, 2016, 431 ss; Pagliantini, Azione revocatoria ordinaria e limite alla c.d. reintegrazione patrimoniale ex art. 2740 c.c., in Giur.it, 2017, 1332) - ne discende un problema di carattere oggettivo e soggettivo nel senso che la sentenza costituiva l'inefficacia attiene a quel credito (per intendersi quello del cedente) che è evidentemente diverso rispetto a quello ceduto (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 2014, 152). In sostanza, ciò che legittima l'azione esecutiva nei confronti dell'avente causa del debitore è non solo la qualità di creditore, bensì il fatto di potersi avvalere della dichiarazione di inefficacia. Sarebbe, dunque, più corretto prima dimostrare se e come il cessionario possa beneficiare della sentenza revocatoria e, poi, dedurne l'ammissibilità delle iniziative espropriative verso gli aventi causa dell'atto revocato, poiché in caso contrario si rischierebbe di invertire ciò che è dimostrato (i.e. qualità di creditore-cessionario) con ciò che è da dimostrare (i.e. la possibilità di invocare l'esito della revocatoria).

A guisa di rincalzo rispetto alla portata dell'art. 2902 c.c. la S.C. enuclea una serie di ulteriori considerazioni riportate supra par. 3 lett. (a)-(f) che – nelle intenzioni del Collegio – avrebbero dovuto confermare l'assioma principale della propria decisione, ma che non persuadono fino in fondo. Segnatamente: (i) quanto al punto sub (a) sostenere che gli effetti dell'azione revocatoria si trasferiscano automaticamente al cessionario sulla falsariga dei privilegi ex art. 1263 c.c. e ciò per via dello scopo di garanzia del credito che accomuna la prima con i secondi desta non poche perplessità tenuto conto che secondo autorevole dottrina non si trasferiscono al cessionario le azioni previste dalla legge per la conservazione e la realizzazione del credito, non solo perché già gli competono quale titolare di un diritto di credito (Bianca, cit., 592; Finazzi, La cessione del credito, in Alessi, Mannino (a cura di), La circolazione del credito, I, in Trattato delle obbligazioni diretto da Garofalo, Talamanca, Padova, 2008, 800), ma anche perché tali azioni sono prive del carattere dell'accessorietà di cui all'art. 1263 c.c. (Perlingieri, Della cessione dei crediti, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1260-1267, 1982, 150). Invero, una ricostruzione simile a quella offerta dalla sentenza in commento viene prospettata – oltre che dall'art. 1692 Code civil come letto dagli interpreti francesi, che parlano di transmission de l'action – dal Tribunale di Milano (cfr. Trib. Milano, sez. II, 22 gennaio 2021, n. 464 in DeJure.it), ma con la precisazione che in quel caso concreto – del resto come in quello oggetto di considerazione da parte della decisione annotata – al cessionario, oltre al credito a garanzia del quale era stata avviata dal cedente l'actio pauliana, era stata espressamente trasferita “ogni azione senza esclusioni” il che sembra più confortare l'impostazione per la quale intanto il cessionario ha potuto (nella fattispecie decisa dai giudici meneghini) intervenire nel giudizio ex art. 111 c.p.c. in quanto effettivo successore a titolo particolare nel diritto potestativo revocatorio; (ii) in merito al punto sub (b) la reductio ad absurdum ivi declinata non consente di dimostrare il risultato voluto, non fosse altro per il fatto che in caso di cessione del credito (e soprattutto come nel caso de quo in cui il cessionario è rimasto estraneo al giudizio revocatorio) le spese di giustizia (i.e. le spese fatte dal creditore per l'esercizio di un proprio diritto in una procedura giudiziale:Ciccarello, Privilegio (dir. priv.), in Enc. Dir., XXXV, 1986, 732; Miglietta, Prandi, I privilegi, in Giur. sist. Bigiavi, 1995, 192) che godono del privilegio ex art. 2755 c.c. rimangono nella titolarità della parte processuale-cedente che le ha sostenute (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4483 in Giust. civ. Mass. 2009, 2, 300; Cass., Sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3998 in Giust. civ. Mass. 2006, 2); (iii) relativamente al punto sub (c) accomunare la funzione del pignoramento a quella della revocatoria, individuata nell'evitare la dispersione della garanzia patrimoniale, per inferire – prendendo le mosse dalla circostanza per la quale il cessionario di un credito si giova del pignoramento eseguito dal cedente – l'estensione ipso iure della sentenza ex art. 2901 c.c. all'avente causa dell'originario creditore mostra una duplice criticità, la prima legata allo scopo del pignoramento quale atto iniziale dell'espropriazione forzata, la quale ha un obbiettivo differente – cioè l'attuazione materiale ed in forma coattiva dell'accertamento(giurisdizionale o non), sì da consentire di realizzarne in modo pieno la volontà mediante il conseguimento del bene riconosciuto (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, 2017, 18) – rispetto l'actio pauliana e la seconda connessa al fatto – parrebbe trascurato dalla S.C. – per cui il cessionario beneficia del pignoramento altrui se e nella misura in cui ha acquistato, sempre ai sensi dell'art. 111 c.p.c., il credito in pendenza della procedura esecutiva. (Soldi, cit., 65. In giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. III, 20 aprile 2016, n. 7780 in GiustiziaCivile.com 2016, 11 ottobre; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2013, n. 8936 in Giustizia Civile Massimario 2013); (iv) con riferimento ai punti sub (d)-(f) trattasi di asserzioni di evidente buon senso, non manchevoli di bagliori suggestivi, che considerate prima facie possono dirsi condivisibili, ma che ad ogni buon conto non consentono di sminuire o derogare alla disciplina delineata dall'art. 111 c.p.c.

Chiarito l'impianto motivazionale che ha caratterizzato il decisum di cui trattasi, non senza lasciare qualche perplessità sull'iter logico-giuridico impostato dalla S.C., ci si propone di abbozzare una ricostruzione alternativa al percorso seguito dalla Corte che, se certamente meno di impatto rispetto all'attribuzione al creditore cessionario in quanto tale della prerogativa di avvalersi dei benefici della sentenza revocatoria perché in fondo si è sempre in presenza di un creditore titolare di un diritto e dall'altro lato di un soggetto che ha posto in essere un atto in frode, appare più rispettosa delle coordinate tracciate dai due codici.

E così, in estrema sintesi: (a) si sarebbe potuto dare seguito a quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la successione a titolo particolare nel diritto controverso si ha non soltanto quando sia trasferito l'identico diritto che forma oggetto della controversia, ma ogni volta che il trasferimento importi, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio (Cass., Sez. III, 26 novembre2019, n.30738 in DeJure.it - quest'ultima, peraltro, in tema di revocatoria ordinaria; Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2014, n.12953 in DeJure.it; Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2003, n.8316 in Giust. civ. Mass. 2003, 5). Impostando così il problema, si sarebbe attribuita rilevanza alla (ineludibile) fattispecie successoria valorizzando maggiormente la cessione del credito in uno con i diritti connessi all'esito vittorioso dell'azione revocatoria; (b) la soluzione della controversia con il risultato pratico a cui è giunta la S.C. avrebbe potuto essere argomentata – qualora non fosse stato applicabile neppure involontariamente per via dell'assenza di un fatto storico che in concreto potesse integrare il meccanismo successorio nel diritto controverso – richiamando la teoria dell'efficacia riflessa ultra partes della sentenza. Sulla premessa, di matrice chiovendiana (Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, 1928, 924 ss.) per la quale la sentenza vale ed esiste per tutti, ma non può pregiudicare soggetti che furono estranei alla lite, nel senso che nei confronti degli stessi possono ammettersi solo gli effetti favorevoli, l'art. 1306 c.c. è considerato espressione di un principio di carattere generale, per il quale gli effetti della pronuncia (o del giudicato) operano secundum eventum litis (così Menchini, I limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile nel pensiero di Andrea Proto Pisani, in Riv. dir. proc. 2017, 1136. In precedenza, Luiso, Principio del contraddittorio, in Riv. dir. civ, 1984, I, 101 ss.; Attardi, Diritto processuale civile, I, 1999, 515 ss.; Menchini, Il processo litisconsortile. Struttura e poteri delle parti,1993, 591 ss.). Dunque, atteso il principio del contraddittorio e del diritto di difesa aventi rango costituzionale, l'efficacia della sentenza (o del giudicato) non può operare contro il terzo, ma, ferma restando questa fondamentale regola che governa l'istituto, gli effetti della pronuncia avente contenuto favorevole possono essere opposti dal terzo al soggetto che è stato parte del processo in esito al quale essa è stata emessa; ciò trova esplicito riconoscimento nell'art. 1306 c.c. che è espressione di un principio di portata generale per cui, in definitiva, gli effetti del giudicato sia diretti (l'accertamento sul diritto soggettivo) che riflessi (l'accertamento del rapporto pregiudiziale che incide sul terzo titolare della situazione dipendente volendo, nel caso di specie, considerare – quantomeno dal punto di vista logico – pregiudiziale all'azione esecutiva la qualità di creditore e la declaratoria di inefficacia) non possono pregiudicare chi non è stato parte del precedente processo, ma possono essere fatti valere da questo contro chi vi partecipò (sull'efficacia rilessa, di recente, cfr. Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2021, n. 17387 in Guida al diritto 2021, 30.; Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2020, n. 8101 in Giustizia Civile Massimario 2020) assumendo – secondo autorevole dottrina – valore decisivo la volontà del terzo per cui il giudicato seppur favorevole non opera ipso iure essendo necessario, invece, che egli manifesti l'intenzione di fare proprio l'altrui accertamento (Menchini, I limiti soggettivi, cit. 1137; Attardi, cit., 519-520.).

Riferimenti
  • Boval, Tiers et parties in première instance et en appel, in Cadiet, Loriferne (sous la direction de), L'autorité de la chose jugée, 2012,151 ss., spec. pag. 155-156;
  • Cadiet, Droit judiciaire privé, 2000, 387-388;
  • Cavallini, L'efficacia (riflessa) della sentenza nel pensiero di E.T. Liebman, in Riv. dir. proc. civ., 2007;
  • Cornu, Foyer, Procédure civile, 1996, 364-365;
  • Fabbrini, Contributo alla dottrina dell'intervento adesivo, 1964;
  • Liebman, Efficacia ed autorità della sentenza, 1962, 58 ss;
  • Spaccapelo, Brevi note sul fenomeno successorio nel giudizio in Cassazione, in Riv. dir. proc., 2013, 200 ss;
  • Proto Pisani, I limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile. Una parabola di studi, 2015, 287;
  • Russo, Note in tema di sospensione necessaria e di pregiudizialità tra il giudizio promosso con azione revocatoria ordinaria e il separato giudizio di accertamento del credito da tutelare, in NGCC, 2009, 1037 ss;
  • Cass. civ., sez. II, 21 novembre 2019, n. 30476, in Foro it. 2020, 7-8, I, 2451;
  • Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2019, n. 8766, in Giustizia Civile Massimario 2019;
  • Cass. civ., sez. VI, 28 agosto 2018, n. 21240, in Giustizia Civile Massimario 2018;
  • Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 2015, n. 24558, in Giustizia Civile Massimario 2015;
  • App. Milano, sez. II, 17 gennaio 2019, n. 221, in Redazione Giuffrè 2019.