Connessione per concorso formale o in continuazione: ammissibile la messa alla prova per chi ne ha già usufruito
05 Agosto 2022
Massima
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 168-bis comma 4 c.p. ove non consente all'imputato che abbia già beneficiato della sospensione del procedimento con messa alla prova di esservi ammesso per gli ulteriori fatti connessi ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p., ossia in concorso formale o in continuazione con quelli già giudicati. Il caso
Tizio e Caio, imputati per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per complessivi undici episodi di cessione di modica quantità di cocaina, richiedevano in udienza preliminare di essere ammessi alla sospensione del procedimento con messa alla prova. Gli stessi ne avevano, però, già usufruito nel giudizio direttissimo instauratosi a seguito dell'arresto in flagranza per un episodio di spaccio di lieve entità coevo a quelli in contestazione. La prima messa alla prova si era conclusa con esito positivo e il Giudice aveva dichiarato l'estinzione del reato.
Nell'avanzare la seconda richiesta, il difensore degli imputati rappresentava che gli ulteriori episodi si erano verificati prima di quello già giudicato, ma erano emersi solo all'esito delle indagini preliminari. La difesa perorava l'ammissibilità della richiesta sulla fondata possibilità di riconoscere la medesimezza del disegno criminoso. La questione
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, investito della richiesta di messa alla prova, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale con l'ordinanza n. 151 del 16 giugno 2021 ravvisando la violazione dell'art. 3 Cost.
Opera, innanzitutto, il giudice remittente una breve ricognizione normativa dell'istituto ricordando che la l. n. 67/2014 ha inteso estendere agli adulti la probation, già prevista dal rito minorile, che interviene in fase di cognizione, prima della sentenza di condanna. A differenza di quella prevista per i minorenni, la sospensione con messa alla prova per gli adulti prevede dei limiti soggettivi (e oggettivi), tra cui, oltre al divieto per i delinquenti e contravventori abituali, per i delinquenti professionali e per tendenza, l'esclusione della concedibilità per più di una volta (art. 168-bis, comma 4, c.p.). Ricorda, ancora, il giudice a quo, che l'evoluzione giurisprudenziale in ambito minorile ha ammesso la possibilità, in caso di continuazione tra reati giudicati e giudicandi, che il giudice disponga la messa alla prova nel caso in cui verifichi la sussistenza sia del vincolo di continuazione tra reati sia degli elementi idonei a fondare una prognosi in ordine all'evoluzione della personalità del minore (Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2012, n. 46366, Rv. 255068-01; Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2014, n. 40312, Rv. 26042-01).
Nell'ambito della giurisdizione per gli adulti, il giudice remittente sottolinea, da una parte, che è possibile sospendere con messa alla prova anche un procedimento cumulativo con plurime imputazioni (simultaneus processus), se si riconosce che i reati contestati siano avvinti dalla continuazione e il programma di trattamento sia idoneo e commisurato a tale situazione. Dall'altro lato, invece, rileva che, laddove per scelta processuale del P.M. o per la diversa tempistica di iscrizione di più notitiae criminis nei confronti dello stesso indagato, si giunga a processo per un unico fatto-reato e, per quello, l'imputato usufruisca della messa alla prova, la successiva richiesta per i restanti fatti, anche se connessi ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p., incontrerebbe il limite previsto dall'art. 168-bis, comma 4, c.p.p., già ricordato, del divieto di concessione per più di una volta.
È in questa ipotesi, quindi, che il giudicante coglie l'irrazionalità del sistema: «l'imputato che affronta il simultaneus processus ne potrà beneficiare (previa valutazione positiva di tutte le condizioni di accesso all'istituto), laddove l'imputato che affronta giudizi distinti (ancorché connessi) potrà beneficiarne solo la prima (ed unica) volta».
L'ordinanza di remissione approfondisce la questione anche sotto il profilo del rapporto con il reato continuato richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. un., 27 novembre 2008, n. 3286, Rv. 241755-01) per i quali, definitivamente superata la concezione di unitarietà “ontologica” del reato continuato, va riconosciuta l'unità solo fittizia e quoad poenam, per cui i reati in continuazione vanno considerati unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge e, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, solo ed esclusivamente a condizione che l'unitarietà garantisca un risultato favorevole al reo.
Ricorda, quindi, il giudice a quo che il reato continuato è stato considerato, per questa via, come unità fittizia ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale della pena. Richiama, allora, il parallelismo tracciato dalla stessa Corte costituzionale (C. cost. n. 91/2018) tra messa alla prova e, appunto, sospensione condizionale della pena, entrambe istituti diretti ad assicurare all'imputato un trattamento più vantaggioso di quello ordinario. Se ne deve concludere che anche l'esito positivo della messa alla prova può annoverarsi tra gli effetti positivi conseguibili considerando unitariamente i reati in continuazione.
Il GIP di Bologna precisa, a questo punto, che, nonostante queste riflessioni sistematiche, non è possibile addivenire a una lettura costituzionalmente orientata della norma per due ragioni: la prima è la littera legis, che recita “una sola volta”; la seconda ragione sta nell'effetto sostanziale non più revocabile prodotto dalla pronuncia di estinzione del reato che conclude il percorso positivo di messa alla prova e, secondo il remittente, impedisce di riprendere o rivalutare quel percorso e le condizioni di accesso al beneficio.
Argomentando sulla violazione del principio di ragionevolezza, il remittente ha lo scrupolo di distinguere la situazione de qua da quella già decisa dalla Corte costituzionale nell'ipotesi del minore che abbia commesso fatti di reato in continuazione con altri commessi dopo il raggiungimento della maggiore età (C. cost. n. 52/1995): in questo caso la Consulta aveva escluso la violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza o del diritto di difesa perché la condizione psicologica del soggetto agente doveva considerarsi diversa ratione aetatis con conseguente differenziazione anche delle norme sostanziali e processuali applicabili.
Tale precedente non è considerato ostativo nella trattazione dell'ipotesi odierna: «nel caso in esame ritiene il Giudice remittente che ci si trovi in presenza di una situazione di contrarietà interna del sistema delineato dall'istituto della messa alla prova sotto il profilo della irriducibilità della regola contenuta nel quarto comma dell'art. 168-bis c.p. al rispetto dei principi ispiratori della norma». Ad essere irragionevole è l'impossibilità di accedere alla messa alla prova qualora i procedimenti a carico dell'imputato siano diversi, definiti e da definire, ma i reati in considerazione siano tra loro connessi ai sensi dell'art. 12 comma 1 lett. b) c.p.p. Le soluzioni giuridiche
La prima questione giuridica che si pone nel caso di specie è l'applicabilità della messa alla prova all'ipotesi prevista dall'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
La questione è stata risolta positivamente dalla Corte di legittimità già nel 2014: a seguito della modifica apportata dal d.l. 20 marzo 2014 n. 36, conv. con mod. dalla l. 16 maggio 2014, n. 79, l'ipotesi dello spaccio di lieve entità è oggi punito con la pena detentiva massima di quattro anni, rientrando così nella soglia di applicabilità della sospensione con messa alla prova (Cass. pen., sez. III, 29 maggio 2014, n. 28548, Rv. 260240-01).
L'applicabilità della messa alla prova non è esclusa nel caso in cui, insieme all'ipotesi lieve, sia contestata una circostanza aggravante ad effetto speciale, come ad esempio la consegna o la destinazione della sostanza a persona di età minore, di cui all'art. 80, lett. a), d.P.R. n. 309/1990 (Cass. pen., sez. IV, 10 luglio 2015, n. 32787, Rv. 264325-01). Ciò in ossequio al più generale principio di diritto, già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, per cui, per l'individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina della sospensione con messa alla prova, si deve guardare alla pena massima prevista per la fattispecie-base, senza alcun rilievo per le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato (Cass. pen., Sez. Unite, 31 marzo 2016, n. 36272, Sorcinelli, Rv. 267238).
Sembra utile precisare che, secondo la Cassazione, qualora sia contestato il più grave reato di cui all'art. 73, comma 1-bis T.U. Stup. e la difesa richieda la sospensione del procedimento con messa alla prova, «il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall'accusa e può - ove la ritenga non corretta - modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell'istituto in questione", ma, nel caso di rigetto della richiesta, la difesa potrà dolersene "solo ove l'istanza a suo tempo proposta avesse esplicitamente rappresentato che il fatto doveva essere qualificato diversamente da come rappresentato dall'accusa» (Cass. pen., sez. IV, 20 ottobre 2015, n. 4527, Rv. 265735-01).
Quanto al rapporto tra la messa alla prova e i procedimenti oggettivamente cumulativi, si è posta la questione della possibilità di concedere la “messa alla prova parziale” nel caso in cui tale strumento sia concedibile per alcuni soltanto dei plurimi reati contestati all'imputato.
La Corte di legittimità ha dato risposta negativa ravvisando un contrasto tra l'ammissione parziale e la natura e i contenuti del beneficio: «non appare pensabile che taluno possa essere 'risocializzato' solo per alcuno dei fatti in contestazione e nel contempo continui a rispondere di ben più gravi connessi fatti-reato per i quali l'accesso all'istituto de qua non è consentito … ben più gravi e connessi fatti-reato che ex se contrastano con quella prognosi positiva di risocializzazione che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto» (Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112, Rv. 263125-01).
Quando, invece, all'imputato siano contestati nello stesso procedimento più reati ciascuno dei quali compatibile con la sospensione con messa alla prova, il beneficio è concedibile, anche nel caso di continuazione tra i reati.
Così ha deciso la giurisprudenza di merito considerando che l'opposta soluzione significherebbe attribuire alla locuzione “per più di una volta” dell'art. 168-bis comma 4 c.p. il senso di “per più reati”, con un'evidente forzatura in malam partem del tenore letterale della norma. Svilirebbe, inoltre, la portata applicativa e le finalità deflattive dell'istituto (Trib. Milano, sez. III, 28 aprile 2015). La stessa giurisprudenza ha precisato che la messa alla prova resta ammissibile anche quando i reati siano legati dal vincolo della continuazione «in quanto l'istituto della continuazione non può essere applicato in malam partem e la ratio dello stesso impone di considerare il reato continuato come unico reato o come pluralità di reati a seconda che l'una o l'altra qualificazione risulti in concreto più favorevole per l'imputato», anche se, per altro verso, il Giudice è tenuto a considerare tale pluralità di contestazioni ai fini della formulazione della prognosi di astensione dal commettere in futuro ulteriori reati.
Ancora diverso il caso, come quello deciso dalla sentenza d'incostituzoinalità in esame, in cui la connessione tra reati riguardi fatti già giudicati e definiti con messa alla prova e fatti-reato ancora da giudicare in autonomo e successivo procedimento.
Come ricordato dal giudice remittente, la questione è stata già affrontata con riferimento alla giurisdizione minorile, ove, però, non è previsto alcun divieto espresso di nuova concessione del beneficio, men che meno per reati avvinti dalla continuazione. In quel caso, il dubbio era, piuttosto, se l'esito positivo della prova che aveva comportato l'estinzione di alcuni fatti di reato già giudicati, potesse estendersi anche a quelli, posti in continuazione rispetto ai primi, ma ancora da giudicare in separato e successivo procedimento penale. La Corte di cassazione ha, allora, precisato che, benché non ci sia alcuna preclusione alla possibilità di richiedere la messa alla prova anche per i fatti-reato giudicandi, l'unitarietà del reato continuato non può comportare un'automatica estensione degli effetti estintivi della messa alla prova già conclusa. Secondo la Corte, «l'accertamento di altri reati in un diverso procedimento - e, quindi, nelle ipotesi di continuazione esterna - benché commessi in continuazione con quelli in precedenza giudicati ed in relazione ai quali è stata già concessa la messa alla prova, non può non implicare un nuovo ed attuale giudizio prognostico sulla personalità del minorenne, come espressamente richiesto dall'art. 28d.P.R. n. 448/1988, giudizio che - in caso di valutazione positiva - può condurre o all'elaborazione di un progetto di intervento ex novo, che tenga conto delle specificità del reato contestato, oppure, in un'ottica di valorizzazione dell'unitarietà del reato, all'integrazione del progetto già portato a termine con successo: la scelta è discrezionalmente affidata al giudice, purché sul punto renda motivazione congrua e logica» (Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2012, n. 46366, cit.; cfr. Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2014, n. 40312, cit.).
In mancanza di una preclusione espressa alla fruizione della messa alla prova, questa giurisprudenza non è risolutiva rispetto alla questione che ci occupa, ma fornisce comunque un utile riferimento laddove non esclude che, pur a fronte di una pronuncia di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, il Giudice possa compiere una nuova valutazione sulla prognosi positiva della prova e sulla idoneità del programma di trattamento rispetto agli ulteriori fatti in continuazione.
Ancor più fruttuoso risulta il raffronto tra quanto accade nel rapporto tra sospensione condizionale della pena e reati in continuazione in parte giudicati e in parte da giudicare.
Anche la sentenza qui in esame richiama il precedente costituzionale che dichiarò l'illegittimità degli artt. 164, comma 2, n. 1, e 168 c.p., nel testo all'epoca vigente, nella parte in cui disponevano che il giudice non potesse mantenere la sospensione condizionale della pena già concessa in caso di ulteriore reato legato a quello già giudicato dal vincolo della continuazione (C. cost. 3 giugno 1970, n. 86). La Consulta rilevò che il caso riguardante fatti di reato legati dalla continuazione con altri puniti con sentenza precedente non può essere trattato diversamente da quello in cui la continuazione è accertata con unica sentenza, perché altrimenti si farebbe dipendere l'esistenza del nesso di continuità tra due reati dalla circostanza occasionale costituita, appunto, dall'accertamento della continuazione in un sol tempo anziché in tempi successivi.
È principio risalente e consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui la sospensione condizionale della pena può essere concessa - entro i limiti di legge - non solo a chi è stato condannato con una unica sentenza per più reati uniti dal vincolo della continuazione, ma anche a chi sia dichiarato colpevole con separate sentenze per un unico reato continuato, atteso che, in tal caso, la pluralità di condanne è assimilabile ad una condanna unica (v., da ultimo, Cass. pen., sez. I, 2 ottobre 2020, n. 32701, in D&G, 2020, 24 novembre).
Dal parallelo con la sospensione condizionale della pena, si ricava, quindi, da un lato, che, riconosciuto il vincolo della continuazione tra più fatti-reato, è irragionevole fare dipendere il loro trattamento dalla condizione contingente che siano oggetto di un unico procedimento ovvero di procedimenti distinti; dall'altro, che, per l'applicazione dell'effetto favorevole dell'estensione della sospensione condizionale della pena, i plurimi fatti costituenti il reato continuato devono essere trattati unitariamente.
Il decisum
La sentenza in analisi considera, innanzitutto, rilevante la questione di costituzionalità sollevata.
L'Avvocatura dello Stato aveva obiettato, sul punto, che il giudice remittente avesse mancato di motivare sulla sussistenza dei presupposti circa il riconoscimento del vincolo della continuazione e la concedibilità della messa alla prova.
La Consulta, invece, ha considerato tali valutazioni come logicamente successive all'eliminazione della preclusione stabilita dalla disposizione censurata e, dunque, sufficiente la motivazione dell'ordinanza di remissione che ha descritto la situazione processuale all'esame dando atto dell'intervenuta fruizione della sospensione con messa alla prova e della possibilità di ravvisare il medesimo disegno criminoso per i reati oggetto del nuovo procedimento.
La difesa erariale aveva anche eccepito la possibilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata sulla scorta dell'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, ricordata al paragrafo precedente, che considera il reato continuato unitariamente ai fini dell'applicazione della sospensione condizionale della pena, secondo principi che ben potrebbero essere applicati anche alla messa alla prova.
La Corte costituzionale ha respinto anche questa eccezione, ritenendo che il giudice remittente abbia assolto al suo obbligo motivazionale in ordine alla praticabilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata quando ha ritenuto insuperabile il dato testuale dell'art. 168-bis comma 4 c.p.
Venendo al merito, la fondatezza della questione è motivata ripercorrendo, innanzitutto, i precedenti costituzionali che hanno già in passato eliminato preclusioni analoghe a quella qui in discussione.
Il primo richiamo è alla già ricordata decisione del 1970 sulla sospensione condizionale della pena (C. cost. 3 giugno 1970, n. 86), che ha censurato l'irragionevolezza di far dipendere l'estensione del beneficio dalla circostanza estemporanea che i fatti costituenti il reato continuato siano trattati in un unico procedimento o in più procedimenti separati.
Sono ricordate, poi, le due decisioni in materia di perdono giudiziale che, applicando le stesse rationes, hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 169 c.p. nella parte in cui, stabilendo che il beneficio non potesse essere concesso più di una volta, impediva di estenderlo agli altri reati avvinti dalla continuazione rispetto a quelli già decisi con la concessione del perdono (C. cost., 26 giugno 1973, n. 108) e non fondata la questione di costituzionalità riguardante la concessione del perdono giudiziale per reati commessi successivamente alla prima concessione, perché ipotesi sostanzialmente diversa rispetto a quelle trattate dalle sentenze C. cost. n. 108/1973 e C. cost. n. 86/1970 (C. cost., 14 ottobre 1986, n. 295).
L'ultimo richiamo è alla sentenza di illegittimità costituzionale dell'art. 80 l. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui la norma escludeva che venisse applicata la sanzione sostitutiva di cui all'art. 77 della stessa legge quando l'imputato dovesse rispondere di reati in continuazione con quelli per i quali aveva già beneficiato della sostituzione (C. cost., 3 luglio 1987, n. 267). È interessante rammentare che proprio in questo precedente viene molto valorizzata la «consolidata prospettazione del reato continuato in termini di istituto ispirato di per sé al favor rei», citando di rimando la precedente sentenza C. cost. 115/1987.
Così ricomposto il quadro dei principi, la motivazione evidenzia che la Cassazione ha già rilevato come sia possibile fruire della messa alla prova quando nello stesso procedimento siano contestati più reati, purché per ciascuno di essi sia ammissibile il beneficio (Cass. pen., sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112, Rv. 263125). Possibilità che la Consulta considera estendibile anche all'ipotesi in cui i plurimi reati siano tra loro avvinti dal vincolo della continuazione, stante l'esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Per cui, se tutti i reati oggetto del procedimento de quo fossero stati trattati in un unico procedimento, certamente gli imputati avrebbero potuto beneficiare, per tutti i fatti-reato riconducibili al medesimo reato continuato, della sospensione con messa alla prova.
Il passaggio motivazionale successivo giunge, quindi, a censurare la disparità così emersa: «risulta, allora, irragionevole che quando, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati avvinti dalla continuazione vengano invece contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo. Ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi ... dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l'imputato stesso non può in alcun modo influire».
In aggiunta, la Corte rileva che la preclusione censurata contrasta inoltre con l'intento legislativo di punire unitariamente tutti i fatti costituenti il reato continuato che si palesa anche nella possibilità di superare il vincolo del giudicato ai sensi dell'art. 671 c.p.p., ove è previsto che il giudice dell'esecuzione possa, tenendo conto della continuazione, rideterminare la pena complessiva per più reati giudicati separatamente.
Le stesse argomentazioni vengono estese dal Giudice delle Leggi anche all'ipotesi del concorso formale disciplinato dall'art. 81 comma 1 c.p., ossia al caso in cui più reati siano commessi dallo stesso soggetto con una sola azione od omissione. Deve ravvisarsi, anche in questa ipotesi, una commisurazione unitaria del trattamento sanzionatorio, secondo, peraltro, le stesse regole che valgono per il reato continuato. Pure in questo caso, quindi, sarebbe irragionevole precludere all'imputato di richiedere la messa alla prova nell'ambito di un successivo procedimento che abbia pur sempre ad oggetto la medesima condotta per la quale abbia già fruito positivamente del beneficio, soltanto perché il P.M. ha proceduto separatamente per tali reati in concorso formale. Osservazioni
Sembra opportuno segnalare che, diversamente da quanto ritenuto dal GIP di Bologna, nella giurisprudenza di merito è stata percorsa la strada dell'interpretazione costituzionalmente orientata.
Con l'ordinanza del 28 febbraio 2022, infatti, il Giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Roma ha ammesso alla prova l'imputato cui era contestata la commissione del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 in continuazione con uno precedentemente giudicato e dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova (GUP Roma, ord., 28 febbraio 2022, su sistemapenale.it 17 marzo 2022 con nota di Fondacone).
Con argomentazione molto lucida, il Giudice romano ha escluso che la prova positiva già sperimentata potesse esplicare un effetto estintivo automatico anche in riferimento ai fatti di reato in continuazione oggetto del nuovo e successivo procedimento, ma ha comunque ritenuto praticabile una rivalutazione sulla concedibilità del beneficio in quanto la richiesta «riguarda reati accertabili in un medesimo procedimento, ma che sono stati resi oggetto di diversi procedimenti per ragioni di carattere tecnico-investigativo che hanno condotto all'avvio di diversi filoni di indagine, circostanza, quest'ultima, che non può pregiudicare la posizione dell'imputato nel senso di impedire allo stesso l'accesso ad un rito alternativo che, nel caso in esame, ha anche l'effetto di estinguere il reato». Si ritrova, quindi, esattamente l'argomento dell'irragionevolezza di fare dipendere da circostanze contingenti, quali la scelta del P.M. e le tempistiche delle indagini, una preclusione all'accesso al beneficio della messa alla prova.
Il vincolo della continuazione consente, secondo il GUP di Roma, di superare anche il limite oggettivo e testuale di cui all'art. 168-bis comma 4 c.p.: «la richiesta … non può reputarsi propriamente nuova [corsivo nel testo] … può ritenersi finalizzata alla concessione della sospensione del procedimento per l'espletamento in un ulteriore [sottolineato nel testo] periodo di messa alla prova, da computare in aggiunta a quello già effettuato».
Anche questa valutazione ermeneutica, in linea con il consolidato orientamento già ricordato che tratta il reato continuato come unitario quando ne derivino effetti favorevoli per il reo, sembra convincente.
In punto di praticabilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata, il giudice che ha sollevato il dubbio di costituzionalità, così come, poi, la decisione stessa in esame, si sono limitati, come visto supra, al mero richiamo alla littera legis. Comunque, la sentenza “addittiva” di incostituzionalità ha senz'altro il pregio, non trascurabile, di fornire un dictum valevole erga omnes che evita alla radice il rischio di interpretazioni difformi sul territorio nazionale.
Inoltre, è apprezzabile che, aderendo all'impostazione del giudice rimettente – il quale, pur trattando, nel caso concreto, solo dell'ipotesi della continuazione, ha formulato la questione di costituzionalità con riferimento a entrambi i casi di connessione di cui all'art. 12, comma 1, lett. b), c.p.p. –, il Giudice delle Leggi non abbia mancato l'occasione per pronunciarsi su entrambe le ipotesi, così ricomprendendo anche il concorso formale di reati (art. 81, comma 1, c.p.) accanto al reato continuato (art. 81, comma 2, c.p.).
Infine, merita di essere segnalato il contenuto dell'ultimo paragrafo della sentenza in esame che, opportunamente, trae dal pronunciamento di incostituzionalità anche le conseguenze più pratiche indicando i passaggi che il giudicante è chiamato a compiere al momento della delibazione sull'ammissibilità della messa alla prova.
Precisa la Consulta che sarà necessaria una nuova valutazione dell'idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull'astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell'imputato, tenendo conto sia della natura e della gravità dei reati in continuazione oggetto dell'ulteriore procedimento, sia del percorso di riparazione e risocializzazione già compiuto nella messa alla prova conclusa. Laddove si valuti di poter concedere il beneficio, dovrà essere stabilito un periodo aggiuntivo di messa alla prova che sia conforme all'unitarietà della risposta sanzionatoria prevista dal sistema. Riferimenti
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