Riqualificazione unitaria di cessione di azienda

10 Agosto 2022

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 22327 del 15 luglio 2022, ha chiarito in presenza di quali presupposti una cessione separata di beni può essere riqualificata come cessione unitaria di azienda.
Massima

La immutata collocazione dei beni strumentali all'interno dei medesimi locali non è condizione imprescindibile per la prova presuntiva della cessione di azienda unitaria, che ben può essere desunta, sulla scorta di indizi connotati dai requisiti generali di gravità, precisione e concordanza, anche dalla continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte del cessionario con il medesimo compendio di beni strumentali in altri locali. Non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali, essendo sufficiente che il complesso dei cespiti ceduti sia idoneo all'esercizio dell'impresa da parte del cessionario, qualora gli stessi conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l'attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all'esercizio dell'impresa.

Il caso

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna, che, nell'ambito di una controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per imposta di registro in relazione alla riqualificazione di una pluralità di cessioni di beni strumentali da parte di una società in un'unitaria cessione di azienda in forma verbale, in quanto tale sottoposta a registrazione d'ufficio, aveva rigettato l'appello proposto dall'Amministrazione finanziaria.

La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che le plurime cessioni di beni strumentali (di cui alcune a favore di soggetti diversi) non potessero equipararsi ad un'unica cessione di azienda.

L'Agenzia delle Entrate, nel proporre il ricorso per cassazione, deduceva la violazione/falsa applicazione dell'art. 15, comma 1, lett. d), del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, per avere il giudice di appello, a suo avviso erroneamente, ritenuto che la cessione di azienda presupponesse la prosecuzione dell'attività produttiva e/o commerciale da parte della cessionaria nei medesimi locali della cedente.

Con un secondo motivo di impugnazione, si denunciava poi la violazione/falsa applicazione dell'art. 2729, comma 1, cod. civ., anche in combinato disposto con l'art. 15, comma 1, lett. d), del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che l'operazione realizzasse una liquidazione dell'azienda per fronteggiare una situazione di crisi, culminata nel licenziamento o nella ricollocazione dei dipendenti presso altre società, nonostante la conservazione in capo alla cedente del magazzino, composto da ingenti quantità di materie prime e prodotti semilavorati.

La questione

La questione in giudizio riguardava, in sostanza, la riconducibilità, quoad effectum, delle plurime cessioni di beni strumentali ad un'unitaria cessione di azienda.

Come è noto, l'art. 15, comma 1, lett. d), del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prevede che: «In mancanza di richiesta da parte dei soggetti indicati alle lettere a), b) e c) dell'art. 10 la registrazione è eseguita d'ufficio, previa riscossione dell'imposta dovuta: (...) d) per i contratti verbali di cui alla lettera b) dell'art. 3 quando, in difetto di prova diretta, la loro esistenza risulti, continuando nello stesso locale o in parte di esso la stessa attività commerciale, da cambiamenti nella ditta, nell'insegna o nella titolarità dell'esercizio ovvero da altre presunzioni gravi, precise e concordanti».

Il richiamato art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 dispone, poi, che: «Sono soggetti a registrazione i contratti verbali: (..) b) di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite».

Secondo la lettura datane dal giudice di appello: «Il tenore della norma (...) risulta inequivoco, per poter procedere alla registrazione d'ufficio di un presunto contratto verbale di trasferimento di azienda è necessario preventivamente che sia verificato il fatto che vi sia stata continuità aziendale negli stessi locali, e solo in questo caso è poi possibile verificare i cambiamenti citati dalla norma ovvero la loro presunzione attraverso altre presunzioni purché gravi, precise e concordanti».

Secondo tale lettura, pertanto, la permanente ubicazione dei beni strumentali nei medesimi locali rappresentava il presupposto imprescindibile per verificare (anche in via presuntiva) l'effettivo trasferimento della titolarità dell'azienda da un soggetto ad un altro.

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte il ricorso per cassazione era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che l'esegesi fornita dalla Commissione Tributaria Regionale non poteva essere condivisa, confliggendo con il tenore letterale e logico della disposizione in esame.

A ben vedere, rileva la Corte, al di là delle fattispecie caratterizzate dalla «prova diretta» (nei limiti consentiti dalla peculiarità del rito tributario) della cessione, la norma sembra delineare e distinguere altre due fattispecie contrassegnate dalla «prova indiretta» della medesima:

  • una fondata su una "presunzione legale" (art. 2728 cod. civ.), che è ravvisabile nell'accertamento della continuazione della medesima attività commerciale (secondo la diversificazione consacrata dall'art. 2195 cod. civ.) nello stesso locale (o in parte di esso), sulla base di cambiamenti relativi alla ditta, all'insegna o alla titolarità dell'esercizio dell'impresa;
  • e l'altra fondata su una "presunzione semplice" (art. 2729 cod. civ.), che è ravvisabile nella concorrenza di altre circostanze, gravi, precise e concordanti, ai fini del riconoscimento del trasferimento del complesso aziendale.

Pertanto, conclude la Cassazione, si può ritenere che la immutata collocazione dei beni strumentali all'interno dei medesimi locali non è condizione imprescindibile per la prova presuntiva della cessione di azienda, che ben può essere desunta - sulla scorta di indizi connotati, come detto, dai requisiti generali di gravità, precisione e concordanza - anche dalla continuazione dell'esercizio dell'impresa da parte del cessionario con il medesimo compendio di beni strumentali in altri locali.

In caso contrario, del resto, la prova presuntiva della cessione aziendale verrebbe ad essere inderogabilmente ancorata alla stabile permanenza dei beni strumentali nei locali originari dell'impresa ed ingenererebbe un'illogica e ingiustificata preclusione all'accertamento di una fattispecie traslativa nel caso di spostamento dall'originaria sede e collocazione in altra sede del complesso aziendale.

A ciò la Cassazione aggiunge inoltre che non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali, essendo sufficiente che il complesso dei cespiti ceduti (a prescindere dalla successiva integrazione con altri cespiti) sia idoneo all'esercizio dell'impresa da parte del cessionario, essendo invero pacifico che la cessione di azienda è configurabile anche nel caso in cui il complesso degli elementi trasferiti non esaurisca i beni costituenti l'azienda o il ramo ceduti, qualora gli stessi conservino un residuo di organizzazione, che ne dimostri l'attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all'esercizio dell'impresa, e dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività d'impresa (tra le tante: Cass., sez. I, 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass., sez. trib., 8 maggio 2013, n. 10740; Cass., sez. trib., 11 maggio 2016, n. 9575; Cass., sez. trib., 6 dicembre 2016, n. 24923; Cass., sez. trib., 28 dicembre 2017, n. 31069; Cass., sez. II, 25 settembre 2018, n. 22710; Cass., sez. trib., 17 novembre 2021, n. 34858).

In conclusione, si deve quindi in tali casi verificare che si tratti di un insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa, di per sé idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella determinata attività, potendosi affermare che, se non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l'azienda, deve tuttavia appurarsi che nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di organizzazione, che ne dimostri l'attitudine all'esercizio dell'impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario (cfr., Cass., sez. I, 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass., sez. trib., 11 maggio 2016, n. 9575).

Tanto premesso, nella specie, il giudice di appello aveva fatto malgoverno dei principi enunciati, essendosi astenuto da ogni accertamento in ordine all'idoneità del complesso di cespiti ceduti - con una pluralità di atti frazionati - a consentire l'autonomo esercizio di un'attività imprenditoriale, con la conseguente soggezione dell'unitario trasferimento all'imposta di registro, essendo irrilevante, a tal fine, che la cedente avesse conservato in magazzino ingenti quantità di materie prime e prodotti semilavorati per la prosecuzione dell'attività imprenditoriale.

Osservazioni

In definitiva e a prescindere dallo specifico caso processuale, nel caso in cui sussista una cessione di beni strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all'esercizio dell'impresa si può ravvisare una cessione di azienda, la quale presuppone, il trasferimento non già di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica, ma di un insieme organicamente finalizzato, ex ante, all'esercizio dell'attività d'impresa (cfr., Cass., n. 32085 del 12/12/2018).

Per la nozione di cessione dell'attività di impresa, come anche affermato dalla Cassazione con la Sentenza n. 23259/2018, è significativo l'art. 51, 4° comma, del d.P.R. n.131/86, secondo cui per gli atti che hanno ad oggetto aziende o diritti reali su di esse "il valore di cui al comma 1 è controllato dall'ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda, compreso l'avviamento ed esclusi i beni indicati nell'art. 7 della parte prima della tariffa (...)".

Una così ampia nozione di azienda è d'altronde pienamente coerente con la disciplina unionale dell'azienda nel sistema dell'Iva, laddove l'art. 5, numero 8, della sesta direttiva (riprodotto dall'art. 19 della direttiva n. 2006/112/CE) prevede che, in caso di trasferimento a titolo oneroso o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare l'operazione come non avvenuta.

E la giurisprudenza comunitaria specifica che, a tal fine, il trasferimento di un'azienda o di un suo ramo corrisponde al trasferimento dell'insieme di beni, materiali e immateriali, che «complessivamente costituiscono un'impresa o una parte d'impresa idonea a continuare un'attività economica autonoma...» (Corte giust. 10 novembre 2011, causa C-444/10, Cristel Schriever).

In conclusione, giova evidenziare quanto segue.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte vagliato la questione in esame, osservando (v., tra le altre, Cass. 9575/16) come per cessione di azienda debba intendersi il trasferimento di un'entità economica, organizzata in maniera stabile, la quale conservi la sua identità e consenta l'esercizio di un'attività finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo imprenditoriale.

Tali caratteristiche devono essere peraltro desunte all'esito di una valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza, in relazione al tipo di attività esercitata, ovvero esercitabile.

Si ha quindi cessione di azienda, soggetta ad imposta di registro proporzionale, quando le parti non hanno inteso trasferire una semplice somma di beni, ma un complesso organico unitariamente considerato, dotato di una potenzialità produttiva, tale da farne emergere la complessiva attitudine, anche solo potenziale, all'esercizio dell'impresa; ovvero quando i beni strumentali ceduti siano atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all'esercizio di una impresa, anche se non si richiede che tale esercizio sia attuale, essendo sufficiente l'attitudine potenziale all'utilizzo per un'attività di impresa, né che la cessione comprenda anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali (cfr., Cass. n. 17785/17).

Per qualificare l'atto come cessione di azienda unitaria si deve pertanto verificare che si tratti di un insieme organicamente finalizzato, ex ante, all'esercizio dell'attività di impresa e di per sè idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella determinata attività.

È infatti nell'organizzazione del complesso dei beni che va riconosciuta la componente caratteristica dell'azienda.

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