Riscossione frazionata in pendenza di giudizio anche per gli avvisi di recupero del credito

Francesco Brandi
12 Agosto 2022

La Cassazione con l'ordinanza 23289 del 26 luglio 2022 ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, la questione riguardava la natura degli atti di recupero dei credi di imposta.
Massima

Si può applicare la riscossione frazionata in pendenza del giudizio anche all'avviso di recupero del credito d'imposta. L'atto, infatti, è assimilabile all'avviso di accertamento.

Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza 23289 del 26 luglio 2022, con cui ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate.

Il caso

La vicenda riguardava una cartella di pagamento, emessa a seguito di atto di recupero di un credito Iva. Sia la CTP che la CTR accoglievano la tesi della contribuente annullando l'atto impugnato.

In particolare, secondo la CTR, essendo l'avviso di recupero crediti previsto dall'art. 1, comma 422 legge 311/2004 assimilabile all'avviso di accertamento, trovava applicazione il regime dell'iscrizione a ruolo frazionato in pendenza di giudizio sull'atto prodromico ai sensi degli art. 15 del d.P.R. 602/1973 e art. 68 del d.lgs. 546/1992.

Secondo la tesi dell'Agenzia delle Entrate sarebbe da escludersi tale assimilazione in quanto l'atto di recupero ha ad oggetto il disconoscimento di agevolazioni indebitamente fruite e non l'accertamento di un maggior imponibile.

Le questioni

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la natura degli atti di recupero dei credi di imposta. Non si tratta di una questione meramente teorica perché dalla risoluzione della stesa dipende l'applicazione di una serie di istituti (come l'accertamento con adesione) che hanno effetti molto importanti per il contribuente (ad esempio la sospensione del termine di impugnazione per 90 giorni a seguito della presentazione di una valida istanza di accertamento con adesione).

La soluzione giuridica

La Cassazione ha rigettato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate che pretendeva di iscrivere l'intera somma.

Secondo i giudici di legittimità, gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione. L'atto, infatti, è in sostanza costituito da una comunicazione della motivazione del recupero e da una liquidazione delle somme accertate come dovute a tal titolo dal contribuente. Questo ha, in primo luogo, la funzione di diniego o di revoca del credito di imposta, con la relativa motivazione, e, in secondo luogo, la funzione di liquidazione delle somme portate a recupero, con il relativo riepilogo di quanto complessivamente dovuto dal contribuente per imposte, interessi e sanzioni.

Pertanto all'avviso di recupero del credito di imposta è attribuita la funzione di un atto di accertamento tributario, dovendo per tale intendersi «ogni atto o provvedimento dell'amministrazione finanziaria, che, a prescindere dalla sua denominazione, spieghi efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo, accertando o dichiarando il debito».

Di conseguenza, la ratio sottesa alla disposizione di cui all'articolo 15 del d.P.R. 602/1973 - ossia il contemperamento delle contrapposte esigenze del fisco, di celere riscossione dei tributi, e del contribuente, di non anticipare il pagamento di somme che all'esito del giudizio tributario potrebbero risultare non dovute - non può che operare sia con riferimento agli atti di accertamento si imponibile che con riferimento agli atti di diniego o revoca di un credito di imposta, estendendo il regime di riscossione frazionata anche agli avvisi di recupero del credito di imposta.

Il problema nasce dal fatto che l' art. 1, comma 422 , della L. n. 311/2004 rimanda, in via generale, al d.P.R. n. 602/1973, senza specificare di che tipologia di iscrizione a ruolo si tratti.

Sul punto sembra sia superato un vecchio orientamento secondo cui l' art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 non è compatibile in fattispecie ove “non vi è stato l'accertamento di un reddito o di un maggior reddito non dichiarato, né si fa questione circa la sussistenza o l'importo del reddito stesso, ma si discute soltanto se ricorrano o meno le condizioni dell'esenzione di legge (cfr. Cass. 4360/1992).

Osservazioni

L'art. 1, comma 421, della L. n. 311/2004 non fornisce molte indicazioni normative, limitandosi a specificare che:

  • l'Agenzia può emanare appositi avvisi di recupero dei crediti d'imposta utilizzati anche in compensazione ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997;
  • restano fermi i poteri e le attribuzioni degli uffici previsti dal d.P.R. n. 600/1973;
  • l'avviso deve essere motivato e notificato secondo le forme di cui all' art. 60 del d.P.R. n. 600/1973;
  • gli importi devono essere versati entro il termine indicato nell'atto, comunque non inferiore a sessanta giorni;
  • la riscossione coattiva avviene secondo il rispetto del d.P.R. n. 602/1973.

L'esazione delle somme richieste mediante avviso di recupero dovrebbe avvenire, in caso di proposizione del ricorso, in via frazionata.

Il problema nasce dal fatto che l'art. 1, comma 422 , della L. n. 311/2004 rimanda, in via generale, al d.P.R. n. 602/1973, senza specificare di che tipologia di iscrizione a ruolo si tratti.

Si è dell'avviso che l'iscrizione a ruolo debba avvenire in via frazionata, in maniera analoga a quanto sarebbe successo se l'atto fosse stato denominato “avviso di accertamento”.

Ciò trova puntuale riscontro in giurisprudenza, siccome Comm. trib. prov. Taranto 9 febbraio 2006, n. 505 ha stabilito che alla notifica dell'avviso di recupero deve conseguire la riscossione frazionata, e non quella integrale, consentita nelle tassative ipotesi previste dall'art. 14 del d.P.R. n. 602/1973.

La riscossione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 15 del d.P.R. n. 602/1973, 19 del D.Lgs. n. 472/1997 e 68 del D.Lgs. n. 546/1992, dovrebbe avvenire nella seguente maniera:

  • un terzo delle somme richieste a titolo d'imposta, se il contribuente non versa gli importi entro il termine indicato nell'avviso di recupero;
  • due terzi delle somme richieste a titolo d'imposta, dopo la sentenza della C.T. Prov. che respinge il ricorso;
  • due terzi delle somme richieste a titolo di sanzione amministrativa, dopo la sentenza della C.T. Prov. che respinge il ricorso;
  • il residuo delle somme richieste a titolo di imposta e di sanzione, dopo la sentenza della C.T. Reg. che conferma la pretesa erariale.

Va rilevata, però, la presenza di un orientamento giurisprudenziale difforme che ora sembra smentito dalla pronuncia in commento.

La natura accertativa dell'avviso di recupero del credito d'imposta dovrebbe comportare l'applicabilità dell'accertamento con adesione, in quanto a ciò non pare ostare alcuna disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 218/1997.

Di conseguenza, il contribuente, ricevuto l'avviso, ben potrebbe fruire dell'acquiescenza, ottenendo la riduzione delle sanzioni ad un sesto o ad un terzo.

Analogamente, nulla vieta che il contribuente possa avvalersi della definizione agevolata delle sanzioni.

Va detto che la prassi degli uffici è talvolta orientata a negare l'adesione nel caso del recupero dei crediti d'imposta, e a conclusioni non diverse perviene per l'acquiescenza. Pertanto, ove il contribuente, omettendo il ricorso, versasse l'imposta e le sanzioni ridotte ad un sesto/un terzo, correrebbe il rischio di vedersi notificare la cartella di pagamento portante a riscossione la restante parte delle sanzioni, per effetto del disconoscimento dell'acquiescenza.

Preso atto dell'incertezza sul tema il contribuente dovrebbe porre in essere un comportamento cautelativo, tentando di fruire di una definizione della controversia solo ove ciò non appaia pregiudizievole. Ad esempio, fruire dell'acquiescenza potrebbe comportare la successiva notifica della cartella di pagamento per la restante parte delle sanzioni, il che darebbe luogo ad un contenzioso dall'esito incerto, alla luce del fatto che non si ravvisano ancora pronunce della giurisprudenza sul tema, e alle stesse considerazioni si deve giungere per la definizione agevolata. Un discorso a parte, infine, merita il reclamo (art. 17-bis del d.lgs. 546/1992), che, se l'atto è di valore non superiore a 50.000,00 euro (si calcolano solo le maggiori imposte), è un istituto che comunque il contribuente deve tentare, posto che la sua omissione cagiona l'inammissibilità del ricorso.

Quanto alla possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione con tutte le conseguenze che ne derivano, con l'ordinanza n. 16761 del 07.07.2017 la Cassazione ha stabilito che gli avvisi di recupero dei crediti d'imposta hanno sostanziale natura accertativa e pertanto possono essere oggetto di accertamento con adesione.

Gli avvisi di recupero di crediti di imposta, illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazione della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento (Cass. n. 4968/2009; Cass. n. 22322/2010; Cass. n. 8033/2011). In senso conforme anche Cass. 8429/2017 e recentemente 7436/2021.

Nella pronuncia 8429/2017 si legge testualmente:

“Nel respingere il corrispondente motivo di appello dell'agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale ha infatti correttamente applicato il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, secondo cui (comma 2) il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica senza previa comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento, è ammesso a formulare, prima di impugnare l'atto innanzi alla commissione tributaria provinciale, istanza di accertamento con adesione. Nel qual caso (comma 3) il termine per l'impugnazione medesima è sospeso per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione”.

Tale conclusione deve valere pur nella considerazione che l'istanza venne dalla contribuente proposta nei confronti di atto di recupero del credito e non di avviso di accertamento, stante la già richiamata identità di natura impositiva tra i due.

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