Imposta di registro: l'atto di scissione di società semplice è soggetto a misura fissa
30 Settembre 2022
Massima
In tema di imposta di registro, l'atto di scissione relativo a società semplice è assoggettato, ex art. 4 della tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986, ad imposta in misura fissa, dal momento che il requisito normativo dell'oggetto esclusivo o principale di natura commerciale o agricola non concerne le società ma soltanto gli enti diversi da queste.
Il caso
A seguito di atto di scissione di società semplice, sottoposto, in sede di autoliquidazione, ad imposta di registro in misura fissa in applicazione dell'art. 4 della tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986, l'Agenzia delle entrate notificava alle società scisse e ai soci avviso di liquidazione volto al recupero dell'imposta proporzionale del 3% sull'atto notarile. Secondo l'Ufficio, l'atto andava sottoposto al prelievo proporzionaleresidualeex art. 9 della tariffa (“atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale…”) su base imponibile costituita dal patrimonio confluito alla società beneficiaria. Impugnato l'avviso di liquidazione dai soggetti incisi, sia la C.T.P. che la C.T.R. lo ritenevano illegittimo e lo annullavano, ritenendo la pretesa dell'Ufficio contrastante con il disposto tariffario dell'art. 4, comma 1, lett. b), cit., il quale, nel caso di “atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi e le altre organizzazioni di persone e di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole”, sottopone l'atto di scissione (al pari di quelli di fusione o di conferimento aziendale) ad imposta di registro in misura fissa. Ragioni grammaticali e logico-giuridiche depongono nel senso che il presupposto specifico di imposizione in misura fissa, costituito dall'esercizio (esclusivo o principale) di attività commerciali o agricole sia prescritto unicamente per gli enti diversi dalle società, mentre per queste ultime – motivava la C.T.R. – “nessun senso avrebbe il riferimento normativo agli atti propri delle società di ‘qualunque tipo ed oggetto', se poi [la norma] dovesse contraddittoriamente prevedere anche per le società la limitazione all'oggetto commerciale o agricolo”, anche considerando che, nel sistema codicistico, “l'oggetto commerciale ed agricolo esaurisce interamente l'ambito delle società tipiche, per le quali non è considerato alcun altro tipo di oggetto […]”. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate soccombente in appello che, con unico motivo, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della tariffa cit., per non avere la C.T.R. considerato che, all'esito di una corretta applicazione delle regole della grammatica italiana e di analisi del periodo, il requisito costituito dall'esercizio di attività commerciale o agricola sè richiesto anche per le società, come peraltro già ritenuto dall'Amministrazione finanziaria in materia di fusione (vedi risoluzioni nn. 152 e 162/E dell'aprile 2008). Assegnata la causa a decisione, la Sezione V tributaria della Cassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite civili della questione di massima di particolare importanza in ordine all'interpretazione dell'art. 4 della tariffa allegata al D.P.R. 131/1986.
La questione
Le Sezioni unite civili della Cassazione con la sentenza in commento, muovendo dalla duplice – e inconciliabile – interpretazione della norma di cui all'art. 4 della tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, affrontano la questione del regime impositivo di registro applicabile agli atti di scissione societaria abbracciando la tesi dell'imposizione agevolata in misura fissa. Nell'opposto senso della rilevanza selettiva della natura commerciale dell'attività svolta con riguardo tanto alle società quanto alle non-società si erano invece espresse, finora, solo due sentenze, a sezioni semplici (Cass. civ., sez. V, n. 227/2021; Cass. civ., Sez. V, n. 4763/2009), nelle quali la questione non era stata sufficientemente scandagliata perché entrambe le decisioni erano state rese in fattispecie di imposizione proporzionale. Ripresentatosi ora il problema nel suo snodo più critico, il massimo Consesso di legittimità, nella sua più autorevole composizione, approda ad un esito più favorevole alle ragioni del contribuente.
Le soluzioni giuridiche
Secondo la prima opzione interpretativa – sposata, nella specie, dai giudici di merito ed oggi avallata dal giudice nomofilattico – gli atti di scissione tra società di qualunque tipo ed oggetto sarebbero sottoponibili ad imposta di registro in misura fissa, mentre i medesimi atti intercorsi tra enti non societari lo sarebbero solo se aventi ad oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole. Tale lettura poggia sui seguenti, plurimi argomenti: - la lettera dell'art. 4 che riferisce alle società la precisazione “di qualunque tipo ed oggetto”, là dove, qualora la norma avesse inteso riferire anche alle società il requisito dell'esercizio di attività commerciale o agricolo, la formulazione letterale avrebbe dovuto essere diversa, del tipo ‘atti propri delle società e degli enti diversi…' o simile, senza dare adito a distinzione di sorta; - l'art. 82 D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo Settore) il quale prescrive l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa alle operazioni di fusione, scissione o trasformazione poste in essere dagli enti del terzo settore (comma 3), escluse però “le imprese sociali costituite in forma di società” (comma 1), intendendosi cioè che queste ultime sono già assoggettate alla tassazione in misura fissa proprio in forza della lex generalis di cui all'art. 4 cit.; - l'art. 4, lett. d), della tariffa allegata al D.P.R. 131/1986 secondo cui l'atto di assegnazione ai soci di beni e partecipazioni, se in campo IVA (anche se esente ex art. 10, comma 1, n. 4), D.P.R. n. 633/1972, in quanto relativo ad “azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci ed a quote sociali”), è assoggettato ad imposta di registro in misura fissa, con ciò configurandosi un'operazione del tutto sovrapponibile a quella (qui dedotta) in cui l'assegnazione del patrimonio della società scissa venga effettuata a favore di una società ‘senza impresa' di cui facciano parte i medesimi soci della società scissa. Secondo l'opposta opzione ricostruttiva – sposata dall'Agenzia delle entrate ma oggi “sconfessata” dalle Sezioni unite della Cassazione – il requisito dell'esercizio dell'attività commerciale o agricola andrebbe esteso tanto alle società quanto agli enti diversi in ragione dei seguenti argomenti: - la stessa lettera dell'art. 4 della tariffa, interpretata nel senso che l'uso della virgola prima della proposizione “aventi per oggetto…”, nell'articolazione del periodo in una frase incidentale (“compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica”) inserita all'interno di un'altra frase descrittiva (“atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole”), varrebbe ad estendere quest'ultimo requisito sia alle società sia agli enti diversi; - il rinvio operato dalla Nota III all'art. 4 in esame (“per gli atti propri delle società ed enti diversi da quelli indicati nel presente articolo si applica l'articolo 9 della tabella”), il quale presuppone l'esistenza di società estranee all'applicazione dell'art. 4 proprio perché non esercenti attività commerciale o agricola; - l'attribuzione patrimoniale dalla società scissa alla società semplice non svolgente attività di impresa comporterebbe la fuoriuscita dei beni o delle partecipazioni detenute dal circuito produttivo e dinamico volto a creare ricchezza, così da non meritare il trattamento agevolato dell'imposizione in misura fissa. Osservazioni
La sentenza in commento smentisce senza mezzi termini la tesi dell'Amministrazione finanziaria, i cui esiti giudicati “antiletterali perché frontalmente contrari alla dizione normativa”, pretenderebbero di escludere, anche sulla base di un'asseritamente diversa intenzionalità del legislatore tributario, la società semplice dall'imposizione in misura fissa nonostante la previsione legislativa di “qualunque tipo ed oggetto” che altrimenti l'ammetterebbe. Invero, non vi sono ragionevoli motivi – scandisce il giudice nomofilattico – per dubitare che: - il “tipo” di cui all'art. 4 cit. sia il “tipo” codicistico al quale è improntata storicamente l'intera disciplina societaria (tra qui vi è anche quello della società semplice); - l'“oggetto” dell'art. 4 sia l'“oggetto” codicistico che delinea la natura dell'attività economica svolta, entrando nel contratto di società quale suo elemento costitutivo e di essenziale finalizzazione (vedi artt. 2247, 2253, 2266, 2272, n. 2, 2295, n. 5, cod. civ.). D'altra parte, il conflitto (apparente) tra l'indeterminatezza del contenuto dell'oggetto nella prima menzione dell'art. 4 e la specificità del contenuto dell'oggetto nella seconda trova riconciliazione soltanto se le due previsioni in concorso vengano riferite a due categorie soggettive differenti: appunto le società da una parte e gli enti diversi dall'altra. Peraltro, anche a voler ritenere che all'esito dell'interpretazione letterale sussistano margini di dubbio, così da doversi accedere al vaglio ermeneutico sussidiario, il criterio della intentio legislatoris e della mens legis – aggiungono i Supremi giudici – conduce a risultati confermativi dell'esegesi testuale e, quindi, dell'imposizione agevolata in misura fissa. Difatti, anzitutto sul piano tributario ben può essere valorizzato proprio l'elemento puramente riorganizzativo dell'assetto societario, ritenuto di per sé non significativo ex art. 53 Cost. (vedi Cass. civ., Sez. Unite, n. 2637/2006). Inoltre, nella specie all'applicazione del registro in misura fissa si perviene non per il principio di alternatività IVA-registro ex art. 40 D.P.R. 131/1986 ma per tariffa, al pari di quanto accade anche per le società commerciali, pure esse investite dalla previsione ex art. 2, comma 3, lett. f), D.P.R. 633/1972. Peraltro, in altre voci della tariffa, si rinvengono ipotesi (senza distinzioni tra società per tipo-oggetto) di tassazione in misura fissa di atti che, per quanto avulsi dalla realizzazione di un'operazione straordinaria, possono presentare indici di capacità contributiva non del tutto dissimili da quella al vaglio, come nel caso (art. 11) di atti di “negoziazione” di quote di partecipazione in società o enti ex art. 4, ovvero (art. 4, lett. d, n. 1), di “assegnazione” di beni ai soci se soggetti ad IVA o aventi ad oggetto utili in denaro. Infine – bene puntualizzano i Supremi giudici – l'“insindacabile” scelta del legislatore tributario di fare ricorso al discrimine della commercialità solo per gli enti diversi dalla società, venendo queste ultime, invece, ammesse all'imposta fissa per il solo fatto di essere tali, non confligge di per sé con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., trovando giustificazione – quantomeno al fine di escludere l'arbitrio e l'irragionevolezza (unico vizio censurabile stante la discrezionalità legislativa: vedi, ex plurimis, Corte cost. n. 201/2020) – nella diversità delle situazioni di partenza, considerate: da un lato, la specifica e tipizzata disciplina applicabile alla società rispetto alla maggior eterogeneità dei modelli e degli istituti organizzativi propri degli enti diversi; dall'altro, la natura economica che ex art. 2247 cod. civ. deve caratterizzare le società (non anche gli enti diversi) di qualunque tipo ed oggetto.
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