Acquisto di criptovalute con il provento di truffe su conti correnti online: è autoriciclaggio
05 Ottobre 2022
Massima
La Giurisprudenza continua a dipanare i nodi della complessa figura dell'autoriciclaggio affrontando, tra l'altro, gli spinosi temi della natura degli acquisti di crypto-asset e della trasparenza delle tecnologie basate sulla blockchain o sul distributed ledger. Il caso
Il caso sottoposto alla decisione della Suprema Corte riguarda la sussumibilità nella fattispecie del delitto di autoriciclaggio del trasferimento, a mezzo bonifico online, dei proventi di una truffa aggravata da un conto corrente (intestato a soggetto diverso dall'indagato), radicato presso un istituto di credito nazionale, ad un conto corrente estero di un VASP. Tali proventi erano poi stati utilizzati per l'acquisto di Bitcoin, di cui – allo stato – non era tuttavia noto il successivo impiego. La S.C. è stata chiamata a decidere sul prefato caso nell'ambito di un ricorso avverso l'applicazione di una misura cautelare e quindi a verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai conseguenti limiti, se il giudice di merito avesse dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie. Secondo la difesa, le prefate operazioni di trasferimento ed impiego dell'illecito profitto in questione non avrebbero avuto una finalità speculativa e, in ogni caso, le regole che governano il mercato delle criptovalute – essendo incentrate su criteri di assoluta trasparenza – non avrebbero consentito di occultare il profitto del reato né di nascondere l'identità dell'acquirente. Le questioni e le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, in primo luogo, ha calibrato sotto il profilo applicativo l'indicazione normativa ex art. 648 ter.1 c.p., di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative in cui il profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito e, confermando l'interpretazione estensiva già espressa in passato (Cass. pen., sez. II, ud. 07/03/2019, dep. 29/03/2019, n. 13795), ha ribadito che in tale previsione debba essere ricompresa qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all'interno del circuito economico legale. Il conseguente “inquinamento del circuito economico”, della specifica attività, sulla base dei principi internazionali e della normativa europea di contrasto al fenomeno, risulta altrettanto decisivo al fine della sussunzione della specifica attività nell'alveo della previsione. Nella sentenza in commento la S.C. viene a sostenere che il dettato normativo individua delle “macroaree, tutte accomunate dalla caratteristica dell'impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa”. L'acquisto di Bitcoin in parola, più nel dettaglio, viene ricondotto sotto la figura dell'impiego dell'illecito profitto in “attività speculative” che, secondo gli ermellini, comprende tutte quelle attività in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite. Nella sentenza, si viene inoltre a sostenere la correttezza dell'impostazione del giudice di merito, secondo la quale la moneta virtuale, in una prospettazione basata su pertinenti richiami legislativi, giurisprudenziali e dottrinari, non può essere esclusa dall'ambito degli strumenti finanziari e speculativi ai fini di una corretta lettura dell'art. 648 ter.1 c.p.. Nella realtà, in passato, la S.C. aveva addirittura annoverato, sebbene in una particolare circostanza, la valuta virtuale in questione nella categoria degli “strumenti finanziari” assoggettandone la vendita alla regolamentazione prevista per gli intermediari finanziari. La II Sez. Penale della Cassazione, con la sentenza del 17/09/2020, n. 26807, in tema di intermediazione finanziaria, ha sancito che la vendita online di moneta virtuale Bitcoin, pubblicizzata quale forma di investimento per i risparmiatori - ai quali vengano offerte informazioni sulla redditività dell'iniziativa - è un'attività soggetta agli adempimenti previsti dalla normativa in materia di strumenti finanziari, di cui agli artt. 91 e ss. T.u.f., la cui omissione integra il reato di cui all'art. 166, comma 1, lett. c), T.u.f.
Osservazioni
Non si può non annotare come l'inclusione delle criptovalute nella categoria degli “strumenti speculativi”, offra delle indicazioni di sicuro rilievo anche ai fini della quantificazione del profitto del reato di autoriciclaggio da sottoporre obbligatoriamente a confisca, anche per equivalente, e indirettamente degli spunti di riflessione per il trattamento fiscale dei guadagni relativi all'impiego nelle suddette attività, ai fini altresì dell'accertamento dei reati tributari (la natura delle valute virtuali ha suscitato un ampio dibattito in dottrina. Allo stato, l'inquadramento più corretto sembra essere quello di bene immateriale. Attualmente, però, l'Agenzia delle Entrate considera le criptovalute quali valute estere equiparando i wallet a depositi o conti correnti. Per una completa disamina sulla natura delle criptovalute e del loro inquadramento fiscale si rimanda a: A. Tomassini, Criptovalute, NFT e Metaverso, GFL, 2022,. 28 e segg. e cap. II). Al di là della conferma dell'interpretazione estensiva del “luogo giuridico” della figura criminosa in questione, il vero elemento di novità reperibile nella sentenza in commento riguarda però l'affermazione della potenzialità dissimulatoria dell'impiego di illeciti proventi in criptovaluta ovvero della capacità intrinseca di tale asset ad «ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa del profitto illecito». A tale proposito, si deve annotare come la Suprema Corte affermi che, al di là delle descrizioni “tecniche” in ordine alla trasparenza della blockchain, qualsiasi impiego in criptovalute consente di garantire un “alto grado di anonimato, senza previsione di alcun controllo sull'ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito”. Invero, un analogo caso era già stato affrontato dalla Suprema Corte che, tuttavia, non aveva avuto l'opportunità di spingersi così in profondità fino a definire come attività tesa ad occultarne l'illecita provenienza la conversione di moneta Fiat in Bitcoin. In tale specifico caso, dato che tale modalità di impiego era già stata rinvenuta in una precedente fase di trasferimento (A. De Conno, “Criptovalute, riciclaggio e autoriciclaggio” in Società, Banca E Impresa, 24 maggio 2022), venne sancita l'assoluta irrilevanza del successivo impiego della valuta virtuale ai fini della sussistenza della causa di esclusione dalla punibilità prevista al comma 4 dell'art. 648 Ter.1 c.p.. Ne consegue che la conversione in crypto-asset di un illecito provento incarna di per se un atto di riciclaggio anche qualora dette attività vengano successivamente destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale dal momento che, come sopra detto, la causa di non punibilità in questione non si estende ai casi in cui i proventi del delitto presupposto siano utilizzati ai fini personali a seguito ed all'esito di operazioni di impiego che abbiano concretamente ostacolato l'individuazione della provenienza delittuosa.
Conclusioni
Una lettura in controluce della Sentenza della Suprema Corte in commento, è di sicuro rilievo anche per il presidio preventivo antiriciclaggio poiché viene a fornire importanti indicazioni ai soggetti obbligati oltre che alle Autorità di controllo per l'adeguamento, da un lato, dei sistemi di compliance e, dall'altro, per l'elaborazione e la diffusione di specifici indicatori di anomalia, almeno nelle aree di diretta interferenza tra le valute virtuali, le monete correnti e l'economia reale. A tale proposito, è doveroso prendere atto che i giudici della Suprema corte, in maniera del tutto esplicita, hanno evidenziato la concreta inefficienza del presidio preventivo antiriciclaggio ad intercettare e segnalare la fattispecie in esame, nonostante le sostanziali modifiche al D.Lgs. n. 231 del 2007 apportate con il D.Lgs. n. 90 del 2017, attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, addirittura anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio proprio in tema di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi. Detta affermazione dovrebbe spronare da un lato, i soggetti obbligati a tarare i processi di monitoraggio anche sul rischio intrinseco di riciclaggio connesso con le operazioni con le valute virtuali o comunque a queste collegate e, dall'altro, le Autorità di Controllo nazionali a fornire indicazioni in materia, peraltro già presenti in altri ordinamenti o emanate al livello internazionale, senza soffermarsi su complicate interpretazioni incentrate su sovrastrutture tecnico-giuridico-normative. Del resto, proprio qualche giorno prima rispetto al deposito della Sentenza in oggetto, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sulla modifica normativa relativa ai trasferimenti di fondi, estendendola ai trasferimenti di cripto-attività. L'obiettivo delle future regole sarà quello di obbligare i prestatori di servizi per le cripto-attività a raccogliere e rendere accessibili specifiche informazioni relative al cedente e al cessionario dei trasferimenti di valute virtuali, come già accade per i prestatori di servizi di pagamento per i trasferimenti elettronici. Ciò garantirà la trasparenza finanziaria e la tracciabilità dei trasferimenti di cripto-attività, in modo da poter individuare con maggiore precisione le eventuali operazioni sospette e bloccarle. Peraltro, lo stesso GAFI a livello internazionale aveva auspicato un approccio più rigoroso in materia di scambi di valute virtuali, attraverso le Raccomandazioni 15 (“Nuove tecnologie”) e 16 “Bonifici”).
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