Esaurimento del massimale in corso di causa: è ammissibile l'eccezione tardiva?

Giuseppe Chiriatti
06 Ottobre 2022

L'eccezione di superamento del massimale integra un'eccezione in senso stretto (vincolata ai termini tassativi ex art. 167 c.p.c.) o costituisce una mera difesa di parte, deducibile senza alcuna preclusione?
Massima

L'avvenuta erosione del massimale in conseguenza di pagamenti sopravvenuti costituisce una circostanza che non necessariamente si è già perfezionata nel momento in cui il giudizio di primo grado ha inizio, ben potendo verificarsi successivamente; ne consegue che la tempestività della relativa eccezione dev'essere esaminata alla luce del momento in cui l'erosione si è compiuta (circostanza, quest'ultima, che dev'essere ovviamente provata dall'assicuratore).

Il caso

La sentenza trae origine da un caso di malpractice in cui l'assicuratore della struttura sanitaria, chiamato in garanzia da quest'ultima, si era limitato a richiedere - in sede di costituzione in primo grado - che l'eventuale condanna alla manleva fosse contenuta nei limiti del massimale di polizza per poi eccepire, solo successivamente, l'intervenuta erosione di quel massimale per effetto di ulteriori e distinti pagamenti effettuati nelle more del giudizio.

Tale ultima eccezione (dapprima accolta dal Tribunale) veniva rigettata dalla Corte di Appello in quanto ritenuta tardiva rispetto al termine di cui all'art. 167 c.p.c.

L'assicuratore della struttura sanitaria ricorreva, dunque, contro la sentenza della Corte d'Appello, insistendo sul fatto che l'erosione del massimale costituirebbe una mera difesa (non soggetta, dunque, ad alcuna preclusione) e che, in ogni caso, tale evento si era verificato solo successivamente alla costituzione in giudizio (e, pertanto, non avrebbe potuto essere eccepito tempestivamente).

La questione

La Cassazione torna nuovamente a pronunciarsi su di una questione tuttora controversa (e cioè quella inerente alla natura dell'eccezione di massimale) su cui – nel corso dell'ultimo decennio – ha espresso due orientamenti tra loro contrastanti:

- per il primo (vedi Cass. civ., n. 3173/2016 e Cass. civ., n. 26813/2019) l'eccezione di massimale integra un'eccezione in senso stretto e, in quanto tale, dev'essere tempestivamente sollevata nel termine ex art. 167 c.p.c.;

- per il secondo (vedi Cass. civ., n. 10811/2011 e Cass. civ., n. 1475/2022) l'eccezione di massimale integra invece una mera difesa che, dunque, può essere dedotta in giudizio senza alcuna preclusione (ovviamente nei limiti in cui l'esistenza e la misura del massimale risultino comunque regolarmente acquisiti agli atti del processo).

Ma quid iuris, ai fini della tempestività dell'accezione, se il massimale si esaurisce in corso di causa?

Le soluzioni giuridiche

A differenza dei menzionati indirizzi, infatti, l'ordinanza in commento affronta una fattispecie ben più complessa, dal momento che - nel caso de quo – la controversia verte non tanto sulla tempestiva allegazione e prova della misura del massimale così come originariamente pattuito dalle parti, quanto sulla tempestiva allegazione e prova dei pagamenti che sarebbero stati effettuati dall'assicuratore nelle more del giudizio e che, dunque, avrebbero eroso quel massimale già regolarmente eccepito in sede di costituzione: potremmo, cioè, affermare che la “tradizionale” eccezione di massimale (fondata sul mero contenuto delle condizioni di assicurazione) e la più “complessa” eccezione di erosione del massimale per effetto di ulteriori pagamenti in corso di causa (fondata, invece, su fatti sopravvenuti alla conclusione del contratto) integrino due fattispecie ben distinte.

Tant'è che la Corte – dopo aver passato in rassegna i due orientamenti sopra richiamati circa la natura dell'eccezione di massimale - giunge nondimeno ad affermare che “la fondatezza del motivo del ricorso in esame discende da un'altra decisiva ragione”.

In particolare, dopo aver verificato:

  • che all'esito della prima udienza (tenutasi in data 8 febbraio 2012) il giudice di primo grado aveva assegnato i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. e rinviato la causa al 26 settembre 2012 e, ancora,

  • che in tale ultima udienza l'assicuratore aveva eccepito l'erosione del massimale in conseguenza di successivi e distinti pagamenti nel frattempo effettuati,

la Corte è giunta ad affermare che l'eccezione di erosione del massimale non può essere considerata tardiva, in quanto – stando alla prospettazione dell'assicuratore - sarebbe stata sollevata nella prima udienza successiva al verificarsi dei fatti dedotti a sostegno della medesima eccezione (fermo l'obbligo, per il giudice del rinvio, di verificare che l'assicuratore abbia effettivamente provato la data dei pagamenti che avrebbero eroso il massimale).

Eccezione tardiva e rimessione in termini

Non è la prima volta, invero, che la Cassazione riconosce alle parti – peraltro proprio in ambito risarcitorio - la facoltà di integrare le proprie difese anche oltre lo spirare delle preclusioni: si pensi soltanto a Cass. civ., n. 25631/2018 secondo cui “l'attore, senza mutare il fatto generatore della propria pretesa (l'inadempimento o l'illecito ascritto al convenuto), può dedurre che in corso di causa, dopo il maturare delle preclusioni, si siano verificati danni ulteriori, anche di natura diversa da quelli descritti con l'atto introduttivo, che dunque gli fu impossibile prospettare ab initio”.

In quella pronuncia, tuttavia, la Corte aveva chiarito che l'attore deve comunque chiedere di essere rimesso in termini e, già solo alla luce di tale considerazione, parrebbe che l'ordinanza in commento – nel ritenere tempestiva un'eccezione che, al contrario, è palesemente tardiva rispetto al termine previsto per il convenuto dall'art. 167 c.p.c. – si ponga in contraddizione con la regola contenuta nell'art. 153 c.p.c. secondo cui i termini perentori sono inderogabili (salvo, appunto, che la parte non venga rimessa in termini).

È pur vero che, la richiesta di rimessione in termini può essere ritenuta implicita già solo nella produzione di documenti venuti ad esistenza dopo il maturare delle preclusioni processuali (Cass. civ., n. 5465/2006) e che, in forza di tale principio, l'esibizione di documenti comprovanti la data effettiva dei pagamenti sopravvenuti sarebbe quindi sufficiente a rimettere in termini l'assicuratore: potremmo cioè ritenere che la Corte – prescrivendo al giudice del rinvio di verificare che l'assicuratore abbia effettivamente provato la data dei pagamenti che hanno eroso il massimale – ha inteso richiamare (sia pur tacitamente) la disciplina dell'art. 153 c.p.c.

D'altro canto, non potremmo neppure omettere di considerare come la rimessione in termini possa essere richiesta a condizione che la decadenza sia stata determinata da una “causa non imputabile” alla parte (art. 153 c.p.c.) e che per causa non imputabile debba intendersi “un evento che presenti il carattere dell'assolutezza - e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà - e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione” (così Cass. civ., n. 30512/2018).

Ebbene, a voler tener conto anche di tale ulteriore principio espresso dalla Cassazione in materia di rimessione di termini, pare a chi scrive che - per valutare se la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte - il giudice del rinvio non possa limitarsi ad accertare l'effettiva erosione del massimale in forza dei pagamenti intervenuti in corso di causa, ma debba altresì verificare se - per l'assicuratore - fosse impossibile prevedere tali ulteriori pagamenti al momento della sua tempestiva costituzione in giudizio.

Prevedibilità del rischio di esaurimento del massimale

In tal senso, si pensi proprio all'assicuratore di RC delle strutture sanitarie, il quale molto spesso si ritrova a dover gestire in contemporanea plurimi sinistri che temporalmente ricadono nel medesimo periodo assicurativo e che potrebbero giungere a definizione anche in tempi tra loro ravvicinati: ebbene non sarebbe poi peregrino attendersi che l'assicuratore della struttura (il quale sia esposto al concreto rischio di dover procedere ad ulteriori e distinti pagamenti che potrebbero erodere il massimale di polizza) sollevi la relativa eccezione anche solo in via cautelativa nel termine ex art. 167 c.p.c.

Sul punto, invero, ben potrebbe obiettarsi che, almeno fin quando tali ulteriori pagamenti non siano stati effettivamente eseguiti, il rischio di erosione del massimale sarebbe soltanto potenziale; nondimeno, osserveremo come il rischio di superamento del massimale possa risultare meramente potenziale anche in casi meno complessi, quale, ad esempio, quello in cui l'illecito dedotto in giudizio non concorra con altri potenziali sinistri e il risarcimento richiesto dal danneggiato sia esso stesso inferiore al massimale di polizza: ebbene, non è infrequente che, anche in una simile ipotesi, l'assicuratore eccepisca il massimale in via meramente cautelativa giusto al fine di scongiurare il rischio che – all'esito del giudizio – il danno venga liquidato in misura superiore al limite fissato dalla polizza.

Par dunque a scrive che – ai fini della rimessione in termini – l'assicuratore non possa limitarsi ad allegare (e a provare) che il massimale è stato effettivamente eroso da ulteriori e distinti pagamenti intervenuti in corso di causa, ma debba altresì dimostrare che - alla scadenza del termine per la tempestiva costituzione in giudizio - il rischio di esaurimento del massimale fosse talmente remoto da non poter essere in alcun modo previsto (ciò che, ad esempio, dovrebbe essere ragionevolmente escluso nell'ipotesi in cui il pagamento sopravvenuto sia stato effettuato in forza di una sentenza di condanna emessa all'esito di altro procedimento, ma pubblicata già prima della scadenza del termine ex art. 167 c.p.c.per la costituzione dell'assicuratore nel nuovo giudizio).

Conclusioni

In definitiva, sebbene la Corte richiami incidentalmente il contrasto giurisprudenziale circa la natura dell'eccezione di massimale (per un approfondimento sul tema sia consentito rinviare a CHIRIATTI G., RC Sanitaria: la prova del massimale di polizza incomberà sull'assicuratore, Ridare.it, 3 Febbraio 2020), non vi è dubbio che l'erosione del massimale per effetto di ulteriori e distinti pagamenti effettuati in corso di causa integri un'eccezione in senso stretto, dal momento che la stessa non è fondata sul mero contenuto della polizza bensì su fatti sopravvenuti alla conclusione del contratto. D'altro canto, nella parte in cui afferma che l'eccezione di erosione del massimale può essere ritenuta tempestiva a condizione che risulti effettivamente provata la data dei pagamenti sopravvenuti (così rievocando indirettamente l'istituto della rimessione in termini), l'ordinanza in commento si pone in contrasto con la disciplina prevista dall'art. 153 c.p.c. in quanto elude qualsivoglia verifica circa la “assoluta impossibilità” per l'assicuratore di prevedere, al momento della propria tempestiva costituzione, gli ulteriori e distinti pagamenti che potrebbero erodere il massimale.

L'ordinanza in commento merita, dunque, di essere accolta con prudenza e ciò a maggior ragione ove si consideri come la stessa rappresenti la prima pronuncia in cui la Corte ha esaminato più compiutamente l'eccezione di erosione del massimale (la questione, infatti, era stata sì affrontata in precedenza anche da Cass. civ., n. 27913/2021, ma in quel caso la prova documentale dell'erosione - già disponibile nel corso del giudizio di primo grado - era stata esibita dall'assicuratore solo in sede appello e ciò avrebbe determinato l'irrimediabile rigetto dell'impugnazione a prescindere dalla tempestività o meno dell'allegazione).

Restando in ambito sanitario, ci preme invero rilevare come lo schema di decreto ministeriale che dovrebbe attuare l'art. 10 l. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli) e che è stato sottoposto all'esame del Consiglio di Stato in data 13 maggio 2022 preveda, tra i requisiti minimi dell'assicurazione obbligatoria, la pattuizione tanto di un massimale per annualità quanto di un sotto-massimale per sinistro e ciò potrebbe risolvere - quantomeno in parte – le problematiche qui esaminate, atteso che la definizione di un singolo sinistro non potrebbe giammai esaurire di per sé l'intero massimale di polizza (salvo ovviamente il caso in cui l'assicuratore sia chiamato a dover gestire un numero talmente elevato di sinistri da rendere comunque incapiente il massimale pattuito per l'intera annualità).

Nondimeno, anche il sotto-massimale per sinistro potrebbe esso stesso esaurirsi in forza di plurimi pagamenti effettuati dall'assicuratore (si pensi, a mero titolo di esempio, all'ipotesi in cui – al paziente deceduto – sopravvivano numerosi congiunti, i quali reclamino il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale mediante separate iniziative stragiudiziali e/o giudiziali). Tant'è che in ambito RCA – per l'ipotesi in cui il sinistro abbia procurato un danno a più soggetti e l'assicuratore sia esposto (nel complesso) ad un esborso potenzialmente superiore al massimale di polizza - è stata da tempo introdotta una specifica regola (quella prevista dall'art. 27 l. n. 990/1969 poi confluito nell'art. 140 CAP) che impone all'impresa di farsi parte diligente per ricercare tutti i potenziali danneggiati al fine di poter opporre a ciascuno di essi il massimale e, per l'effetto, evitare di dover pagare in eccesso rispetto a tale limite contrattuale: in particolare, l'assicuratore convenuto in giudizio da uno solo dei danneggiati è gravato dell'onere di estendere il contradditorio nei confronti di tutti gli altri (teoricamente anche quelli che non hanno ancora manifestato espressamente la volontà di richiedere un risarcimento) e, pertanto, è tenuto a svolgere tale chiamata in causa nel termine previsto dall'art. 167 c.p.c.

Invero, non potremmo omettere di rilevare come l'art. 140 CAP, anche alla luce dell'aggiornamento periodico del massimale minimo di legge (così come previsto dall'art. 128 CAP), risulti oramai destinato ad operare in casi del tutto eccezionali; e ancora, bisogna tener conto del fatto che la norma è stata introdotta al prevalente fine di garantire la par condicio creditorum e cioè permettere a tutti i terzi danneggiati di soddisfarsi – sia pur parzialmente - sul massimale (il quale viene dunque ripartito in proporzione al pregiudizio patito da ciascuno dagli aventi diritto). Purtuttavia, non vi è dubbio che la disposizione (nella parte in cui impone di eccepire tempestivamente il massimale e di estendere il contradditorio a tutti i potenziali danneggiati) esclude a priori che l'assicuratore - di fronte al rischio di un superamento del massimale in corso di causa - possa assumere un atteggiamento “attendista” e, pertanto, costituisce un'indicazione legislativa piuttosto significativa ai fini di una corretta interpretazione della fattispecie qui esaminata (e ciò a maggior ragione ove si consideri che la disciplina dell'assicurazione obbligatoria della RC Sanitaria va progressivamente plasmandosi sul modello RC Auto, così come anche testimoniato dalla previsione dell'azione diretta in favore del terzo danneggiato).

Ad ogni modo, il rischio di esaurimento del massimale in corso di causa potrebbe concretizzarsi anche in altre tipologie di contenzioso (si pensi, a mero titolo di esempio, al giudizio di responsabilità dell'imprenditore verso terzi e/o verso i propri dipendenti) e, pertanto, costituisce una questione di rilievo generale che – anche in difetto di specifiche norme di legge (quale appunto l'art. 140 CAP) – ben potrà essere risolta ricorrendo ad un'adeguata interpretazione e applicazione dell'istituto della rimessione in termini (e, dunque, senza “sacrificare” la perentorietà del regime delle preclusioni).

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