La competenza del giudice ordinario per il canone unico patrimoniale
14 Ottobre 2022
Massima
La competenza a giudicare il contenzioso relativo a canone avente natura patrimoniale è affidata alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella del giudice tributario. Il caso
Il caso sottoposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Udine concerne l'avviso di accertamento esecutivo afferente all'annualità 2021, per il mancato pagamento del canone unico patrimoniale (CUP), emesso dalla Società Concessionaria dei servizi di accertamento e riscossione per il Comune di Tavagnacco, relativo alla pubblicità riguardante alcune vetrofanie presenti presso la sede della Società ricorrente. La ricorrente insta per l'annullamento dell'avviso di accertamento impugnato, con vittoria di spese, sostenendo che le vetrofanie oggetto dell'imposizione non si configurano come messaggio pubblicitario. Inoltre, nel caso de quo, si tratterebbe di un prelievo di natura patrimoniale, per il quale dovrebbero, pertanto utilizzarsi gli strumenti ordinari e non l'avviso di accertamento. La Concessionaria eccepisce in via preliminare il difetto di giurisdizione del Giudice tributario in favore di quello civile, in quanto la giurisdizione in materia di Canone Unico Patrimoniale afferisce esclusivamente all'autorità giudiziaria ordinaria, in quanto trattasi di imposizione avente natura patrimoniale e, dunque, al pari della COSAP (Canone di Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche) sulla quale già si è espressa la Corte costituzionale, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario. Sul punto anche la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che l'obbligo di pagamento di un canone per l'utilizzazione del suolo pubblico non ha natura tributaria, esulando dalla doverosità della prestazione e dal collegamento di questa alla pubblica spesa. La questione
Al fine di un'immediata comprensione della questione sottesa alla pronuncia in esame pare utile individuare i temi centrali. L'art. 1, commi da 816 a 847, L. 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020) ha previsto l'istituzione e la disciplina generale del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria che riunisce in una sola tipologia di prelievo quattro prelievi tributari (Tosap, Icp, Dpa, Cimp) e una prestazione patrimoniale (Cosap), nonché il canone di cui all'art. 27, commi 7 e 8, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada), limitatamente alle strade di pertinenza dei Comuni e delle Province. Il legislatore ha qualificato la nuova entrata come canone patrimoniale, con la conseguenza che - almeno in base al tenore letterale della disposizione - ad esso non dovrebbe riconoscersi natura tributaria bensì, appunto, patrimoniale. Il comma 847, infatti, abroga i Capi I e II D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (disciplina dell'imposta di pubblicità e di gestione delle pubbliche affissioni), gli articoli 62 e 63 D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (disciplina di Tosap e Cosap) e ogni altra disposizione in contrasto con le norme vigenti, eliminando la maggior parte delle entrate locali di natura tributaria e sostituendole con il canone unico. Nonostante la definizione unitaria del canone, esso si fonda, ai sensi dell'art. 1, comma 819, L. 160/2019 su due distinti presupposti: l'occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico, oppure la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati sia su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, sia su beni privati. Orbene se questi sono i presupposti occorre comprendere l'effettiva natura di tale nuovo canone, cioè se patrimoniale o tributario. Per una parte della dottrina tale canone avrebbe una chiara connotazione tributaria (C. PANNACCIULLI, La controversa natura del c.d. canone unico patrimoniale e assetto costituzionale dell'autonomia regolamentare e finanziaria degli Enti locali, in Federalismi, n. 24, 2021). Infatti con riferimento ai tributi sostituiti relativi alla pubblicità (Icp, Cimp e Dpa), si ravvisano degli elementi di analogia con il canone di esposizione pubblicitaria, in merito sia al presupposto oggettivo delle due diverse forme di entrata, costituito dalla diffusione di messaggi pubblicitari, sia all'obbligo di pagare il canone unico agli Enti locali in forza della legge e del regolamento locale (commi 816, 819, lett. a), 821 e 823), sia infine alla rilevanza economica del ridetto presupposto. Inoltre, il canone per la diffusione di pubblicità non è collegato ad un corrispettivo dovuto per l'occupazione di suolo pubblico al fine di utilizzarlo in via esclusiva, bensì ad una prestazione imposta dalla legge in quanto collegata all'esercizio di un'attività (la diffusione del messaggio pubblicitario) produttiva di ricchezza (ovvero economicamente rilevante), sia per coloro che la svolgono, sia per coloro che ne beneficiano sotto il profilo della promozione dell'immagine. La dottrina, sulla base di tali elementi, ritiene quindi che il canone con presupposto di diffusione pubblicitaria non ha come oggetto la controprestazione dell'uso di aree pubbliche. In secondo luogo, l'importo del nuovo canone, analogamente a quello delle imposte sostituite, non è determinato in funzione di un eventuale corrispettivo contrattuale tra il Comune e il soggetto che installa il mezzo pubblicitario, ma in base ad un provvedimento autoritativo dell'amministrazione locale avente ad oggetto la diffusione del messaggio e la durata della sua esposizione. La ravvisata natura tributaria del canone di cui al comma 819, lett. b), è ancor più evidente nel caso in cui l'installazione del mezzo pubblicitario sia posta su aree private. In tale caso, infatti, la stessa natura privata del bene sul quale avviene l'installazione esclude in radice la possibilità di configurare un nesso di corrispettività tra il canone dovuto a fini pubblicitari e l'uso del bene stesso. La questione inerente la natura del canone in esame ha interessato anche la giurisprudenza di legittimità, ivi comprese le Sezioni Unite (Cass. Civ., SS.UU., 07.01.2016, n.61). In primo luogo, i Giudici di legittimità hanno anche richiamato propri precedenti conformi arresti di legittimità. La Corte ha quindi rilevato che il D.lgs. n. 446/1997 ha attribuito alle Province ed ai Comuni la facoltà di prevedere, attraverso un apposito regolamento per l'occupazione di aree appartenenti al demanio ed al patrimonio indisponibile di tali enti locali, il pagamento di un canone determinato al momento della concessione, secondo una tariffa che avrebbe dovuto tenere conto, oltre che delle esigenze di bilancio anche del valore economico dell'area in disponibilità, in relazione al tipo di attività economica per il cui l'esercizio l'occupazione era concessa, del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all'uso pubblico, dell'aggravamento degli oneri di manutenzione derivante dall'occupazione del suolo e del sottosuolo. Il secondo comma dell'art. 63 D.lgs. n. 446/1997 prevedeva tra i criteri ai quali i regolamenti avrebbero dovuto ispirarsi per la determinazione dei canoni, anche l'equiparazione tra le occupazioni abusive e quelle risultanti da formali concessioni; nonché (art. 51, lett. a del medesimo D.lgs.) l'abolizione, con decorrenza dal 1° gennaio 1999, delle tasse per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II) del D.Lgs. 507/1993. I Giudici di legittimità hanno osservato che, ancor prima che l'abrogazione della TOSAP avesse efficacia, l'art. 31, comma 14, L. 23 dicembre 1998 n. 448, ha a sua volta abrogato l'art. 51 D.Lgs. n. 446/97 con il conseguente ripristino del precedente assetto normativo, anche ai fini della giurisdizione. Tale ragionamento ha condotto le Sezioni Unite a ritenere che il canone per l'occupazione di aree pubbliche – COSAP – deve essere considerato come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico dal tributo per la medesima occupazione (TOSAP) in quanto configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un'area o spazio pubblico (I. GENNARO, COSAP, la giurisdizione è del Giudice Ordinario, in Il Tributario, 09.02.2016). Nel richiamare propri precedenti arresti di legittimità, la Suprema Corte ha evidenziato che: “Costituisce principio ormai consolidato che la giurisdizione sulle relative controversie competa rispettivamente al giudice ordinario ed al giudice tributario, stante la possibile coesistenza dei due obblighi per effetto dell'art. 31, comma 20, della legge n. 448/1998 che, nel modificare il comma 1 dell'art. 63cit. stabilì che i Comuni possono', adottando appositi regolamenti, ‘escludere l'applicazione nel proprio territorio della TOSAP' e, in alternativa all'applicazione di tale tributo, ‘prevedere che l'occupazione, sia permanente che temporanea degli spazi e delle aree', sia assoggettata ad un canone di concessione (COSAP) determinato in base a tariffa”. Le Sezioni Unite Civili hanno quindi composto il conflitto sottoposto, dichiarato la giurisdizione del Giudice Ordinario. Tale decisione risulta avvalorata anche da una successiva pronuncia, sempre delle Sezioni Unite (Cass. Civ., SS.UU., 31.12.2018, n.33688), che afferma: “Atteso che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa al canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap), poiché l'obbligo del pagamento di un canone per l'utilizzazione di suolo pubblico non ha natura tributaria, esulando dalla doverosità della prestazione e dal collegamento di questa alla pubblica spesa (dopo che la corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della attribuzione alle commissioni tributarie della cognizione sulle controversie sul canone in questione), deve ritenersi che non possono che spettare alla giurisdizione del giudice ordinario anche le controversie relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che l'ente locale pretenda ulteriormente per la concessione di spazi e aree per la installazione di impianti pubblicitari. (Nella specie la controversia era, in particolare, relativa a una ulteriore prestazione patrimoniale definita dalle fonti regolamentari contributo di miglioria, relativa agli stessi impianti pubblicitari per i quali il contribuente aveva già corrisposto il canone previsto)”. Ecco quindi che la giurisprudenza, al contrario della dottrina, ha ritenuto che le controverse inerenti il canone siano di competenza del giudice civile e non di quello tributario. Ed in effetti, a ben vedere, se si volesse affermare che il canone unico avente ad oggetto la diffusione di messaggi pubblicitari abbia effettiva natura tributaria, il combinato disposto dei commi 817, 826 e 827 - nella parte correlata alle tariffe del canone di esposizione pubblicitaria - si porrebbero in contrasto sia con l'art. 52, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997 sia con l'art. 149, comma 3, TUEL, i quali escludono espressamente che la fonte regolamentare locale possa individuare e definire l'aliquota massima delle entrate tributarie degli enti territoriali, attribuendola invece alla competenza del legislatore. Poiché, d'altronde, la disciplina introduttiva del canone unico è di rango legislativo, i commi suindicati, nel porsi in antinomia con i citati artt. 52, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997 e 149, comma 3, TUEL, li abrogano tacitamente, in quanto fonti posteriori di pari grado. Tale abrogazione, espungendo dall'ordinamento la preventiva determinazione legislativa dell'aliquota massima del tributo locale viola il principio della riserva di legge in materia di autonomia finanziaria locale. In tal senso allora si potrebbe ammantare il canone di una doppia natura alla stregua del Giano bifronte. Dovendosi attribuire natura patrimoniale al canone di occupazione di suolo e natura tributaria a quello di diffusione del messaggio pubblicitario, risulta evidente che il combinato disposto dei commi 816, 819 e 847 dell'art. 1, L. n.160/2019 viola l'art. 25, comma 1, Cost. Sul piano della ragionevolezza e coerenza dell'uso della discrezionalità legislativa (art. 3, comma 1, Cost.), dalla rilevata natura tributaria del canone di diffusione pubblicitaria deriva, altresì, il contrasto dei commi 816, 819 e 823 con l'art. 53 Cost., in quanto dal loro combinato disposto risulta evidente sia l'incoerenza interna della struttura unica del canone rispetto alla disomogeneità del suo presupposto, sia la funzione distributiva implicitamente (e involontariamente) assegnata dal legislatore al canone di esposizione pubblicitaria, giuridicamente e logicamente incompatibile con una natura unica patrimoniale. Da un altro punto di vista, la natura tributaria di tale canone comporta che la possibilità per gli Enti locali di variare il gettito liberamente integri gli estremi di incostituzionalità della disposizione legislativa che consente tale variazione senza indicare un tetto massimo (commi 817, 826 e 827). L'illegittimità costituzionale scaturisce indirettamente dall'antinomia tra il combinato disposto dei suddetti commi e gli artt. 52, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997 e 149, co. 3, TUEL. Essendo fonti di pari grado, i loro rapporti operano sul piano della lex posterior, dunque secondo il criterio cronologico: pertanto, se il canone di esposizione pubblicitaria ha natura intrinsecamente impositiva e i citati artt. 52, comma 1 e 149, comma 3 attribuiscono al solo legislatore la disciplina degli elementi strutturali dei tributi locali (fattispecie imponibile, soggetti passivi e aliquota massima), la conseguenza è che i commi 817, 826 e 827, riconoscendo genericamente agli Enti locali di poter modificare le tariffe del canone senza indicazione di un limite massimo in ordine alla diffusione di messaggi pubblicitari, abrogano tacitamente le suindicate disposizioni legislative nella parte riguardante l'aliquota massima e violano contestualmente, e limitatamente a tale elemento essenziale del tributo, le disposizioni costituzionali che prevedono la previa intermediazione legislativa in ordine all'esercizio della potestà regolamentare locale (117, comma 6, 118, commi 1 e 2, 97, commi 2 e 3, Cost.), in generale, e in materia tributaria (artt. 23 e 119 Cost.), in particolare (C. PANNACCIULLI, Op. cit.).
La soluzione giuridica
Nell'esaminare il ricorso la CPT di Udine ha ritenuto di adeguarsi alla giurisprudenza di legittimità ed a quella di merito. Conseguentemente alla luce dell'acclarata natura patrimoniale dell'imposizione, l'attribuzione alla giurisdizione tributaria delle controversie relative a tale canone snaturerebbe, infatti, la materia originariamente assegnata alla cognizione del giudice tributario, traducendosi nell'istituzione di un “nuovo” giudice speciale, espressamente vietata dall'art. 102, comma 2, Cost.- Il giudicante ha quindi dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice tributario e compensato le spese in considerazione della novità della questione.
Osservazioni
Mediante la decisione oggetto del presente commento, la Commissione Tributaria Provinciale di Udine ha fatto buon governo e corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione. Mediante le modifiche normative apportate in materia, il legislatore ha abbandonato la configurazione tributaria del prelievo, di tal che il nuovo canone è attualmente modellato come un'entrata di natura patrimoniale, sostitutiva sia di canoni e tributi inerenti a occupazione di suolo pubblico ed esposizione pubblicitaria, sia di qualunque altro canone concessorio, ad eccezione di quelli relativi alla prestazione di servizi. La ratio complessiva della riforma è, invero, da individuarsi nella volontà di semplificazione dell'eccessivo numero di imposte minori. Da questo deriva, in definitiva, che il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria comprende non solo il prelievo dovuto per la diffusione del messaggio pubblicitario, ma anche quello riferito alle occupazioni delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico, con la conseguenza che la competenza a giudicare il contenzioso relativo a canone avente natura patrimoniale è affidata alla giurisdizione del giudice ordinario.
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