Le conseguenze dello sfratto convalidato in assenza del preventivo mutamento di rito

Vito Amendolagine
13 Ottobre 2022

La Corte d'Appello di Venezia esamina una fattispecie in cui si ribadisce, da un lato, che l'omesso mutamento del rito, in sede di opposizione alla convalida di sfratto, determina la possibilità per la parte che abbia proposto ritualmente appello avverso detta ordinanza, di chiedere la rimessione in termini per lo svolgimento delle proprie difese (nel contempo precisando che tale fattispecie esula da quelle in cui opera la remissione della causa al giudice di primo grado) e, dall'altro, che, in linea di principio, il gravame avverso l'anzidetta ordinanza di convalida è ammissibile anche nell'eventualità in cui l'intimato-appellante dinanzi al giudice di prime cure abbia formulato istanza di concessione del termine di grazia per sanare la morosità.
Massima

L'ordinanza con la quale il giudice di primo grado convalida l'intimato sfratto per morosità malgrado l'opposizione dell'intimato, senza avere preventivamente disposto il mutamento del rito, assume natura di sentenza e, pertanto, è appellabile, restando così esclusa la remissione della causa al giudice di primo grado, sussistendo l'obbligo del giudice di appello di decidere la causa nel merito, con la correlata facoltà dell'intimato di completare la propria attività difensiva, previa istanza di rimessione in termini.

Il caso

I comproprietari di un immobile intimano lo sfratto per morosità al conduttore di un'immobile, agendo per la convalida e la pronuncia del decreto ingiuntivo per i canoni scaduti ed a scadere fino al rilascio, interessi e spese.

L'intimato si oppone alla convalida, chiedendo il termine di grazia per le somme ancora dovute, ragione per cui sebbene prima dell'udienza fissata per la verifica l'intimato aveva rilasciato l'immobile, l'intimante dichiara che persiste la morosità con la conseguente convalida disposta dal giudice.

Avverso l'ordinanza, con la quale il Tribunale - preso atto dell'avvenuto rilascio - convalida lo sfratto, pronuncia il decreto ingiuntivo e condanna il conduttore al pagamento delle spese processuali, viene proposto appello, in cui si censura l'erroneità della pronuncia di convalida di sfratto, finalizzata per sua natura ad ottenere il rilascio dell'immobile, quando lo stesso era già stato restituito in corso di causa, con la conseguenza che a parere dell'appellante avrebbe dovuto essere dichiarata cessata la materia del contendere.

La questione

Il caso esaminato dalla Corte lagunare ha per oggetto il quesito se in un procedimento di sfratto per morosità a fronte dell'opposizione, il giudice di primo grado debba convalidare l'intimato sfratto oppure disporre il mutamento di rito e decidere la causa, pronunciandosi con sentenza in merito alla domanda di pagamento dei canoni scaduti ed alla conseguente risoluzione del contratto.

La soluzione giuridica

L' ordinanza del giudice di prime cure è stata confermata perché la Corte d'Appello, riesaminato il merito, dopo avere premesso la condivisibilità dell'assunto dell'appellante - secondo il quale, a fronte dell' opposizione alla convalida, il giudice di primo grado avrebbe dovuto disporre il mutamento di rito - osserva, però, che la violazione di legge così come prospettata, non possa comunque annoverarsi tra le cause che, secondo il disposto di cui all'art. 354 c.c., impongono la rimessione al giudice di primo grado, reputando invece fondate tanto la domanda di risoluzione quando la domanda volta ad ottenere il pagamento dei canoni insoluti, attesa l'assenza di contestazione su tali punti da parte dell'appellante-intimato il quale non ha contestato di non avere sanato la morosità.

Osservazioni

La quaestio esaminata dai giudici veneziani attiene ad una fattispecie in cui da un lato la convalida di sfratto costituisce una pronuncia risolutoria del contratto di locazione, ritenuta condivisibile, attesa la perdurante morosità del conduttore, e dall'altro che proprio per tale motivo, il rilascio dell'immobile, due giorni prima dell'udienza fissata per la verifica della sanatoria della morosità, non può condurre alla declaratoria della cessazione della materia del contendere, come preteso dall' appellante-intimato.

Il caso scrutinato nella pronuncia in commento trova un valido precedente nella soluzione fornita dai giudici di legittimità, in occasione di una questione analoga riferita all'ordinanza di convalida dello sfratto emessa in difetto dei presupposti di cui all'art. 663 c.p.c., ponendosi anche in questa particolare ipotesi il dilemma se la corte d'appello debba rimettere le parti innanzi al giudice di primo grado oppure decidere nel merito l'insorta controversia.

In tale precedente giurisprudenziale - opportunamente richiamato nella stessa decisione che qui si annota - il ricorrente, a sostegno della prima opzione, aveva dedotto che la pronuncia dell'erronea ordinanza convalida dello sfratto lo avrebbe privato delle facoltà di difesa che egli avrebbe potuto invece esercitare in caso di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. poiché il Tribunale aveva omesso di considerare che il conduttore si era opposto alla convalida.

I giudici di legittimità, anche in tale occasione, erano quindi pervenuti alla conclusione che avverso un provvedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione o per morosità emesso in carenza dei presupposti di legge, l'impugnazione deve essere proposta con l'appello, assumendo l'ordinanza natura decisoria e contenuto sostanziale di sentenza (Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2010, n. 12979; Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14720; Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2000, n. 560).

Ciò in quanto la rimessione della causa al giudice di primo grado è consentita solamente nelle ipotesi tassative previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c. di fatto non ricorrenti nella fattispecie qui considerata.

E' allora evidente che l'appellante-intimato, semmai, come pure è stato sottolineato nella motivazione resa dal Collegio, avrebbe potuto richiedere al giudice d'appello di essere rimesso nei termini per espletare l'attività difensiva che gli era stata impedita in primo grado per via dell'errore che aveva condotto all'emissione diretta - senza disporre il preventivo mutamento del rito - del provvedimento appellato.

Tale principio è stato affermato da Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2017, n. 14625 - opportunamente richiamata nella decisione in commento - in cui si è affermato che, nell'atto di appello l'intimato può chiedere di essere rimesso nei termini per espletare l'attività difensiva che gli è stata impedita in primo grado, fermo restando che il giudice del gravame decide la controversia nel merito, giacchè l'omissione del mutamento di rito da parte del giudice di prime cure non integra alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 c.p.c., per la rimessione della causa al primo giudice.

A ben vedere, un'ulteriore applicazione del suddetto principio si rinviene anche nell'ipotesi di omesso mutamento di rito da ordinario in speciale previsto dall'art. 447-bis c.p.c. per le controversie locatizie che, non può essere ritenuto rilevante laddove l'errore non abbia causato un concreto pregiudizio alle parti riguardo al regime delle prove ed all'effettivo esercizio del diritto di difesa (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2006, n.1222).

Ma anche tale ipotesi deve ritenersi esclusa nella fattispecie scrutinata dai giudici veneziani nella sentenza che si annota, proprio per effetto dell'intervenuto rilascio dell'immobile da parte del conduttore, il quale, per l'effetto, si è limitato a chiedere la cessazione della materia del contendere e non la prosecuzione del giudizio in punto di merito al fine di verificare l'esistenza dei presupposti legittimanti la pronuncia di convalida per morosità e dunque, l'inadempimento contrattuale.

In tale ottica, è opportuno precisare che nell'opposizione alla convalida di sfratto la necessità del mutamento di rito è determinata dalla possibilità di iniziare la fase di cognizione piena in cui occorre valutare l'assetto processuale e l'interesse astratto ad agire delle parti che andrà esaminato secondo gli ordinari criteri, avuto riguardo alle contrapposte domande formulate dalle stesse parti costituite.

Del resto, non va sottaciuto come è lo stesso locatore che ha introdotto il procedimento con rito sommario, ad avere interesse a coltivare la domanda, ove intenda ottenere l'accertamento nel merito dell'inadempimento del conduttore, onde ottenere una sentenza che statuisca sull'intervenuta risoluzione per accertata morosità del conduttore e pronunci anche in ordine alle spese di lite.

Di contro, anche alla parte opponente tale interesse può riconoscersi ove quest'ultima a propria volta abbia concretamente manifestato un interesse ad opporsi alla convalida di sfratto, magari instando una domanda riconvenzionale ad hoc con la quale lamenta un rilevante inadempimento del locatore idoneo a paralizzare in tutto od in parte la pretesa di quest'ultimo al pagamento dei canoni, di talché soltanto in detta ipotesi potrebbe ritenersi sussistente un effettivo ed autonomo interesse dell'intimato alla prosecuzione del giudizio nella fase di merito - e, dunque, con specifico riferimento a tale fase del processo - all'avveramento della condizione di procedibilità posta dall'osservanza dell'art. 5, comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010 che nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, come è noto, non opera fino a quando non intervenga il mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c. disposto dal giudice adito (Trib. Verbania 22 luglio 2021).

Nella pronuncia in commento invece, neppure ricorre tale ulteriore circostanza avendo l'intimato eseguito spontaneamente il rilascio dell'immobile due giorni prima dell'udienza fissata per la verifica della sanatoria della morosità e non essendo dunque stata emessa alcuna ordinanza provvisoria di rilascio ex art 665 c.p.c. - la quale di per sé considerata - avrebbe potuto fare sorgere anche in capo all'opponente l'interesse a coltivare il giudizio a cognizione piena, al fine di pervenire ad una pronuncia di accoglimento dell'opposizione, al fine di travolgere nel merito il provvedimento interinale emanato dal giudice al termine della fase sommaria (Trib. Massa 19 gennaio 2018).

In realtà, è persino legittimo dubitare che l'intimato-appellante abbia effettivamente proposto opposizione alla convalida di sfratto, in quanto tale volontà appare nettamente contrastata dalla stessa richiesta di concessione del termine di grazia per le somme dovute a titolo di canoni di locazione in relazione alle quali, il conduttore aveva infatti documentato unicamente un loro pagamento parziale, così di fatto ammettendo la legittimità della richiesta formulata in tale senso dal locatore (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6636; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2002, n. 11704; Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 1996, n. 270, secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del termine di grazia, manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida).

Diversamente argomentando, al fine di contrastare la pretesa del locatore l'appellante-intimato avrebbe invece dovuto chiedere al giudice adito il mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. che di fatto “apre” il giudizio di merito e che in tale fase segna di fatto anche l'operatività del procedimento di mediazione obbligatoria; In senso conforme della giurisprudenza di merito, v. Trib. Nola 12 febbraio 2008; contra Trib. Patti 24 luglio 2008).

Le pur brevi considerazioni che precedono fanno sì che la stessa appellabilità dell'ordinanza de qua da parte dell'intimato appare allora alquanto dubbia, atteso che qualora il conduttore, cui sia stato intimato lo sfratto ai sensi dell'art. 658 c.p.c., pur contestando la morosità, abbia chiesto ed ottenuto un termine di grazia per la sanatoria, il mancato pagamento da parte sua del dovuto nel termine assegnatogli dal giudice, legittima da parte di quest'ultimo l'emissione dell'ordinanza di convalida dello sfratto che, in quanto correttamente emessa, non dovrebbe ritenersi suscettibile di impugnazione mediante appello (Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1996, n. 7289).

Guida all'approfondimento

Carrato, Riflessioni sparse intorno alle conseguenze derivanti dall'omesso mutamento del rito e sulle condizioni di appellabilità dell'ordinanza di convalida in Rass. loc. e cond., 2000, 599;

Carrato, Opposizione alla convalida e contestuale richiesta del termine di grazia, in Rass. loc. e cond., 1997, 322;

Masoni, Opposizione alla convalida di sfratto e contestuale richiesta di termine di grazia, in Giust. civ., 2009, I, 2395;

Masoni, Il processo, in Grasselli - Masoni, Le locazioni, II, Padova, 2007, 398;

Arena, La decadenza dalla sanatoria della morosità nell'opposizione alla convalida di sfratto, in Rass. loc. e cond., 1996, 18;

Porreca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino 2006, 164;

Di Marzio, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano 1998, 299;

Bucci - Crescenzi, Il procedimento per convalida di sfratto, Padova, 1990, 202.

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