La mancata risposta al questionario del Fisco condiziona l'esito del processo

31 Ottobre 2022

Una recente sentenza della CTR Lombardia illustra le conseguenze processuali della mancata risposta, da parte del contribuente, all'invito dell'Amministrazione finanziaria a fornire dati, notizie e chiarimenti.
Massima

La mancata risposta da parte del contribuente al questionario inviatogli dall'Amministrazione finanziaria è espressamente sanzionata con la preclusione in sede amministrativa e processuale di successiva allegazione dei dati e dei documenti richiesti, a meno che il contribuente non dimostri di non averli potuti produrre prima per causa a lui non imputabile. Ciò in ossequio ai canoni comportamentali, codificati nella legge generale sul procedimento amministrativo, secondo cui “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.

Il caso

Nel corso di indagini afferenti al Percorso di Ricerca di Immobili all'Estero (c.d. PRIME), emergevano elementi tratti dal Registro Immobiliare attestanti il possesso da parte di una contribuente, attraverso la partecipazione in una società statunitense, di un immobile ubicato in Florida. L'Agenzia delle Entrate, con invito, le comunicava di aver dato corso, relativamente agli anni d'imposta dal 2012 al 2016, alla verifica circa la correttezza degli adempimenti dichiarativi inerenti la detenzione all'estero di investimenti e le attività di natura fiscale e patrimoniale, ai fini del rispetto della disciplina in tema di monitoraggio fiscale e l'assolvimento degli eventuali versamenti dovuti, anche a fini IVIE (imposta sul valore degli immobili siti all'estero).

Nell'atto l'Ufficio richiamava le previsioni dell'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e le conseguenze derivanti in caso di omessa risposta al questionario. Constatata successivamente l'inerzia della contribuente, l'Amministrazione procedeva alla determinazione del reddito sulla base delle informazioni acquisite, accertava l'omessa compilazione del quadro RW per gli anni in questione e, rilevata la mancata risposta all'invito, recuperava la maggiore imposta con contestuale irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione.

La contribuente proponeva ricorso che veniva accolto dai giudici di prime cure i quali ritenevano che la documentazione allegata all'atto introduttivo del giudizio (redatta in lingua inglese, con relativa traduzione asseverata, inerente l'atto di cessione della partecipazione, unitamente al dettaglio del trasferimento e dei certificati ceduti) dimostrasse come la contribuente avesse detenuto, per un breve periodo, solo una quota di partecipazione della società estera proprietaria dell'immobile, e che, di conseguenza, non era tenuta a compilare il quadro RW nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni successivi.

L'Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza sfavorevole evidenziando come il primo Giudice fosse incorso in palese violazione del citato art. 32 il quale espressamente prevede che “le notizie, e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa”; pertanto, tutta la documentazione prodotta dalla contribuente durante il contenzioso non poteva essere più considerata utilizzabile in conseguenza della mancata risposta al questionario per causa ad essa non imputabile.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

I giudici di secondo grado decidono di ribaltare l'esito della controversia a favore della parte pubblica appellante in linea con le interpretazioni date sul punto dalla Suprema Corte (inter alias, Sez. V, Ord., 06/06/2018, n. 14605) la quale in materia insegna che “in tema di accertamento fiscale, l'invito da parte dell'Amministrazione finanziaria, previsto dall'art. 32, comma 4 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare, in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra fisco e contribuente, per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l'instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l'omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa.

Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all'inottemperanza all'invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado di giudizio.

II contribuente può conseguire una deroga all'inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 32, comma 5 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, avvalendosi della deroga prevista da detta disposizione depositando in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio, dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile”.

Il Collegio, aderendo a tale orientamento giurisprudenziale, evidenzia come nel caso di specie non vi fosse alcuna causa esimente allegata dalla parte che giustificasse la mancata risposta se non l'assunto della genericità della richiesta da parte dell'Ufficio poiché non riferita espressamente al possesso della partecipazione estera; genericità smentita dai giudici di seconde cure, i quali, al contrario, rilevavano come la stessa fosse dettagliata indicando, in particolare, “partecipazioni detenute in società estere” con“ percentuale di possesso”, invitando la contribuente a specificare anche “eventuali…cessioni di partecipazioni”. Emergeva, quindi, concludevano gli interpreti, la violazione di canoni comportamentali da ultimo anche codificati nella legge generale sul procedimento amministrativo, ove è testualmente dato leggere che “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (art. 1, comma 2-bis, l. 241/90).

Osservazioni

Questionario al curatore fallimentare

La Corte di Cassazione (Sez. V, ord n. 2847 del 31 gennaio 2022) ha precisato che la richiesta ex art. 32 può essere legittimamente indirizzata dall'Amministrazione finanziaria anche al curatore, detentore della contabilità dell'impresa dichiarata fallita per finalità connesse alla propria carica, il quale è tenuto a rispondere agli inviti indipendentemente dal fatto di essere soggetto tenuto all'adempimento degli obblighi tributari del fallito. I giudici di legittimità sono giunti a tale conclusione osservando come in ambito concorsuale l'art. 86, primo comma, lett. c) l. fall. prevede che al curatore vadano consegnate «le scritture contabili e ogni altra documentazione dal medesimo richiesta o acquisita se non ancora depositate in cancelleria». Nello stesso senso depone anche l'art. 198, comma 2, d. lgs. n. 14/2019, secondo cui, ove il debitore non provveda al deposito del bilancio dell'ultimo esercizio «in mancanza, alla redazione provvede il curatore», così come il curatore apporta le rettifiche necessarie al bilancio presentato dal debitore. Ulteriormente significativo per la S.C. l'art. 130, comma 4, d. lgs. n. 14/2019, secondo cui alla relazione del curatore, da depositare entro sessanta giorni dalla chiusura dello stato passivo, va allegato «il bilancio dell'ultimo esercizio formato ai sensi dell'articolo 198, comma 2, nonché il rendiconto di gestione di cui all'articolo 2487-bis del codice civile, evidenziando le rettifiche apportate». Dal complesso di tali disposizioni la S.C. ha dedotto che l'acquisizione da parte del curatore della contabilità dell'impresa dichiarata fallita abbia la finalità di procedere alla ricostruzione dell'attività gestoria, nell'ambito delle funzioni proprie attribuite al curatore, alla quale è strumentale anche la redazione del bilancio dell'ultimo esercizio (che il curatore predispone in via succedanea dell'imprenditore) e la predisposizione delle rettifiche al bilancio predisposto dall'imprenditore.

La tardiva risposta al questionario.

Un contribuente (odontoiatra) invoca in giudizio l'esimente di cui al quinto comma del più volte citato articolo 32 sostenendo che la tardiva risposta al questionario (oltre i 15 giorni) fosse da imputare al commercialista che deteneva le scritture contabili, e la cui produzione all'Ufficio era particolarmente difficoltosa in quanto la stessa non rinveniva i documenti richiesti e solo dopo alcuni mesi venivano esibiti registri contabili senza i documenti giustificativi dei costi. La Ctr Lombardia (sent. n. 4802 del 30 dicembre 2021) negava l'esimente invocata non potendo essere qualificata come una causa di “forza maggiore”, ma quale trascuratezza ed inefficienza direttamente imputabile al contribuente, anche se riferita al commercialista.

L'errore colposo, non scusabile, secondo la S.C.

È noto che il divieto di utilizzare, sia in sede amministrativa sia in sede contenziosa, i documenti richiesti dagli operanti, ma non esibiti durante la verifica fiscale - divieto stabilito dall'art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dall'art. 52 d.P.R. n. 633/1972 - scatta non solo nell'ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell'esibizione, ma anche nei casi in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all'ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative ecc.) e, quindi, per colpa (Cass. 12.4.2017, n. 9487; 6.5.2013, n. 10448; 14.10.2009, n. 21768; 26.3.2009, n. 7269). Secondo altro orientamento giurisprudenziale è, invece, irrilevante, ai fini dell'operare del divieto, il mancato possesso dei documenti imputabile a caso fortuito, forza maggiore o anche negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile (Cass. 31.10.2018, n. 27885; 8.3.2017, n. 5914). La norma in questione, infatti, ha carattere eccezionale e deve perciò essere interpretata alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti (Cass. 1.8.2019, n. 20731; 11.4.2014, n. 8539). Pertanto, il divieto si applica quando il contribuente abbia tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque, capace di far fondatamente dubitare della genuinità di documenti che affiorino soltanto in seguito (Cass. 14.7.2010, n. 16536).

L'obbligo del questionario.

In tema di accertamento sintetico, l'omesso invio del questionario di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 al fine di acquisire dati, notizie e chiarimenti, non invalida l'atto impositivo, trattandosi di una facoltà discrezionale dell'Amministrazione finanziaria, avente lo scopo di assicurare un dialogo tra fisco e contribuente per evitare l'instaurazione di un contenzioso giudiziario (Cass., sez. 5, 3/10/2018, n. 27851).

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