Nozione di attività economica effettiva della holding verso le filiali ed indetraibilità dell'Iva per i servizi a queste conferiti

04 Novembre 2022

La Corte di Giustizia UE si è pronunciata sui limiti alle detrazioni IVA da parte di una holding per prestazioni di servizi imponibili a favore di sue filiali.
Massima

Una società holding, che effettua gratuitamente prestazioni di servizi imponibili a valle a favore di sue filiali, come contropartita di contributi di socio in natura al fine di ottenere da queste una partecipazione agli utili, da un lato è qualificabile quale soggetto passivo ai fini IVA, dall'altro non può però godere della detrazione totale dell'imposta versata a monte nella misura in cui è assente, nella dinamica della propria attività economica d'impresa, quel nesso diretto ed immediato con le operazioni poste in essere quale holding, fungendo questa solo da “tramite” con le attività perlopiù esenti delle società controllate e non rientrando vieppiù dette prestazioni negli elementi di costo generali dell'attività economica propria della holding medesima.

Il caso

La vicenda ha ad oggetto una holding attiva nelle operazioni di acquisto, gestione e recupero di beni immobili, oltre che progettazione, risanamento e realizzazione di progetti edilizi, avente partecipazioni in due società esercenti attività di costruzione di beni immobili e di vendita di alloggi, in regime perlopiù di esenzione da IVA.

Con separati contratti la holding effettuava verso le proprie controllate sia prestazioni a titolo oneroso sia, separatamente ed a titolo gratuito quali conferimenti di socio, prestazioni di architetto, di calcoli relativi alla statica, di progettazione dell'isolamento termico e acustico, di approvvigionamento energetico nonché di collegamenti alle reti, di allestimento e commercializzazione (fornite in parte con il proprio personale o con il proprio materiale ed in parte acquistando beni e servizi presso altre imprese).

L'erario tedesco riteneva i contributi di socio della holding quali attività non imponibili e prive di nesso con la sua attività commerciale con conseguente indetraibilità dell'IVA mentre il giudice del rinvio sosteneva il contrario sulla base della giurisprudenza della Corte che riconosce la detrazione anche in assenza di un nesso immediato e diretto, qualora i costi facciano parte degli elementi di costo generali di tale soggetto passivo e sono, in quanto tali, elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce, evidenziando al contempo la criticità della detrazione a monte per operazioni esenti a valle.

Con l'ordinanza di rinvio il giudice comune ha interpellato la Corte su due questioni.

Con la prima ha chiesto se, in materia di diritto a detrazione dell'iva, gli articoli 167 e 168, lettera a), della Direttiva IVA 2006/112, dovessero essere interpretati nel senso che una holding di gestione (statica), che effettua prestazioni di servizi imponibili a valle a favore di società controllate e che costituivano un contributo di socio in natura, avesse o meno il diritto di detrarre l'imposta gravante a monte sulle prestazioni che essa acquistava in parte da terzi e che conferiva gratuitamente alle società figlie in cambio della concessione di una partecipazione agli utili generali, qualora le prestazioni a monte: i) non presentavano un nesso diretto e immediato con le operazioni proprie della holding, bensì con le attività per la maggior parte esenti delle controllate; ii) non rientravano nel prezzo delle operazioni imponibili realizzate a favore delle società controllate; iii) non facevano parte neanche delle spese generali dell'attività economica propria della holding.

Con la seconda questione pregiudiziale, pregevolmente argomentata dall'avvocato generale Pitruzzella e sulla quale la Corte non ha fornito risposta data la decisione di rigetto del diritto a detrazione, il giudice del rinvio chiedeva se costituiva o meno un abuso del diritto la circostanza che una holding di gestione intervenisse nella catena di approvvigionamento di prestazioni di società controllate in modo tale da acquistare essa stessa tali prestazioni (che in caso di acquisto diretto da queste ultime non avrebbero generato alcun diritto a detrazione), per poi conferirle alle sue filiali in cambio di una partecipazione agli utili delle stesse, ciò con il fine essenziale di ottenere il vantaggio sia fiscale (detrazione totale d'imposta) sia concorrenziale per le strutture holding rispetto ad imprese con un solo livello.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

La Corte UE ricorda, preliminarmente, che il sistema IVA è basato sulla detrazione al fine di esonerare integralmente l'imprenditore dall'imposta dovuta o assolta nell'ambito di tutte le sue attività economiche, garantendo il sistema, in questo modo, la perfetta neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all'IVA, al fine di gravare unicamente, quale imposta di consumo, solo sul consumatore finale (v. tra i tanti Marle Participations, C‑320/17, p. 25 e MVM, C‑28/16, p. 27).

Perché vi sia detrazione ai sensi dell'art. 168 della Direttiva 2006/112 occorre, però, la duplice condizione che l'interessato sia un soggetto passivo così qualificabile ai sensi dell'art. 9 della Direttiva 2006/112 e che utilizzi i beni e i servizi acquistati direttamente ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta.

Quanto alla prima condizione la direttiva considera soggetto passivo chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”, la quale comprende tutte le attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, e, più in particolare, le operazioni comportanti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.

Tale attività economica è assente nelle c.d. “holding pure” (di mera gestione) le cui attività si limitano all'acquisto ed alla detenzione di quote di società nonché all'esercizio dei relativi diritti di azionista, caratterizzando quelle, al contrario, il fine delle c.d. “holding miste”, le quali svolgono altresì proprie attività di produzione e/o di scambio di beni e servizi.

Come ci ricorda l'avvocato generale nella vicenda odierna (v. punto 3 delle conclusioni in C-98/21), l'inquadramento del corretto regime giuridico applicabile alla holding per l'attività svolta, in assenza di disposizioni specifiche in materia nella normativa unionale IVA, è da sempre affidata all'opera di modellamento della Corte UE, ciò condivisibilmente “a causa della molteplicità e complessità delle situazioni fattuali che si presentano nella prassi e delle difficoltà che si incontrano nel ricondurle ad un sistema unitario”.

La struttura stessa delle holding richiede, al riguardo, un'analisi analitica caso per caso che possa consentire tanto di escludere lo svolgimento di un'effettiva attività economica perché magari esercitata (v. Circ. 30 marzo 2016, n. 6/E) sulla base di una struttura organizzativa “leggera” (ad es. il personale, i locali e le attrezzature potrebbero risultare messe a disposizione da società domiciliatarie, o assenza di autonomia decisionale se non dal punto di vista formale) quanto di includerla in tutti quei casi in cui la holding esprime effettivamente un'interferenza nella gestione della sua controllata”.

La casistica individuata dalla Corte UE nella sua giurisprudenza, intesa ad attrarre nella holding mista tutte le operazioni che configurano un'attività economica ai sensi della direttiva IVA, pacificamente integrata dalla prestazione anche di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici, non costituisce però un elenco esaustivo, necessitando quindi volta per volta una verifica in tal senso (v. sentenze Floridienne e Berginvest, C‑142/99, punto 19; Cibo Participations, C‑16/00, punto 22; Portugal Telecom, C‑496/11, punto 34, nonché Marle Participations, C‑320/17, punti 31 e 32; nonché le argomentazioni contenute nella Comunicazione della Commissione Europea del 10 dicembre 2007 COM (2007)785 definitivo).

Sono interessanti al riguardo le riflessioni dell'avvocato generale Christine Stix-Hackl al par. 17 delle sue conclusioni nella causa Cibo Participations, C‑16/00, in cui dà conto del fatto che “non può essere compito della Corte quello di citare in modo esaustivo tutte le immaginabili attività (economiche) che in linea di principio possano ricadere nell'ambito dell'art. 2 o 4, n. 2, della sesta direttiva. È, al contrario, compito del giudice nazionale verificare se i criteri fissati dalla Corte possano trovare applicazione nelle concrete fattispecie della lite davanti ad esso pendente”.

Per quel che riguarda “il mero acquisto e la mera cessione di partecipazioni societarie”, finalizzati alla semplice riscossione passiva di eventuali dividendi piuttosto che plusvalenze in seguito alla loro cessione, risultanti da una attività statica di proprietà del bene, è giurisprudenza costante della Corte UE che queste non costituiscono, di per sé, attività economiche ai sensi della direttiva IVA, tali da poter conferire all'interessato che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo, dal momento che non costituiscono il corrispettivo di nessuna attività economica ai sensi della direttiva IVA e non comportano alcuno sfruttamento di un bene al fine di trarne introiti che abbiano carattere stabile, con conseguente esclusione del diritto a detrazione (v. tra i tanti sentenze Polysar Investments Netherlands BV, C-60/90, punti 13 e ss., nonché Sofitam SA, C-333/91, punto 12).

Discorso diverso per le holding miste, la cui partecipazione nella controllata, essendo accompagnata da un'interferenza diretta o indiretta nella gestione di tale società, costituisce un'attività economica ai sensi dell'art. 9, par. 1, della Direttiva 2006/112, nella misura in cui abbia ad oggetto ed implichi il compimento di operazioni soggette all'IVA per l'art. 2 di tale direttiva, tra le quali, come detto sopra, rientrano (in via non esaustiva) le prestazioni di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici (v. tra i tanti Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt, C‑108/14 e C‑109/14, punti 20 e 21 nonché giurisprudenza ivi citata; Marle Participations, C‑320/17, punti 31 e 32; Sonaecom, C‑42/19, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

Sulla base di tali argomentazioni nonché della circostanza che la holding forniva alle controllate, a titolo oneroso, prestazioni di contabilità e di gestione soggette all'IVA (si trattava di servizi attinenti all'assunzione ed al licenziamento del personale, all'acquisto di materiale, all'elaborazione delle scritture contabili e delle dichiarazioni fiscali), la Corte in C-98/21 ha ritenuto che la capogruppo esercitasse un'attività economica quale soggetto passivo, ricorrendo così la prima condizione per poter beneficiare di un diritto a detrazione.

Quanto alla seconda condizione dello svolgimento di un'effettiva attività economica al fine del diritto a detrazione, per l'art. 168 della Direttiva IVA è richiesta o l'esistenza di un nesso diretto ed immediato tra le operazioni passive a monte e l'attività economica del soggetto IVA (effettiva inerenza delle operazioni rispetto all'impresa) o, in alternativa, che i costi dei beni e servizi acquistati facciano parte delle “spese generali” del soggetto passivo, necessitando in entrambi i casi che “il costo delle prestazioni a monte sia incorporato rispettivamente nel prezzo delle operazioni specifiche a valle o nel prezzo dei beni o dei servizi forniti dal soggetto passivo nel contesto delle sue attività economiche”.

Tale nesso viene interrotto nei casi in cui i beni o i servizi acquistati da un soggetto passivo si riferiscano ad operazioni esenti o non rientrino nell'ambito di applicazione dell'IVA, ciò che esclude la riscossione dell'IVA a valle e la detrazione della stessa a monte.

Nei suoi numerosi interventi circa il rapporto tra holding e detrazione IVA, la Corte ha altresì argomentato sulla necessità di valutare la presenza o meno del nesso tra operazioni alla luce del contenuto oggettivo delle medesime, verificando tutte le circostanze in presenza delle quali si sono svolte le operazioni e dando rilievo solo a quelle “oggettivamente connesse all'attività imponibile del soggetto passivo” prestando altresì attenzione “all'uso effettivo dei beni e dei servizi acquistati” dal soggetto passivo nonché alla causa esclusiva dell'operazione quale “criterio di determinazione del suo contenuto oggettivo”.

Così, ad esempio, quanto alle imprevedibili sfumature che possono colorare le “forme di interferenza” nella gestione di società controllate, la Corte UE, nella causa Cibo Participations, C‑16/00, ha evidenziato che, quanto alla detrazione IVA per prestazioni di servizi (verifiche contabili di società, un intervento nell'ambito della negoziazione del prezzo di acquisto delle azioni, organizzazione dell'assunzione di controllo delle società ed un intervento in materia giuridica e fiscale) fatturati alla Cibo in qualità di holding mista da soggetti terzi nell'ambito delle operazioni di assunzione di partecipazioni nelle sue controllate, tali spese sostenute per i vari servizi da essa acquistati nell'ambito di un'assunzione di partecipazione in una controllata fanno parte delle sue spese generali e presentano quindi, in via di principio, un nesso immediato e diretto con il complesso della sua attività economica.

Lì la Corte ribadiva che, se da un lato non esiste un nesso immediato e diretto tra i diversi servizi acquistati da una holding nell'ambito di un'assunzione di partecipazione in una controllata ed una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione (dato che l'IVA pagata non grava direttamente sugli elementi costitutivi del prezzo delle sue operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione), dall'altro detti costi potevano rientrare nelle spese generali del soggetto passivo in quanto elementi costitutivi del prezzo dei prodotti di un'impresa, esprimendo (i servizi) un nesso immediato e diretto con il complesso dell'attività economica del soggetto IVA (v. anche sentenze C-4/94, BLP Group, punto 25; C-98/98, Midland Bank, punto 31, e C-408/98, Abbey National, punti 35 e 36).

Seguendo il medesimo percorso logico la Corte, nelle cause riunite Larentia + Minerva e Marenave Schiffahrt, C‑108/14 e C‑109/14, ha concluso per il diritto a detrazione spettante ad una “holding gestoria” sia nel caso in cui questa aveva acquisito presso un terzo capitali utilizzati per finanziare le sue partecipazioni nelle controllate al fine di fornire alle filiali prestazioni di servizi amministrativi e commerciali a titolo oneroso, sia nel caso di aumento del proprio capitale mediante emissione di azioni, con conseguente esborso di IVA, al fine di acquisire delle quote in “compagnie di navigazione in accomandita”, partecipando alla loro gestione dietro compenso.

Condivisibilmente, richiamando anche le conclusioni dell'avvocato generale in quella causa (par. 39 e ss.), concludeva nel senso che le spese connesse all'acquisizione di partecipazioni nelle sue controllate, sostenute da una società holding che partecipa alla loro gestione e che, a detto titolo, esercita un'attività economica, devono essere considerate come rientranti nelle sue spese generali e l'IVA assolta su tali spese deve essere oggetto di detrazione integrale”.

Il percorso logico argomentativo non sarebbe del resto differente, se la società acquirente dei beni/servizi non fosse una holding ed avesse ad oggetto l'acquisto della totalità delle azioni di una società concorrente (società obiettivo), con l'intenzione di intervenire effettivamente nella gestione di quest'ultima fornendole prestazioni di servizi di gestione assoggettate all'IVA.

È questo il caso analizzato nella causa Ryanair Ltd, in C-249/17, in cui la compagnia aerea lanciava un'offerta pubblica di acquisto su un'altra compagnia aerea e, a tal fine, sosteneva spese, su cui detraeva la totalità dell'IVA, inerenti alle prestazioni di servizi di consulenza e ad altri servizi relativi all'acquisizione prevista; tuttavia tale operazione non andava a buon fine per motivi riguardanti vincoli di concorrenza europei e l'acquisto veniva ridimenzionato al solo 29% delle azioni della società obiettivo.

Qui la Corte, combinando le due linee giurisprudenziali” (v. concl. dell'Avv. Gen. Kokott al par. 27 di C-249/17) in tema di detrazione IVA sulle holding e detrazione IVA prospettica (v. C-268/83, punto 23; C‑396/98, punto 39; C‑126/14, punto 20, nonché C‑441/16, punto 46), e sostenendo che per la detrazione integrale le spese dovessero essere motivate esclusivamente dall'attività economica considerata, qualificava la Ryanair quale soggetto passivo e le spese sostenute in vista dell'acquisizione delle azioni della società obiettivo imputabili allo svolgimento di detta attività economica, con relativo diritto a detrazione, “anche se, in definitiva, detta attività economica, che doveva dar luogo a operazioni imponibili, non è stata realizzata e, pertanto, non ha dato luogo a siffatte operazioni”.

Quanto poi alla possibilità di ricondurre le spese per servizi agli elementi di “costo generali” della holding quali elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che essa fornisce, la Corte in C-98/21 ribadisce che tali servizi sono oggetto dei contributi della holding in quanto socio delle sue filiali e divergono dalle ipotesi (ad esempio spese per consulenza legale o finanziaria) finalizzate all'acquisizione di partecipazione nelle controllate (queste sì aventi da un nesso immediato e diretto con l'attività economica della holding gestoria).

Le spese della ricorrente, infatti, costituivano un semplice contributo «in natura» (idem se fosse stato in contanti), rivelando quindi che la causa esclusiva dell'operazione era a beneficio delle sole filiali e dell'attività economica di queste (per lo più esente) e non “interferiva” con l'attività della holding.

Se, da ultimo, a tali argomentazioni aggiungiamo che la ricorrente in C-98/21 ha espressamente riferito (v. p. 54) che “tali servizi costituivano un contributo di socio in natura e che, a tal fine, essa doveva trasferirli gratuitamente alle sue società figlie affinché li utilizzino per le loro operazioni”, con ciò stabilendo un nesso diretto con le operazioni non della holding bensì delle filiali, la soluzione della Corte è facilmente intuibile.

La necessità di una destinazione effettiva delle spese ad un'attività imponibile a valle, ha condotto la Corte, condivisibilmente, ad escludere la detrazione IVA nel caso dell'Università di Cambridge in C‑316/18, la quale, oltre alla sua attività principale (esente) consistente nel fornire prestazioni d'insegnamento, effettuava anche operazioni imponibili (attività di ricerca a fini commerciali, vendita di pubblicazioni, consulenza, ristorazione e alloggio). La ricorrente sosteneva il proprio diritto a detrazione IVA sui compensi pagati e relativi alla gestione di un fondo (gestito da un terzo) nel quale confluivano donazioni e dotazioni che generavano redditi utilizzati per finanziare i costi di tutte le sue attività.

Tale esclusione poggiava sulla considerazione che l'attività di raccolta fondi, versati essenzialmente a fini caritativi ed in modo aleatorio, non poteva costituire un'attività economica per assenza di alcuna contropartita dell'attività dell'università (v. al riguardo sentenza Tolsma, C‑16/93) con conseguente diniego di detrazione.

Ciò perché “un'attività che consiste nell'investire donazioni nonché dotazioni e le spese inerenti a tale attività di investimento devono ricevere lo stesso trattamento, per quanto concerne l'IVA, dell'attività non economica costituita dalla loro raccolta e dalle eventuali spese relative a quest'ultima”, e perché tale attività di investimento finanziario costituisce non solo un mezzo per generare reddito dalle donazioni ma anche un'attività direttamente connessa alla raccolta di queste quale prolungamento diretto di tale attività non economica (v. C‑316/18, p. 30).

La detrazione IVA veniva così negata sull'ulteriore considerazione che i costi di gestione delle donazioni e dotazioni confluite nel fondo non erano incorporati nel prezzo di operazioni specifiche a valle o nel prezzo dei beni o dei servizi forniti dal soggetto passivo nel quadro della propria attività economica imponibile.

Del resto, come suggerisce l'Avv. gen. Pitruzzella in C-98/21, ragionando diversamente e nel senso di attrarre a detrazione qualsiasi spesa solo perché proveniente dalla società madre, si finirebbe per legittimare, in presenza di qualsiasi interferenza di una holding nelle società controllate esercenti un'attività esente, una complessiva interposizione da parte della prima negli acquisti di beni e servizi funzionali all'attività delle seconde, con conseguimento di un diritto integrale a detrazione in spregio al principio di neutralità dell'IVA.

Osservazioni

Nonostante non sia stato necessario per la Corte rispondere anche alla seconda questione, rimasta assorbita dal diniego di detrazione, appare utile riferire brevemente dell'analisi, di rilievo, condotta qui in argomento dall'avvocato generale in relazione alla seconda domanda con cui si è chiesto se qualificasse o meno un abuso la detrazione consentita grazie all'utilizzo del filtro societario della holding.

Nelle sue conclusioni l'avv. gen. Pitruzzella ricorda che il principio del divieto dell'abuso di diritto in materia IVA, che vieta le costruzioni di puro artificio prive di effettività economica finalizzate al solo ottenimento di un vantaggio fiscale, in quanto tale non è contenuto in alcuna norma unionale che ne offra una definizione specifica e deve la sua codifica all'opera giurisprudenziale della Corte UE (sin dal caso Cremer/BALM in C-125/76 passando per la sentenza Halifax e a., in C‑255/02, che per prima ha confermato le condizioni ed applicato tale principio anche all'IVA) secondo la quale “il diniego di un diritto o di un beneficio in ragione di fatti abusivi non è altro che la mera conseguenza della constatazione secondo la quale, in caso di abuso di diritto, le condizioni oggettive richieste ai fini dell'ottenimento del vantaggio che si vuole conseguire non sono, in realtà, soddisfatte e che, pertanto, tale diniego non necessita di una base giuridica specifica” (v. sentenza Cussens, C‑251/16, punto 32).

Così costruito, detto principio può essere opposto ad un soggetto passivo per negargli il beneficio tanto del diritto alla detrazione IVA quanto all'esenzione o al rimborso dell'IVA e ciò indipendentemente da disposizioni di diritto nazionale che prevedano un siffatto diniego e ne diano attuazione nell'ordinamento giuridico interno.

Perché in ambito IVA possa parlarsi di un comportamento abusivo, la Corte UE richiede altresì la ricorrenza di due condizioni cumulative, da un lato (presupposto oggettivo) che le operazioni controverse, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalla direttiva IVA e dalla norma interna che le traspone (in caso di recepimento), procurino un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito dalle stesse disposizioni, e dall'altro (presupposto soggettivo) che risulti, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni perseguano esclusivamente o in maniera essenziale lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale (v. tra i tanti sentenze Halifax e a. C-255/02; Part Service, C-425/06; Weald Leasing, C-103/09; WebMindLicenses, C-419/14; Cussens e a. C-251/16).

La prova di una pratica abusiva richiede, in altri termini, la ricerca dell'elemento soggettivo unitamente ad un'attenta analisi di quell'insieme di circostanze oggettive o “complesso di fatti” che consente di verificare la sussistenza degli elementi costitutivi di una pratica abusiva e, in particolare, se taluni operatori economici abbiano o meno realizzato operazioni puramente formali o artificiose e prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale, essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio (v., in tal senso, sentenze Newey, C-653/11; SICES e a., C-155/13; Cervati e Malvi, C-131/14).

È possibile dedurre l'assenza di un'effettiva attività economica, altresì, dalle caratteristiche della medesima o “da un'analisi complessiva dei pertinenti elementi attinenti, in particolare, alla gestione della società, al suo bilancio d'esercizio, alla struttura dei suoi costi ed ai costi realmente sostenuti, al personale impiegato nonché ai locali ad alle attrezzature di cui dispone” (v. sentenza T Danmark, C-116/16, p. 98 e 114).

Sarà poi il giudice comune a dover decodificare la questione nel merito (data la sua competenza esclusiva sul “fatto”), seguendo le precisazioni eventualmente fornite nel procedimento di rinvio dalla Corte, utili al fine di guidarlo nella valutazione del caso di specie sottoposto al suo esame, giudicando sulla base anche di indizi sempreché questi siano “oggettivi e concordanti” (v. sentenza T Danmark, C-116/16, p. 114) nonché verificando se gli elementi costitutivi di un comportamento abusivo sussistano o meno nel procedimento principale.

Seguendo le direttrici tracciate in materia nel tempo dalla Corte, l'avvocato generale in C-98/21 ha ritenuto sussistere il fenomeno abusivo, osservando che i beni ed i servizi acquistati dalla holding erano funzionali esclusivamente all'attività economica delle filiali, e l'interposizione della prima aveva consentito di beneficiare di una detrazione alla quale non corrispondeva alcuna imposizione a valle, né con riferimento alla propria attività (il conferimento delle prestazioni alle filiali non era imponibile), né con riferimento alle filiali (attività in gran parte esente).

Ha concluso ricordando che spetta in ogni caso al giudice nazionale verificare la ricorrenza dei presupposti, “stabilendo contenuto e significato reali delle operazioni”, dovendo egli operare un'attenta valutazione delle ragioni economiche sottese alle operazioni negoziali poste in essere tenendo conto del più ampio contesto di fatto, per verificare se le stesse siano o meno giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, ovvero se riflettano assetti di anormalità economica, considerando la loro eventuale fittizietà nonché i nessi giuridici, economici e/o personali tra gli operatori coinvolti.

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