La validità della clausola di gestione della lite e l'art. 1917, comma 3, c.c.
10 Novembre 2022
Massima
La clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che l'assicurato, se convenuto dal terzo danneggiato, non ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per legali o tecnici non designati dall'assicuratore, è una clausola che deroga in pejus all'articolo 1917 c.c., comma 3, e di conseguenza è nulla ai sensi dell'articolo 1932 c.c.
Il caso
Il Comune di Milano nel 2012 appaltò ad una società i lavori di manutenzione straordinaria di vari edifici scolastici. La società affidò il compito di redigere il progetto esecutivo delle opere appaltate ad un ingegnere il quale assumendo di non aver ricevuto il corrispettivo dovutogli per l'opera professionale prestata, ottenne dal Tribunale di Busto Arsizio un decreto ingiuntivo nei confronti della società, al quale la società propose tempestiva opposizione al decreto, assumendo che il progetto esecutivo redatto dall'ingegnere era affetto da molteplici vizi e chiedendo pertanto che il corrispettivo dovuto al professionista fosse ridotto in considerazione dei suddetti vizi progettuali, con condanna del professionista alla rifusione delle spese sostenute per sanarli.
Dinanzi alla domanda riconvenzionale formulata dalla società, il professionista chiese ed ottenne l'autorizzazione a chiamare in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, il quale costituitosi negò la responsabilità del proprio assicurato e comunque eccepì l'inefficacia del contratto di assicurazione. Con sentenza 20 dicembre 2017 n. 1924, il Tribunale di Busto Arsizio accolse l'opposizione, e di conseguenza: - condannò il professionista sia a restituire alla società parte del compenso già ricevuto, sia a risarcirle il danno da inadempimento, quantificato in euro 39.458; - condannò la assicurazione a tenere indenne l'assicurato dalle pretese della società, limitatamente alla condanna al risarcimento del danno e al netto della franchigia contrattualmente prevista; - compensò integralmente le spese tra tutte le parti.
La sentenza venne appellata dal professionista che tra gli altri motivi di gravame, lamentò che il Tribunale non si era pronunciato sulla sua domanda di condanna dell'assicuratore a rifondergli le spese di resistenza (quelle, cioè, sostenute per contrastare la pretesa risarcitoria ai sensi dell'articolo 1917 c.c., comma 3.
Con sentenza 31 ottobre 2019 n. 4369 la Corte d'appello di Milano rigettò il gravame, assumendo che l'assicurato non potesse pretendere dall'assicuratore la rifusione delle spese di resistenza, in virtù della clausola contrattuale la quale escludeva la rifusione di tali spese se l'assicurato si fosse avvalso di avvocati o periti non designati dall'assicuratore, aggiungendo che tale patto non poteva dirsi invalido alla luce delle previsioni di cui all'articolo 1917 c.c., comma 3, essendo tale norma derogabile per volontà delle parti.
Avverso la sentenza ricorreva in Cassazione il professionista, sostenendo che la clausola contrattuale, secondo cui "la società (assicuratrice) non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati" doveva ritenersi nulla per contrarietà all'articolo 1917 c.c., comma 3, e che erroneamente la Corte d'appello ritenne quest'ultima norma derogabile per volontà delle parti.
La questione
Come deve essere interpretata la clausola sulle spese processuali di gestione della lite alla luce dell'art. 1917, terzo comma, c.c.? Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia n. 21220 del 5 luglio 2022 la Sezione Terza Civile della Suprema Corte di Cassazione accoglie il ricorso cassando la sentenza e rinviando alla Corte d'Appello di Milano cui demanda di provvedere in virtù del principio di cui alla massima. La pronuncia n. 21220 del 5 luglio 2022 torna ad affrontare una tematica di interesse concernente il disposto di cui all'art. 1917, comma 3, c.c. relativo al rimborso delle spese legali in favore dell'assicurato che le abbia sostenute per resistere nel giudizio civile.
Nello specifico, il ricorrente lamenta che la Corte d'appello ritenne infondatamente che l'assicurato non potesse pretendere dall'assicuratore la rifusione delle spese di resistenza, in virtù della clausola contrattuale, la quale escludeva la rifusione di tali spese, in quanto si era avvalso di avvocati o periti non designati dall'assicuratore. Aggiungeva la Corte che tale patto non poteva dirsi invalido alla luce delle previsioni di cui all'art. 1917, terzo comma, c.c. essendo tale norma derogabile per volontà delle parti.
A detta del ricorrente invece la clausola contrattuale, secondo cui la società assicuratrice non riconobbe spese le sostenute dall'assicurato per legali o tecnici non da essa designati deve ritenersi nulla per contrarietà all'art. 1917, terzo comma, c.c., e che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto quest'ultima norma derogabile per volontà delle parti.
Con la pronuncia n. 21220/2022 gli Ermellini, accolgono il ricorso in quanto l'art. 1932, comma 1, c.c., stabilisce che "le disposizioni degli artt. [...] 1917 terzo e quarto comma [...] non possono essere derogate se non in senso più favorevole all'assicurato".
Pertanto, una clausola contrattuale la quale subordini la rifusione delle spese di resistenza sostenute dall'assicurato al placet dell'assicuratore sarebbe una deroga in pejus all'art. 1917, terzo comma, c.c. e dunque affetta da nullità. La legge, infatti, non porrebbe condizioni al diritto dell'assicurato di ottenere il rimborso delle suddette spese. Circa il carattere delle spese di lite (ricordiamo che nel caso di specie l'assicuratore costituitosi negò la responsabilità del proprio assicurato e comunque eccepì l'inefficacia del contratto di assicurazione) i recenti orientamenti (Cfr. Cass. civ. sez. III, n. 10595/2018, relatore M. Rossetti, e Cass. civ., sez. n. VI 18076/2020) ci rammentano che le spese di lite si suddividono in: a) spese di soccombenza, ossia quelle che in caso di condanna vanno rifuse alla parte vittoriosa; b) spese di resistenza, sostenute per remunerare il difensore ed eventualmente i consulenti resistendo alla pretesa del danneggiato; c) spese di chiamata in causa della compagnia, al fine di richiedere la manleva dalle pretese del terzo.
Le spese di soccombenza costituiscono una conseguenza del fatto illecito commesso dall'assicurato, e vanno rifuse anche in eccedenza del limite del quarto della somma assicurata. Le spese di resistenza vanno sempre rimborsate, applicando però il limite del quarto della somma assicurata (art. 1917, comma 3, c.c.).
Le spese sostenute dall'assicurato per svolgere la chiamata in causa del proprio assicuratore non costituiscono né spese di resistenza, né di salvataggio, e vanno liquidate dal giudice in base al principio della soccombenza (quindi seguono l'ordinaria regolamentazione delle spese di lite).
Inoltre, l'assicuratore risponde delle spese di resistenza sostenute dall'assicurato anche quando la domanda del terzo venga rigettata, perché la difesa dell'assicurato in tal caso si è svolta anche nell'interesse dell'assicuratore (Cass. 3638/2013; Cass. 5300/2008; Cass. 4554/1985; Cass. 2227/1977). Qualora venga accolta la domanda di risarcimento verso l'assicurato, ma non quella dell'assicurato verso l'assicuratore per carenza della copertura assicurativa, la compagnia non risponderà delle spese di giudizio (Cass. n. 17315 del 2021: “L'obbligo dell'assicuratore della responsabilità civile di tenere indenne l'assicurato delle spese erogate per resistere all'azione del danneggiato […] trova limite nel perseguimento di un risultato utile per entrambe le parti, interessate nel respingerla.”).
In sostanza, le spese di resistenza, liquidabili anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c., pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel genus delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore. Tale obbligo è espressione del generale principio previsto dall'art. 1227 del c.c. ed è imposto all'assicurato in applicazione del dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., per cui l' assicuratore non può essere chiamato ad indennizzare quanto si sarebbe potuto evitare. Tuttavia, poiché grazie ad esso l'assicuratore vede diminuire il proprio obbligo indennitario, delle spese sopportate per il salvataggio risponde l'assicuratore stesso, salvo che siano irragionevoli. (Vedasi Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942: “nell'assicurazione della responsabilità civile poi l'indennizzo, entro i limiti determinati dalla stessa legge, si estende anche alle spese sostenute dall'assicurato per resistere all'azione del danneggiato -art. 1917 del c.c. terzo comma).”
Ciò posto, ci si è a lungo chiesti se il c. d. patto di gestione della lite, in virtù del quale l'assicuratore assume il diritto e l'obbligo di condurre direttamente la controversia, costituisca o meno violazione della disposizione di cui all'art. 1917 c.c.
Circa la validità del patto di gestione della lite l'orientamento giurisprudenziale è oltremodo chiaro. La Cassazione ha evidenziato che attraverso il patto con cui l'assicuratore assume la gestione della lite viene data esecuzione al rapporto assicurativo (Cass. n. 9744/1994), aggiungendo che tale patto “costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell'obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall'articolo 1917 c.c., comma 3” (Cass. n. 14107/2019).
E' stato affermato che il cosiddetto Patto di Gestione della Lite è l'accordo accessorio, previsto da apposita clausola contrattuale nelle polizze per la responsabilità civile, con il quale si conviene che l'eventuale controversia – sia in fase stragiudiziale che giudiziale – possa essere gestita dall'assicuratore in nome dell'assicurato, fino a quando ne abbia interesse, conferendogli il potere di nominare legali o tecnici e di avvalersi di tutti i diritti e azioni spettanti all'assicurato stesso. Il patto di gestione della lite è la contrattualizzazione del principio, più volte ricordato, secondo il quale l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato si adempie anche in assenza di pagamenti al terzo, difendendo l'assicurato da pretese ritenute infondate sotto il profilo dell'an debeatur o del quantum debeatur.
Del resto della ratio e della condivisione di tale intesa pattizia se ne rinviene traccia anche in alcune legislazioni straniere, come ad esempio quella belga.
Tale patto (di gestione della lite) non si pone dunque in contrasto con la previsione di cui all'articolo 1917 c.c., comma 3 (che pone a carico dell'assicuratore le spese c.d. di resistenza in giudizio sostenute dall'assicurato), dal momento che, con esso, si realizza comunque lo scopo voluto dalla norma, che è quello, per l'appunto, di tenere indenne l'assicurato dalle spese di resistenza in giudizio.
Ma cosa succede se l'assicurato non si attiene alle previsioni del patto di gestione della lite e nomina legali o consulenti di propria fiducia? Oppure se è l'assicuratore a non avvalersi del patto? Sono comunque dovute le spese di resistenza da parte dell'assicuratore? La giurisprudenza ha fornito risposte non sempre concordi.
Ad esempio, la non poco recente pronuncia Cass. n. 4202/2020, aveva ritenuto legittimo il rifiuto della richiesta di rimborso per la scelta dello stesso assicurato di non avvalersi di detto patto. Qui fu ritenuto dirimente l'accertamento della volontà dell'assicurata di non avvalersi del patto in esame. Pur ritenendo la scelta dell'assicurata legittima, la Suprema Corte ha fatto derivare da tale comportamento la perdita del diritto all'indennizzo delle spese legali.
Per utilizzare le parole della Corte: “A giustificare l'esclusione del rimborso delle spese legali non può bastare la sola astratta previsione, quale accessorio del contratto di assicurazione, del patto di gestione della lite, ma occorre che di tale patto le parti abbiano anche manifestato la volontà di avvalersi e di renderlo concretamente operante con l'assunzione diretta da parte della compagnia della difesa legale dell'assicurato.”
L'indagine al riguardo però può e deve attingere dal comportamento di ciascuna delle parti contraenti e quindi anche del solo assicurato.
Questa sentenza si richiama per altro al ben più lontano orientamento secondo cui: “Invero, nel contratto d'assicurazione le parti sono libere di stabilire a chi spetti la gestione della eventuale lite, ma non di limitare - più di quanto non lo faccia l'art. 1917 c.c., comma 3 - il diritto dell'assicurato ad ottenere dall'assicuratore il rimborso delle spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato”. E ciò perché l'art. 1932 c.c. stabilisce espressamente che tale disposizione non può essere derogata se non in senso più favorevole all'assicurato.
Da ciò discende che, se l'assicuratrice non esercita il suo diritto di gestire in via esclusiva la lite, non può rifiutarsi di rimborsare le spese sostenute dall'assicurato, sul semplice rilievo che il difensore non è stato da essa scelto. Anche se in tal senso vi fosse una clausola contrattuale, sarebbe nulla, perché si tradurrebbe in un limite al diritto riconosciuto dall'art. 1917 c.c., comma 3 all'assicurato, limite che il legislatore - come si è detto - non consente sia convenzionalmente apposto.” (Cass. civ. n. 4276/1976).
Sulla scia di detto orientamento anche la giurisprudenza di merito: “La ripartizione delle spese di lite regolata dall'art.1917, comma III c.c., non può essere derogata se non in senso più favorevole all'assicurato, per l'espresso richiamo di tale norma nell'art. 1932 c.c. Pertanto, l'assicuratore, a cui spetta la gestione della lite, non può, in caso di rinuncia, sottrarsi all'obbligo di concorrere alle spese sostenute dall'assicurato entro i limiti dell'art. 1917 c. c.; e poiché la legge non distingue l'ipotesi in cui l'assicuratore assuma o meno direttamente la gestione della lite, tale norma deve ritenersi applicabile in entrambi i casi” (Trib. Cuneo, 9 luglio 1993, Damiano c. Toro Ass.ni S.p.A). Vi è da sottolineare che nella pronuncia qui in commento non viene svolta alcuna indagine in merito al comportamento delle parti sull'intenzione o meno di avvalersi del patto di gestione della lite.
Osservazioni
Occorre, dunque, chiedersi se quel placet dell'assicuratore alla refusione delle spese, oggetto di censura, realmente concretizzi, pur in mancanza di una indagine riguardo alla volontà di avvalersene, una modifica in pejus all'art. 1917, terzo comma, c.c., ex lege non consentita.
Si potrebbe obiettare che, se è pur vero che, per usare le parole della Corte, “La legge infatti non pone condizioni al diritto dell'assicurato di ottenere il rimborso delle suddette spese”, è altrettanto vero che la Legge prevede che detta norma possa essere derogata e lo stabilire le modalità con le quali l'adempimento dell'obbligo dell'assicuratore sancito dall'art. 1917, III co, c.c. verrà garantito, non rappresenta un pregiudizio od un ostacolo (una modifica in pejus) all'esercizio del diritto da parte dell'assicurato, diritto che verrebbe comunque riconosciuto e rispettato, così come il relativo sinallagma contrattuale. L'interesse garantito dall'art. 1917, III co, c.c. e in modo complementare dal patto di gestione della lite, è il medesimo, ovvero quello di tutelare il patrimonio dell'assicurato.
Così anche la giurisprudenza di merito: “La clausola contrattuale relativa al c.d. patto di gestione della lite nella parte in cui esclude che l'assicurazione riconosca le spese legali e tecniche per professionisti non da lei designati non è nulla, perché non contiene nessuna deroga in senso sfavorevole all'assicurato dell'obbligo per la compagnia assicurativa di farsi carico delle spese, ma specifica tale obbligo e, fissando un criterio per l'individuazione del difensore, si limita a stabilire le modalità con le quali l'adempimento dello stesso verrà garantito. Del resto, atteso che sarà poi la Compagnia a dover sopportare le conseguenze derivanti dall'accertata responsabilità dell'assicurato è del tutto ragionevole che pretenda di scegliere i professionisti che dovranno sostenere la sua difesa in giudizio” (App. Milano, sez. 2 Civile Sentenza 23 novembre 2016 n. 4361).
Il patto di gestione della lite costituisce dunque uno strumento lecito di adempimento sostitutivo dell'obbligo imposto dall'art. 1917, comma 3, c.c., senza il quale, la clausola di esclusione dal rimborso, isolatamente considerata, non potrebbe risultare valida (cfr. Cass. 14107/2019).
Non solo, ma con il patto di gestione della lite l'assicurato può godere di una protezione addirittura più ampia di quella di cui al generico obbligo sancito dal III comma dell'art. 1917 c.c. (“Le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore”).
Invero, mentre l'art. 1917, III co, c.c. fa presupporre che l'assicuratore intervenga nella fase finale dell'iter semplicemente rimborsando l'assicurato dei costi sostenuti, con il patto di gestione della lite l'assicuratore può gestire la vertenza sia in fase stragiudiziale, che giudiziale e può altresì evitare che l'assicurato anticipi somme per legali e tecnici di cui, per ipotesi, potrebbe anche non disporre.
Infatti, la clausola in esame è sancita nel comune interesse delle parti, ovvero l'assicuratore, assume la gestione della vertenza oppure la condivide con l'assicurato, finché la sua posizione coincide con quella dell'assicurato (“La società assume fino a quando ne ha interesse la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale, sia civile che penale, a nome dell'Assicurato”) e la interrompe nelle ipotesi in cui potrebbero verificarsi situazioni di conflitto di interesse tra le parti. Si pensi alla possibilità che l'assicurato sia esposto ad una condanna ma l'assicuratore non sia contrattualmente tenuto a tenerlo indenne.
In sostanza, fin tanto che la garanzia è operante ed il massimale è capiente, si può sostenere che l'assicuratore abbia interesse a gestire il danno, al contrario quando l'interesse viene meno, dovrà interrompere la propria gestione e ciò anche a tutela stessa del proprio assicurato, lasciando a lui di tutelare i propri interessi nei termini che più ritiene opportuni.
Ciò significa che la clausola contrattuale in questione attribuisce all'assicuratore la facoltà di gestire la vertenza fino a quando ne abbia interesse, ma non quella di ignorarla del tutto a suo completo piacimento e arbitrio, essendo stata comunque prevista una “gestione” della vertenza (Così Corte d'Appello di Milano sentenza 4 marzo 2021 n. 712).
Assumere la gestione della lite “fino a quando c'è l'interesse”, pertanto, non significa per l'assicuratore gestire il sinistro nel proprio interesse, ma gestirlo finché l'interesse sussiste, così come potrà non gestirlo o gestirlo d'intesa con l'assicurato quando l'interesse viene meno.
Tale facoltà è anche una caratteristica centrale della copertura in quanto con questa l'assicuratore adempie ai propri obblighi verso l'assicurato tanto che l'impresa fin tanto che gestirà il sinistro, non potrà trascurare gli interessi dell'assicurato, ma anzi, dovrà tutelare l'interesse dell'assicurato unitamente al proprio. In base al relativo patto l'assicuratore assumendo la gestione della vertenza di risarcimento del danno del proprio assicurato si pone in confronto di questo come un mandatario in rem propriam, in quanto tale tenuto a curare insieme il proprio interesse e quello dell'assicurato.
Tanto è vero che l'assicuratore che, nel gestire o non gestire la lite, leda gli interessi dell'assicurato, ad esempio per eccessiva cura dei propri interessi, potrebbe anche incorrere in una responsabilità per mala gestio. Si comprende dunque come il diritto di difesa dell'assicurato ed il diritto di vedersi rimborsare le spese di resistenza da parte della compagnia, in ossequio a quanto previsto dall'art. 1917 c. 3 c.c., possono tra loro conciliarsi con i principi fissati dalla giurisprudenza di cui sopra.
Pertanto, nell'ipotesi in cui l'assicurazione intenda attivare detta clausola l'assicurato non potrà fare altrimenti che lasciare che la vertenza sia condotta dall'assicuratore, pena violazione del patto. Da ciò discende che l'assicuratore ha il diritto di pretendere dall'assicurato il conferimento di un mandato ad lites nei confronti di legale scelto dall'assicuratore stesso, nonché il dovere dell'assicurato di conferire tale mandato. Il patto di gestione della lite è infatti per sua natura irrevocabile, talché la revoca rimane senza effetto, salvo il ricorso di una giusta causa da provarsi dal mandante (così già Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 1963, n. 2817).
Del resto, la previsione pattizia in esame è stata altresì oggetto di trasfusione nell'art. 11 di cui all'Allegato A del Decreto Ministero Sviluppo Economico 11 marzo 2020, n. 54 (Regolamento recante la definizione del «contratto base» di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore) che, in linea con quanto espresso dalla giurisprudenza sopra richiamata, dà valore alla manifestazione di volontà dell'impresa, prevedendo che l'impresa debba preventivamente dare comunicazione al contraente del fatto che intenda avvalersi di detta clausola.
Non si condivide pertanto la decisione assunta dalla Corte di interpretare detta clausola sic et simpliciter come una deroga in pejus, vietata ex lege, all'obbligo sancito dal disposto di cui all'art. 1917 c.c.
Invero, se lo scopo voluto dal citato art. 1917 comma 3 c.c. è quello di tenere indenne l'assicurato dalle spese di resistenza in giudizio, detto scopo per l'appunto si realizza ugualmente attraverso lo strumento del patto di gestione della lite e pertanto l'assicurato che non voglia avvalersene (per questo è anche importante una indagine circa la volontà delle parti) con ciò rinuncerebbe esplicitamente a detto diritto all'indennizzo (Così anche Marco Rossetti in rivistaassicurazioni.com).
Con detta clausola, infatti, il contratto non viene gravato di un peso (un pejus), che rende difficoltosa la realizzazione del diritto dell'assicurato sancito dall'art. 1917 c.c., ma al contrario si circoscrivono, e ciò anche secondo i dettami di cui all'art. 1322 c.c., le modalità e la forma con cui l'assicuratore terrà indenne l'assicurato. Invece il rifiuto dell'assicurato ad ottemperare a detta clausola sarebbe contrario a buona fede in quanto precluderebbe all'assicuratore di conseguire un risultato utile, pur non comportando per l'assicurato alcun sacrificio (Cfr. Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2015, n. 5479).
Tutti i contratti invero soggiacciono ai principi di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.) contrattuali, che impongono al creditore di non aggravare senza motivo la posizione del debitore e dunque si potrà eccepire all'assicurato il mancato rispetto del principio della ragionevolezza dei costi di difesa rifiutandone financo il rimborso integrale.
Pertanto, se la pronuncia in esame sembra sancire non un principio pressoché incontestato, ovvero l'inderogabilità in pejus del disposto di cui all'art. 1917, c.c., non si addentra nella valutazione della condotta tenuta dalle parti, in particolare dell'assicuratore, elemento che, se veramente integrante un mero placet di questi (una mera “clausola di gradimento”), avrebbe invece potuto far propendere per la indennizzabilità o meno delle spese di resistenza.
In conclusione, si potrebbero verificare diverse ipotesi.
Quella per cui l'assicuratore attiva la clausola gestendo diligentemente la lite ed in detta ipotesi l'assicurato che nomina ugualmente un proprio difensore e/o tecnico soggiace al rischio di affrontare una spesa non avveduta con la conseguente non rimborsabilità del relativo costo da parte dell'assicuratore.
Oppure l'assicuratore rimane inerte o assume in modo non diligente la lite. In tal caso la spesa sostenuta dall'assicurato per il proprio difensore e/o tecnico non potrà essere considerata inavveduta e pertanto l'assicurato avrà diritto alla rifusione dei costi sostenuti.
Infine, non si può non evidenziare come, a corollario di quanto sopra, venga comunque sottolineato dalla Corte di Cassazione nella parte finale della decisione che: “Resta solo da aggiungere che le spese di resistenza sostenute dall'assicurato sono affrontate nell'interesse comune di questi e dell'assicuratore […] e sono soggette alla regola che ne subordina la rimborsabilità al fatto che non siano state sostenute avventatamente (art. 1914, II comma, c.c., il quale non è che una applicazione particolare del generale principio di cui all'art. 1227, secondo comma, c.c.) Il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito”.
Pertanto, si deve intendere che l'assicurato potrebbe in ogni caso esporsi alle relative conseguenze di non vedersi poi rimborsati, in tutto o in parte, i costi sostenuti, per la violazione dell'obbligo di salvataggio di cui all'art. 1914 c.c., primo comma, in combinato disposto con l'art. 1227, II comma, c.c., in quanto ad esempio i costi potrebbero essersi rivelati esorbitanti o comunque meno contenuti di quelli che avrebbe potuto affrontare la compagnia in prima persona, o ancora, come sopra detto, in quanto sostenuti in violazione del patto di gestione della lite poiché “inavveduti”.
|