Covid, infortunio o malattia? La Cassazione offre il proprio contributo
21 Novembre 2022
Massima
“Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico”. Il caso
In primo grado, la Corte d'Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento con la quale era stata rigettata la domanda di G.B., infermiere professionale presso una RSA, di riconoscimento della copertura INAIL e quindi dell'indennizzo in ragione dell'asserita contrazione durante il servizio dal medesimo svolto sul luogo di lavoro della infezione da virus HCV (epatite C). La Corte territoriale, prendendo le mosse dalla possibile origine plurifattoriale della malattia, riteneva che la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro gravasse sul lavoratore.
Diversamente, la Corte d'Appello rilevava come il ricorrente non portasse memoria di eventi specifici, durante il lavoro, quali punture accidentali, non bastando il suo resoconto di avere ordinariamente medicato e trattato per via parenterale pazienti anziani, epatopatici, spesso con piaghe da decubito, in quanto la valenza dimostrativa di ciò, oltre a non poter ricorrere a favore della parte che aveva reso tali dichiarazioni, era in più neutralizzata dall'accertamento svolto in altra causa in ordine ad una pregressa infezione da virus epatite B, circostanza quest'ultima che avrebbe imposto «la prova rigorosa dell'evento infettante in occasione di lavoro».
La questione
Per quanto solo incidentalmente ed indirettamente, la sentenza in commento offre spunti interessanti in merito ad una problematica oggetto di un appassionato ed appassionante dibattito anche su queste pagine: in ambito di infortunistica privata, l'infezione virale da Covid 19 è classificabile come infortunio o come malattia? Le soluzioni giuridiche
Secondo la Suprema Corte la sentenza impugnata, con una motivazione non sempre coerente e lineare, lamenta - anche alla luce della pregressa Epatite B - la mancanza di «prova rigorosa dell'evento infettante in occasione di lavoro»; ma tale predetta regola di giudizio e di prova adottata contrasta diametralmente con il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui «nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione» con l'aggiunta che «la relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici» (Cass. civ., 7306/2000, poi anche Cass. civ., 20941/2004; Cass. civ., 6899/2004).
A scanso di equivoci, precisiamo che la decisione in oggetto concerne (I) l'ambito della copertura INAIL e si esprime (II) sugli oneri probatori a carico del lavoratore al fine di dare prova dell'insorgenza della patologia in occasione lavorativa.
Ci troviamo, dunque, al cospetto di una fattispecie ben distinta da quella del contagio (e relativo decesso) da COVID in ambito di infortunistica privata; ma in un frangente di grave incertezza, in cui sul tema dell'indennizzabilità dell'infezione da COVID in ambito infortunistico si susseguono sentenze di segno diametralmente opposto e pareri tecnici antitetici, quasi che quella medico legale fosse materia plasmabile secondo le contingenze, ogni indicazione idonea a districare la matassa pare utile, soprattutto se a fornirla è la Corte di Cassazione, la quale dà conto di un proprio orientamento che essa stessa definisce come “risalente e mai contraddetto”.
Ebbene, nella sentenza in commento si legge: “rispetto all'infezione virale, pur trattata dalla giurisprudenza di questa S.C. come infortunio, va invece ripreso, onde assicuravi continuità, l'indirizzo, risalente e mai contraddetto, secondo cui «nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico”.
Senza lanciarsi in un'esegesi ardita, né volendo attribuire alle parole un significato che non hanno, dalla pronuncia della Suprema Corte ricaviamo le seguenti informazioni:
1. l'infezione virale è trattata (classificata, n.d.r.) dalla cassazione come infortunio, dove nel novero delle infezioni virali è - naturalmente - da ricomprendersi l'infezione da SARS-COV2, che lo è a tutti gli effetti, per eziopatogenesi e sviluppo;
2. costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico dando vita ad una malattia; ove per malattia si intende la conseguenza dell'evento infortunio, la sua evoluzione clinica, non la causa.
Parole chiare e difficilmente fraintendibili, per altro in linea con quelle della dottrina medico legale che abbiamo diffusamente riportato anche su queste pagine (Vedi R. Zoja, SARS-Co-V2 ed infortunio nell'assicurazione privata: annotazioni medico–legali in IUS Responsabilità civile; Documento Tecnico Operativo Società Medico Legale Triveneta - Infezione da Sars Cov2 - Polizza Infortuni in smlt.it; P. Rossi, L'indagine medico-legale nei casi di infezione da SARS-Co-2. L'esperienza Inail in IUS Responsabilità civile).
Parole, poi, che pesano come macigni su quelle sentenze di merito che hanno negato la configurabilità di infortunio a causa di infezione virale, proprio in ragione della presunta mancanza di causa violenta senza, peraltro, procedere ad un più che opportuno accertamento medico legale in proposito:
- Trib. Roma Sent. n. 1468/2022: “ciò che contraddistingue l'infortunio è la causa violenta che nel meccanismo operativo della infezione da virus non ricorre a meno che non sia provato che il contatto con il virus si sia verificato per effetto della causa violenta, circostanza che nel caso di specie non è stata neppure adombrata”.
- Trib. Pescara r.g.n. 3082/ 2021: “l'assicurazione privata contro gli infortuni è un contratto socialmente tipico che copre «gli eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna che provocano lesioni corporali oggettivamente constatabili e che abbiano come conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea». Definizione che deriva da un'idea primitiva ed elementare, la quale richiama una causa sostanzialmente traumatica ed improvvisa, piuttosto distante dal concetto di malattia, cui si riconducono i casi di coronavirus. Non risultano neppure pronunce giurisprudenziali che, in passato, nell'ambito delle polizze private contro gli infortuni, abbiano equiparato malattie virali come l'influenza ad un infortunio”.
- Trib. Pesaro, r.g.n. 436/2021: “Nel caso di specie non può sostenersi che la contrazione del virus sia avvenuta in circostanze tali da configurare un infortunio. Non risulta che ci sia stato un fatto traumatico, violento ed esterno -nel senso inteso aitermini di polizza, corrispondente alla concezione di “infortunio” comunemente intesa”.
Di segno contrario Trib. Torino, sez. IV , 19 gennaio 2022, n. 1841, già oggetto di commento, e Trib. di Vercelli Sentenza r.g. 693/2021 le quali, rifacendosi (I) alla citata dottrina medico legale maggioritaria e risalente nonché, ce lo dice la sentenza in commento, (II) al costante indirizzo della Suprema Corte che classifica come infortunio il contagio da virus e come causa violenta l'infezione virale, hanno accolto la domanda di chi chiedeva la liquidazione dell'indennizzo previsto in polizza per il caso morte.
Osservazioni
Si sosterrà, lo abbiamo anticipato, che la decisione 10 ottobre 2022, n. 29435 regoli la diversa materia dell'infortunio sul lavoro.
Se ciò è senz'altro vero, altrettanto lo è che i concetti espressi dalla Suprema Corte sono certamente sussumibili in ambito infortunistico privato.
Che il contagio virale rappresenti causa violenta, infatti, non vale in quanto (e solo se) ci si trovi in ambito INAIL, ma perché - per mai contestata dottrina medico legale (e giurisprudenza, come oggi ci conferma la Suprema Corte) – per violenza della causa si intende concentrazione temporale: nell'infezione il citato incontro dell'organismo con l'agente esterno corrisponde al contagio, il quale ha i requisiti dell'unicità e dell'immediatezza.
Così, una volta di più, ha affermato anche il Prof. Paolo Cortivo (Professore Ordinario a r. di Medicina Legale e delle Assicurazioni Università degli Studi di Padova) nel recente articolo “Infezione da covid-19: infortunio o malattia?”, pubblicato negli atti del convegno S.M.L.T. del 7 ottobre 2022 “dalle strategie di Sanità pubblica alle difficoltà interpretative medico legali del long COVID”.
“È fuori di discussione che l'infezione è produttiva di lesioni fisiche constatabili e può determinare conseguenze di danno alla persona, per cui sul punto non merita soffermarci. Per quanto riguarda la causa sono ugualmente scontate la fortuità, trattandosi di un fatto non voluto dall'interessato e non previsto anche se prevedibile, e l'esteriorità, poiché l'agente patogeno proveniente dall'ambiente esterno all'organismo”.
Il punto su cui si impernia la questione è la violenza della causa. Al proposito la dottrina medico-giuridica e la giurisprudenza sono da sempre concordi nel riconoscere alla causa violenta il concetto di rapidità e di concentrazione nel tempo.
I negazionisti del riconoscimento delle caratteristiche dell'infortunio all'infezione, in primis le compagnie di assicurazione, sostengono che l'evento è da considerarsi malattia, in ragione del mancato requisito di violenza della causa, che avrebbe un'azione diluita nel tempo, con riferimento in particolare al periodo di incubazione e/o a quello subclinico che precedono la manifestazione clinica. Tale orientamento è stato recepito da parte di alcuni anche per l'infortunistica privata.
Dissentiamo (ed anche la decisione Suprema Corte oggi in commento, n.d.r.) dall'assunto, che equivarrebbe per le altre fattispecie di infortunio l'applicazione di una graduazione dell'intensità lesiva, la cui entità di fatto è di per sé deducibile dall'evidenza delle lesioni fisiche prodotte e delle eventuali conseguenze di danno derivate.
Insistiamo, invece, nella definizione di violenza della causa nel senso di concentrazione temporale: nell'infezione il citato incontro dell'organismo con l'agente esterno corrisponde al contagio, il quale ha i requisiti dell'unicità e dell'immediatezza. L'incubazione e l'eventuale latenza dei sintomi prima della manifestazione clinica obiettivabile sono una componente integrante del processo infettivo che segue al contagio.
In conclusione, si deve affermare che l'infezione da COVID-19, alla stregua delle altre infezioni, è infortunio ai sensi delle condizioni di polizza nell'infortunistica privata e, come tale,è passibile di indennizzo, in assenza di specifiche delimitazioni della garanzia assicurativa”.
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