È reato la modifica dello stato dei luoghi nel corso di giudizio per l’accertamento di una servitù di passaggio
21 Novembre 2022
Massima
In caso di azione giudiziale intentata per l'accertamento dell'esistenza di una servitù di passaggio e la dichiarazione dell'usucapione della stessa, l'amministratore di condominio che, in corso di causa, modifichi volontariamente i luoghi, facendo eseguire lavori volti alla sostanziale eliminazione del passaggio, si rende responsabile di un illecito processuale e può anche essere giudicato colpevole del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza sulle cose, fattispecie prevista e punita dall'art. 392 c.p. Il caso
Con atto di citazione, due condomine agivano convocando in giudizio il proprio condominio, in persona dell'amministratore, per sentire dichiarare la sussistenza di una servitù di passaggio e l'usucapione della stessa per esercizio ininterrotto per un periodo superiore a venti anni. Affermavano le attrici di avere, per anni, utilizzato una porzione di suolo condominiale sita davanti al proprio appartamento per raggiungere a piedi l'autorimessa e prendere il proprio veicolo. In subordine, le attrici domandavano la costituzione coatta della predetta servitù di passaggio a piedi, essendo il loro fondo intercluso. La domanda giudiziale, poi, veniva completata con una richiesta di servitù anche per il passaggio di diverse tubature private delle attrici nel locale caldaia del condominio e la consegna delle chiavi della predetta stanza per consentire alle stesse eventuali interventi sulle proprie tubazioni private. Si costituiva in giudizio il condominio, sostanzialmente negando quanto affermato nell'atto introduttivo del processo. Nel corso del giudizio, il decidente faceva esperire una CTU volta a verificare lo stato dei luoghi e accertare la sussistenza delle pretese servitù invocate della parte attrice. L'istruttoria processuale, poi, constava altresì di un ordine ex art. 210 c.p.c. volto a ottenere dal condominio l'esibizione di diversi verbali di assemblea degli anni passati. Il giudice, con sentenza non definitiva, si pronunciava su alcuni aspetti facenti parte della domanda giudiziale. Secondo tale decisione, quindi, veniva riconosciuto l'acquisto della servitù di passaggio a piedi per usucapione e condannava il condominio a cessare eventuali impedimenti e turbative dell'esercizio della servitù. La decisione comportava, altresì, l'ordine di consegna delle chiavi del locale caldaia da parte dell'amministratore di condominio. Nel prosieguo della decisione, quindi, il giudice affermava che tutte le questioni di diritto fossero già state decise con la sentenza non definitiva, ma che sussistesse comunque la necessità di proseguire il giudizio al fine di “intavolare” e definire correttamente le servitù. A questo punto, però, la prosecuzione delle indagini peritali evidenziava l'intervenuta modifica dello stato dei luoghi: il CTU dava atto, infatti, che a seguito della sentenza non definitiva l'amministratore di condominio aveva fatto realizzare alcuni lavori sulle parti comuni, consistenti in scavi e movimentazione terra, che avevano comportato modifiche sostanziali alle aree oggetto del giudizio. La questione
La sentenza del Tribunale di Belluno inerisce una fattispecie peculiare, ma non unica nel suo genere. Il giudice de quo, infatti, a seguito di un primo accertamento peritale, di una sentenza non definitiva che riconosce le ragioni attoree e del prosieguo delle operazioni peritali, si trova a giudicare una vicenda atipica nella quale l'amministratore del condominio, a seguito delle prime indicazioni del Tribunale che sconfessavano la sua tesi, ha agito per cambiare lo stato dei luoghi. La decisione, quindi, oltre a pronunciarsi sul petitumsi trova, altresì, ad analizzare la condotta dell'amministratore e le sue ramificazioni tanto in sede civile, quanto penale. Le soluzioni giuridiche
Dopo avere evidenziato lo svolgimento del processo, si rende necessario dare atto del termine dello stesso. Il giudizio si chiude, sostanzialmente, con il riconoscimento delle ragioni della parte attrice e la decisa censura della condotta dell'amministratore. Il giudice, infatti, non fa mistero di considerare le azioni del condominio come gravi e scorrette dal punto di vista giudiziale. Il giudice, addirittura, arriva a definire le succitate condotte come una “grave violazione del dovere di lealtà e buona fede processuale”. La decisione del Tribunale di Belluno, quindi, si conclude con la stigmatizzazione del comportamento del convenuto e il rilievo del giudice di come sia “evidente che non si può consentire alla parte di modificare arbitrariamente l'oggetto della vantata servitù nel corso del processo volto al suo accertamento” e che “tale comportamento costituisce inoltre fatto illecito, perché la soppressione delle servitù in favore degli immobili di parte attrice, mediante la modificazione dello stato dei luoghi, integra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza sulle cose”. Secondo il decidente, infatti, mediante l'azione abusiva il perpetratore si sostituisce al giudice e rende vana l'attività processuale. Per dirla con le parole della Cassazione Penale, quindi, “l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a sé stesso da parte del privato, di poteri e facoltà spettanti al giudice” (Cass. pen., sez. V, 21 maggio 2014, n. 38571). Tale fattispecie è prevista e punita dall'art. 392 c.p. che afferma ai primi due commi che: “Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516. Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione”. La decisione in oggetto, quindi, si chiudeva con il riconoscimento della sussistenza delle servitù invocate dalla parte attrice - invero già accertato in corso di lite - la condanna al pagamento delle spese processuali e la condanna ex art. 96 c.p.c. del condominio a risarcire le stesse per i pregiudizi patiti dalle stesse, tenuto conto della condotta processuale tenuta. Osservazioni
La sentenza in commento appare condivisibile. Nel caso in questione, infatti, a seguito dell'accertamento, la condotta dell'amministratore ha reso impossibile la c.d. intavolazione delle servitù riconosciute nel corso del processo. Non è dato a sapersi se la condotta in questione sia stata dolosa o colposa, ma l'esito è stato quello di mutare decisamente e perennemente lo stato dei luoghi sui quali verteva l'oggetto della lite. La questione avrebbe potuto essere ancor più problematica se gli interventi fossero stati realizzati prima dell'accertamento peritale che ha comunque portato al riconoscimento delle servitù di passaggio a piedi e con le tubazioni. Pare condivisibile, quindi, il ragionamento del giudice, che riconosce dal punto di vista dell'oggetto della lite la sussistenza delle servitù, ma condanna la parte soccombente anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c. per la grave violazione della lealtà e probità processuale. La norma citata afferma, infatti, al comma 1, che, “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza”. Nel caso in questione, la grave violazione commessa dal condominio aveva anche l'effetto di vanificare l'attività di ricerca della verità che orienta l'attività del giudice e dei suoi ausiliari. Una volta dato luogo ad un giudizio, infatti, le parti hanno l'onere di attendere il suo esito e verificare quanto deciso dal giudice. Chiaramente, nel caso in questione, nulla di peggio poteva fare la parte se non alterare con opere edilizie lo stato dei luoghi e cancellare i segni della servitù di passaggio esercitata da più di due decadi. Il giudice, quindi, ha correttamente condannato ai sensi dell'art. 96 c.p.c. la parte convenuta, rimandando alla sede penale l'accertamento della fattispecie delittuosa di cui all'art. 392 c.p.c. sopra descritta. Si aggiunge che il reato in oggetto possa essere integrato con una serie indefinita di comportamenti, con il tratto comune di essere volti a ottenere con la violenza sulle cose l'adempimento di un diritto. In materia condominiale, un precedente indicativo potrebbe essere quello rappresentato dalla decisione del Tribunale di Torre Annunziata, 3 aprile 2018, n. 850, nella quale si riconosce che “integra esercizio arbitrario delle proprie ragioni apporre all'ingresso di un condominio un cancello in ferro chiuso con catena per impedire l'accesso di altro condomini al fine di esercitare il diritto di godimento esclusivo di una servitù di passaggio”. Non contando l'attività in concreto messa in atto, ma l'esito della stessa, pare avere ragione il giudice nel sottolineare la possibile consumazione del reato nella fattispecie analizzata. La decisione in oggetto appare, pertanto, corretta e condivisibile. Riferimenti
Celeste, L'amministratore che distacca l'energia elettrica al condomino moroso può rispondere del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in IUS condominioeLocazione (www.ius.giuffrefl.it), 14 luglio 2017; De Francesco, La violenza manutentiva esclude la punibilità solo se si riferisce ad un bene di cui si ha l'esclusivo possesso, in Dir. & giust., 2013, 1097; Morello, Quando il vicino condominio è di “passaggio” …, in Dir. & giust., 2015, fasc. 18, 74; Valentino, È vietata la realizzazione di un accesso tra un fondo di proprietà esclusiva e il cortile del condominio, in IUS condominioeLocazione (www.ius.giuffrefl.it), 13 marzo 2018. |