La presunzione di responsabilità del locatore per i vizi dell'immobile locato
28 Novembre 2022
Massima
Il proprietario locatore ha l'obbligo di consegnare al conduttore il bene locato in buono stato di manutenzione e di conservazione e deve mantenerlo in condizioni che lo rendano idoneo all'uso convenuto. Grava, pertanto, su di lui una presunzione di responsabilità che può essere superata mediante la prova dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito oppure al fatto illecito del terzo. Il caso fortuito o il fatto del terzo (come, per esempio, la presenza di umidità dovuta a difetti del fondo del vicino) escludono la responsabilità del proprietario e la conseguente obbligazione risarcitoria verso l'inquilino. Il caso
L'inquilino di un immobile/capannone adibito ad uso commerciale, invocando l'art. 1578 c.c. (in tema di vizi e difetti della cosa locata), ha chiamato in causa la società locatrice per chiedere: la condanna all'esecuzione dei lavori necessari all'eliminazione dei vizi riscontrati costituiti da umidità, anche ascendente, secondo quanto indicato nella perizia resa in sede di accertamento tecnico preventivo; la riduzione dell'affitto sino alla data di eliminazione dei problemi di umidità; il rimborso dei costi e delle spese sostenuti (pari ad Euro 13.145,75); il risarcimento dei danni causati dalla condotta colposa (art. 2043 c.c.) consistita nel non aver posto in essere gli interventi necessari al mantenimento in buono stato dell'immobile. Si è costituita in giudizio la società locatrice contestando la fondatezza della domanda avversaria e deducendo che la responsabilità per i danni lamentati dall'attrice (causata dai fenomeni di umidità) dovesse essere attribuita in via esclusiva alla proprietà confinante, di cui chiedeva la chiamata in giudizio. La convenuta ha svolto anche domanda riconvenzionale in relazione al grave inadempimento per l'uso di parte del capannone, contrario al generale principio di cui all'art. 1587 c.c. (di prendere in consegna la cosa e di servirsene per l'uso determinato nel contratto), particolarmente in relazione ad una clausola contenuta nel contratto di locazione che vieta lo svolgimento di attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. Il Tribunale di Milano - ritenuto di non dover autorizzare la chiamata del terzo - ha definito il giudizio respingendo sia le domande del conduttore sia la domanda riconvenzionale del locatore, compensando le spese di lite tra le parti. La questione
Nella sentenza in commento, il Tribunale di Milano affronta più questioni che ruotano intorno all'interpretazione dell'art. 1578 c.c. Prima di tutto, il giudice milanese ha escluso che nella fattispecie potesse trovare applicazione l'art. 1578 c.c. L'art. 1578 c.c. dispone, infatti, che, “Se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. Il locatore è tenuto a risarcire al conduttore i danni derivati da vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna”. Al riguardo - sottolinea il giudice milanese, pur in termini dubitativi: utilizzando la locuzione pare “…ancor meno configurabile (così nel testo della sentenza in commento n.d.r.) …” - la norma si applica solo in presenza di vizi dell'immobile originari. Senonchè - continua il Tribunale - nel caso in esame i vizi dell'immobile risultano riconducibili non a intrinseche caratteristiche dell'immobile, ma a cause esterne al contratto di locazione. In particolare, dall'istruttoria relativa al procedimento di accertamento tecnico preventivo - che ha preceduto il giudizio definito dalla sentenza in commento - è risultata la presenza di umidità nell'angolo nord est della parete dell'immobile locato che confina con il cortile retrostante. Tali problematiche sono state ricondotte alla proprietà di un terzo, per l'umidità di risalita e per l'umidità proveniente dall'aiuola a contatto con il muro a nord est a causa della carenza di un funzionale manto di impermeabilizzazione. Il Tribunale ha ritenuto, dunque, che non sussistessero forme di responsabilità del locatore per i vizi del bene locato ai sensi dell'art. 1578 c.c. Tali vizi avrebbero dovuto incidere sulla struttura stessa del bene immobile. La locatrice ha invece fornito la prova liberatoria su di lei gravante ovvero quella della imputabilità dei danni richiesti dall'inquilino al fatto del terzo. Conseguentemente la locatrice non può essere tenuta al risarcimento dei danni siano essi riconducibili alla fattispecie tipica di cui all'art. 1578, comma 2, c.c. e/o all'illecito aquiliano di cui all'art. 2043 c.c. Tanto più che sussiste una autonoma legittimazione dell'inquilino ad esperire l'azione di responsabilità nei confronti dell'autore del danno (cioè nei confronti del terzo) di cui all'art. 1585, comma 2, c.c., per il quale il locatore non è tenuto a garantire l'inquilino “…dalle molestie di terzi che non pretendono di avere diritti, salva al conduttore la facoltà di agire contro di essi in nome proprio” (Cass. n. 17881/2011; Cass. n. 12220/2003; Cass. n. 5859/1982). Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Milano ha chiarito la diversità dei rimedi che l'ordinamento riconosce al conduttore a seconda che il vizio attenga alla cosa locata o si tratti di guasti della stessa. I vizi della cosa locata, cui si riferisce l'art. 1578 c.c., incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento, secondo la destinazione contrattuale, anche se siano eliminabili e si manifestino successivamente alla conclusione del contratto di locazione (art. 1581 c.c.). Tali vizi alterano l'equilibrio delle prestazioni corrispettive incidendo sull' idoneità all'uso della cosa locata e dei rimedi previsti e consistono esclusivamente nella risoluzione del contratto o nella riduzione del corrispettivo, restando esclusa l'esperibilità dell'azione di esatto adempimento. In presenza di vizi intrinseci e strutturali, non è possibile configurare un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte a norma dell'art. 1575 c.c. (Cass. civ., sez. III, 4 agosto 1994, n. 7260; Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2001, n. 5682). I guasti o i deterioramenti della cosa locata dovuti invece alla naturale usura e all'effetto del tempo oppure ad accadimenti accidentali che determinino disagi limitati o transeunti nell'utilizzazione del bene possono rilevare rispetto all'obbligo di manutenzione, posto dalla legge a carico del locatore, quale proiezione nel tempo dell'obbligo di consegna in buono stato di manutenzione (art. 1575 c.c.) e/o dell'obbligo di riparazione (art. 1576 c.c.). L'inosservanza dei vincoli di manutenzione in capo al locatore determina l'inadempimento contrattuale (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2011, n. 24459; Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2007, n. 11198). Con la conseguenza che mentre per le domande svolte in base agli artt. 1575 e 1576 c.c., all'inadempimento del locatore si accompagna sempre (o quasi) la domanda di risarcimento danni; nel caso dell'azione per vizi dell'immobile prevista dall'art. 1578 c.c., la domanda di danni è limitata alla sola ipotesi “tipica” in cui il locatore non provi di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna. In altri termini la domanda di danni prevista dall'art. 1578, comma 2, c.c. non è configurabile autonomamente rispetto a quella di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo (e lo è ancor meno in caso di vizi della cosa sopravvenuti non potendosi parlare per questi di conoscenza degli stessi o di colpevole ignoranza al momento della consegna). Nel caso esaminato dalla sentenza in commento, dopo che l'immobile sia stato consegnato alla conduttrice, esso è stato fatto oggetto di una consistente ristrutturazione interna a cura della conduttrice stessa che ha pertanto potuto verificarne le condizioni in relazione: alle strutture, alle pareti, ai pavimenti, alle coperture e agli impianti senza mai sollevare alcuna contestazione in merito allo stato dei medesimi. Esclusa l'applicabilità della disciplina contenuta nell'art. 1578 c.c., in punto di danni prodotti dalla struttura originaria, poiché il proprietario locatore ha l'obbligo di consegnare al conduttore il bene locato in buono stato di manutenzione e di conservazione, grava su di lui una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito o al fatto illecito del terzo (sul tema specifico, il magistrato meneghino ha richiamato espressamente Cass. n. 10389/2005, secondo cui deve essere confermata la sentenza di merito che abbia escluso la responsabilità del locatore, in quanto le infiltrazioni d'acqua, causa di danno al conduttore, provenivano da proprietà di terzi e in particolare da un terrazzino condominiale e da una strada pubblica) Le indagini peritali compiute nel procedimento per accertamento tecnico preventivo hanno chiarito la causa delle problematiche all'interno dell'immobile locato sulla parete nord est confinante con il cortile di proprietà di terzi, riconducendole all'accumulo e al ristagno di acqua nel terreno dell'aiuola che costeggia il muro di confine, per la carenza di un funzionale manto di impermeabilizzazione. La locatrice ha, quindi, fornito la prova liberatoria su di essa gravante cioè quella dell'imputabilità dei danni richiesti dall'inquilino al fatto del terzo, con la conseguenza che non può essere condannata al risarcimento dei danni, da un lato per l'inapplicabilità alla fattispecie dell'ipotesi risarcitoria “tipica” di cui all'art. 1578, comma 2, c.c., dall'altro, rispetto all'art. 2043 c.c. richiamato dal conduttore, per l'assenza del dolo e della colpa. Tanto più che la conduttrice possiede una propria autonoma legittimazione ad esperire l'azione di responsabilità nei confronti dell'autore del danno (cioè del vicino), riconducibile al disposto dell'art. 1585 comma 2, c.c. (Cass. n. 17881/2011; Cass. n. 12220/2003; Cass. n. 5859/1982). L'art. 1585, comma 2, c.c. attribuisce al conduttore la legittimazione ad agire contro i terzi che arrechino pregiudizio al godimento dell'immobile (cosiddetta “molestia di fatto”), e tale legittimazione non riguarda soltanto i danni causati agli arredi o mobili di proprietà del conduttore, ma si estende a tutto ciò che sia oggetto del godimento stesso, e quindi anche alle strutture murarie dell'appartamento che siano state danneggiate dal fatto illecito del terzo, dovendosi invece escludere la configurabilità di una responsabilità e di un obbligo di garanzia del locatore per gli stessi fatti (v., tra le tante, Cass. civ., sez. III, 24 novembre 2005, n. 24805). Osservazioni
La sentenza in commento ha affrontato in modo diligente - allineandosi ai prevalenti canoni interpretativi - la questione dei vizi dell'immobile e dei danni conseguenti alla presenza dei vizi, rispetto ad una disposizione (id est l'art. 1578 c.c.) considerata da sempre piuttosto criptica. Il provvedimento del Tribunale di Milano distingue tra inadempimento (e conseguente responsabilità) del locatore rispetto agli obblighi manutentivi di cui agli artt. 1575 e 1576 c.c. e vizi intrinseci alle strutture dell'immobile che ne diminuiscano il godimento di cui all'art. 1578 c.c. Rispetto a quest'ultima azione, la domanda di danni non consegue direttamente alla sussistenza dei vizi, ma presuppone che il locatore - chiamato per la risoluzione del contratto o per la riduzione del corrispettivo (salvo che si tratti di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili dall'inquilino) - non riesca a provare di aver senza colpa ignorato i vizi stessi dell'immobile al momento della consegna del bene. Se i vizi sopravvengono - deduce il giudice milanese - non può farsi luogo alla domanda di danni (art. 1581 c.c.), posto che il locatore non sarebbe nella condizione di dimostrare l'assenza della colpa (consistente nell'aver ignorato la presenza dei vizi). Sul punto soprassediamo a qualunque commento, fermo restando che la conoscibilità dei vizi sopravvenuti potrebbe in astratto essere ricondotta anche alla presenza delle cause dei vizi che si manifesteranno. In ogni caso, il Tribunale di Milano respinge la domanda di danni del conduttore per illecito aquiliano (art. 2043 c.c.), precisando che: a) nella specie, il locatore ha dimostrato la sussistenza del fatto del terzo come causa dei fenomeni di umidità; b) proprio per la sussistenza del fatto del terzo, il conduttore avrebbe potuto autonomamente esperire l'“azione a tutela” prevista dall'art. 1585, comma 2, c.c. Il fatto del terzo e la possibilità per il conduttore di difendersi autonomamente contro il terzo escludono la colpa (e il dolo) del locatore e la sua conseguente responsabilità. |