I requisiti di validità della delibera di trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti autonomi

Alberto Celeste
01 Dicembre 2022

Con la sentenza in commento, la Cassazione ha confermato la declaratoria di nullità della delibera assembleare impugnata, in quanto si era limitata a stabilire il solo profilo soppressivo o abdicativo dell'impianto centralizzato, lasciando liberi i condomini di installare l'impianto ritenuto più opportuno, mentre avrebbe dovuto prevedere il deposito, presso il Comune, del progetto di trasformazione dello stesso, nell'ottica di contenere il consumo energetico dell'intero edificio.
Massima

La delibera che dispone l'eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato, per dar luogo ad impianti autonomi nei singoli appartamenti, può essere adottata a maggioranza, in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., soltanto quando preveda che ciò avvenga nel rispetto delle previsioni normative di cui alla l. n. 10/1991, ossia a garanzia dell'an e del quomodo della riduzione del consumo specifico di energia, del miglioramento dell'efficienza energetica e dell'utilizzo di fondi di energia rinnovabili; ove non rispetti tali adempimenti, la suddetta delibera deve considerarsi nulla, conseguendone la piena legittimità della pretesa del condomino al ripristino dell'impianto di riscaldamento centralizzato, soppresso indebitamente dall'assemblea dei condomini.

Il caso

La causa prendeva le mosse da un'impugnazione, proposta da un condomino, nei confronti di una delibera assembleare, con cui era stato autorizzato il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento, invitando i condomini, che ancora non ne disponessero, a dotarsi, con la massima sollecitudine, dell'impianto autonomo.

L'attore aveva dedotto che quanto deliberato non aveva determinato alcun risparmio energetico, in quanto il costo del gas metano era superiore rispetto al combustibile usato dai servizi centralizzati; inoltre, la realizzazione di ventuno camini autonomi era idonea a causare un maggiore inquinamento atmosferico, non essendo essi dotati di impianti per la depurazione dei fumi, invece presenti nell'impianto centralizzato; il distacco autorizzato era, infine, in contrasto con le esigenze di risparmio energetico e avrebbe costituito un danno per l'ambiente.

Il Tribunale adìto aveva accolto la domanda, dichiarando la nullità della delibera impugnata e condannando il Condominio a porre in essere quanto necessario al riallaccio al servizio termico centralizzato.

Su gravame del suddetto Condominio, la Corte d'Appello aveva rigettato la domanda attorea, ritenendo decisiva l'eccezione di carenza di interesse ad agire in capo all'attore, atteso che quest'ultimo era divenuto condomino da tempo e, comunque, per ben tre anni non aveva obiettato alcunché in ordine al deliberato distacco.

La sentenza della Corte territoriale veniva annullata dalla Cassazione, rilevando, in ordine alla legittimazione dell'attore a far valere la nullità della delibera impugnata, che la valutazione compiuta in merito all'affermata carenza di interesse in concreto ad agire appariva connotata da “illogicità e incoerenza”.

All'esito del giudizio di rinvio, il giudice distrettuale riformava in parte la pronuncia impugnata.

La questione

Si trattava, quindi, di esaminare il ricorso principale del condomino, che si lamentava del rigetto della sua originaria domanda volta (anche) alla condanna al riallaccio dell'impianto di riscaldamento centralizzato, e, al contempo, il ricorso incidentale spiegato dal Condominio da quest'ultimo che censurava la declaratoria di nullità della delibera impugnata.

Sotto il primo profilo, si sosteneva che la domanda di accertamento della nullità della delibera costituiva l'antecedente logico e il presupposto giuridico per farne derivare la condanna al riallaccio al servizio centralizzato, che era, peraltro, il motivo concreto che aveva indotto l'attore ad agire in giudizio, con l'effetto che nessun interesse o utilità sarebbe disceso dalla sentenza di mero accertamento, ove tale accertamento non fosse stato, poi, seguito e completato con una declaratoria di condanna.

Sotto il secondo profilo, si mirava a confutare, sotto vari profili, le ragioni poste a fondamento della decisione presupposta di conferma della dichiarazione di nullità della delibera assembleare, che aveva disposto il distacco di tutte le unità immobiliari dei condomini.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno scrutinato, innanzitutto, il ricorso incidentale, attesa la sua priorità logica rispetto al ricorso principale.

Nella specie, la delibera impugnata - sia pure approvata a maggioranza dei condomini, rappresentanti un valore pari a 749,28 millesimi - aveva deciso la dismissione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in favore di impianti unifamiliari, ma non aveva statuito che si dovessero intraprendere concretamente i lavori di modificazione dell'impianto medesimo.

In particolare, nulla aveva stabilito circa il progetto di realizzazione delle opere previste dall'art. 28, comma 1, della legge n. 10/1991 - norma successivamente abrogata dall'art. 17, comma 3, del d.lgs. 48/2020 - secondo cui il proprietario dell'edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare in Comune, in doppia copia, insieme alla denuncia dell'inizio dei lavori relativi alle opere di cui agli artt. 25 e 26, il progetto delle opere stesse corredate da una relazione tecnica, sottoscritta dal progettista o dai progettisti, che ne attesti la rispondenza alle prescrizioni della presente legge; né si rinvenivano altri riferimenti specifici da cui potesse desumersi che l'adozione del deliberato fosse finalizzata ad ottemperare alla medesima legge n. 10/1991.

Segnatamente, l'art. 26, comma 2, della legge n. 10/1991 - in base al testo vigente all'epoca in cui era stata adottata la delibera de qua - stabiliva che, per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1, ivi compresi quelli di cui all'art. 8, erano valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali.

Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 311/2006 - che aveva introdotto il comma 1-bis all'art. 16 del d.lgs. n. 192/2005 - il comma 2 dell'art. 26 della legge n. 10/1991 era stato sostituito dal seguente: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali”.

L'art. 27, comma 22, della legge n. 99/2009 ne aveva, poi, disposto la modifica, nel senso che, dopo le parole: “maggioranza semplice delle quote millesimali”, venivano aggiunte le seguenti: “rappresentate dagli intervenuti in assemblea”.

Inoltre, l'art. 28, comma 1, della l. n. 220/2012 - legge di riforma della normativa condominiale - aveva stabilito che le parole “semplice delle quote millesimali rappresentate dagli intervenuti in assemblea” fossero sostituite dalle seguenti: “degli intervenuti, con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio”.

Infine, l'art. 18, comma 3, del d.l. n. 63/2013, convertito, con modificazioni, in legge n. 90/2013 - nel modificare l'art. 16, comma 1-bis, del d.lgs. n. 192/2005 - ha previsto che le parole “attestato di certificazione energetica” siano sostituite dalle parole “attestato di prestazione energetica”.

Orbene, tracciata la cornice di riferimento normativo, gli ermellini hanno osservato che la delibera, che dispone l'eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato per far luogo ad impianti autonomi nei singoli appartamenti, in tanto può essere adottata a maggioranza, in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., in quanto sia previsto che avvenga nel rispetto delle previsioni legislative di cui alla legge n. 10/1991, ossia a garanzia sull'an e sul quomodo della riduzione del consumo specifico di energia, del miglioramento dell'efficienza energetica e dell'utilizzo di fonti di energia rinnovabili (pur non dovendo curarne previamente l'esecuzione).

Nella specie, invece, non solo non era stato previsto quanto richiesto dalla lett. g) dell'art. 8 della legge - che consente la trasformazione degli impianti centralizzati in unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di sistema automatico di regolazione della temperatura, con determinazione dei consumi per le singole unità immobiliari - ma, in aggiunta, ciascun condomino era stato autorizzato a provvedere autonomamente ad installare l'impianto ritenuto più opportuno, senza alcun vincolo o indirizzo sui termini di detta conversione.

A ben vedere, non si era in presenza di una delibera che disponeva la trasformazione o sostituzione - dettando il conseguente passaggio allo scopo di assicurare il risparmio energetico e la tutela ambientale - dell'impianto centralizzato in impianti autonomi, limitandosi essa, invece, a disporre “il mero profilo soppressivo o abdicativo dell'impianto centralizzato”, e rimettendo ai singoli condomini la facoltà di dotarsi di impianti autonomi, in base alle loro scelte e senza alcuna previa indicazione, laddove avrebbe dovuto, invece, prevedersi che fosse il Condominio - che ne aveva titolo perché proprietario di tutte le parti comuni dell'intero edificio, compreso l'impianto di riscaldamento centralizzato - a dover eseguire e depositare in Comune il progetto di trasformazione dello stesso, con indicazione di tutte le opere necessarie al contenimento del consumo energetico dell'intero edificio, corredate dalla richiesta relazione tecnica attestante la rispondenza della trasformazione alle prescrizioni di legge (e ciò sebbene a tale previsione nella delibera non dovesse associarsi la previa progettazione, rimessa invece alla successiva fase esecutiva).

E pur vero che, per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea dei condomini può, a mente dell'art. 26, comma 5, della stessa legge n. 10/1991 (secondo la formulazione vigente ratione temporis), decidere a maggioranza, in deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ma, nella specie, non si era trattato di una delibera di riparto delle spese per il riscaldamento in base al consumo delle singole unità immobiliari - il che, di per sé, avrebbe indotto ciascun condomino ad un uso razionale e contenuto dell'energia - ma della trasformazione dell'impianto centralizzato in singoli impianti autonomi, costringendo così illegittimamente, perché con delibera adottata senza il rispetto delle previsioni normative in tema di risparmio energetico, i dissenzienti a subire le decisioni della maggioranza.

Infatti, la delibera è valida, anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma 1, della legge n. 10/1991 - attenendo, come detto, il progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera - purché, però, l'assemblea preveda il tipo di impianto che sarà installato in sostituzione di quello soppresso, non essendo al riguardo sufficiente la sola previsione della installazione ad iniziativa dei condomini degli impianti autonomi, giacché, essendo questa meramente eventuale e non programmata, la delibera si risolverebbe nella soppressione dell'impianto centralizzato senza il consenso unanime dei condomini aventi diritto a fruire di un bene comune.

In altri termini - chiariscono i magistrati del Palazzaccio - la delibera che può essere adottata a maggioranza deve avere un “contenuto prescrittivo positivo”, dovendo guidare il transito, per lo scopo emarginato, dall'impianto centralizzato agli impianti autonomi per tutti i condomini, pur attenendo la predisposizione della relativa progettazione alla fase esecutiva e, dunque, non inficiando la fase deliberativa.

Nella specie, per converso, la delibera aveva un mero “contenuto dismissivo negativo”, essendo attinente alla soppressione dell'impianto centralizzato, senza alcuna garanzia, neanche in chiave programmatoria, del passaggio agli impianti autonomi, cosicché avrebbe richiesto l'unanimità dei consensi, appunto perché si traduceva nella mera abdicazione ad un servizio comune e non nella predisposizione di tale trasformazione - in sostitutivi impianti autonomi, atti a soddisfare il medesimo bene della vita in forme diverse.

Quanto al secondo aspetto, interessato dal ricorso principale - ritenuto fondato dal Supremo Collegio - si è affermato che, alla declaratoria di nullità, segue la piena legittimità della pretesa del condomino al ripristino dell'impianto di riscaldamento centralizzato, soppresso con delibera dichiarata nulla, perché non può essere considerata l'onerosità per gli altri condomini, nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari, della realizzazione delle opere necessarie a tale ripristino, o l'eventuale possibilità per il condomino di ottenere, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo, tanto più che, nella specie, non era stata argomentata un'impossibilità assoluta del ripristino.

Osservazioni

Prima dell'entrata in vigore l'art. 26, comma 5, della legge n. 10/1991, la trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi richiedeva l'approvazione all'unanimità, per cui l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia alle precedenti modalità di riscaldamento, nonché la necessità di nuove opere e relativi oneri di spesa non potevano essere imposte al condomino dissenziente ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2007, n. 4219).

In tale prospettiva, si era evidenziato che la delibera assembleare non avrebbe potuto imporre ai condomini dissenzienti tale distacco, ma avrebbe potuto limitarsi solo ad autorizzare (o a prendere atto del) il distacco in favore dei condomini che ne avessero fatto istanza, in attuazione di un loro diritto potestativo, in quanto intendessero avvalersi di un impianto autonomo, senza però pregiudicarne il funzionamento in favore dei condomini che non avessero inteso esercitare tale facoltà.

In quest'ottica, si considerava nulla, per impossibilità giuridica dell'oggetto, poichè lesiva dei diritti attribuiti dalla legge ai condomini sulle parti comuni dell'edificio, la delibera approvata a maggioranza che avesse stabilito l'eliminazione o il non uso, in via definitiva, dell'impianto centralizzato di riscaldamento, disponendo la sostituzione dell'impianto centrale con impianti autonomi collocati nelle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, posto che avrebbe determinato l'impedimento all'uso dell'impianto comune in danno dei condomini dissenzienti e avrebbe menomato le facoltà ed i poteri inerenti ai loro diritti (Cass. civ., sez. II, n. 1° agosto 2003, n. 11739; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 1998, n. 1302; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, quindi, la delibera volta ad eliminare l'impianto di riscaldamento centralizzato, per far luogo ad impianti autonomi, avrebbe richiesto il consenso unanime dei condomini, in quanto avrebbe configurato - non una semplice modifica, ma - una radicale alterazione della cosa comune nella sua consistenza materiale e nella sua destinazione: radicale alterazione obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate ed in contrasto con il disposto di cui all'art. 1120, comma 2, c.c. - secondo la formulazione vigente ratione temporis - che vietava le innovazioni, le quali rendessero le parti comuni dell'edificio “inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente”.

A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 10/1991, la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai sensi dell'art. 26, comma 2, di tale legge - anch'essa nella versione vigente ratione temporis - in relazione all'art. 8, lett. g), della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali, è valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28, comma 1, della stessa legge, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.

Infatti, le suddette norme, nell'àmbito delle operazioni di trasformazione degli impianti di riscaldamento destinate al risparmio di energia, distinguono una fase deliberativa “interna” - attinente ai rapporti tra i condomini, disciplinati in deroga al disposto dell'art. 1120 c.c. - ed una fase esecutiva “esterna” (relativa ai successivi provvedimenti di competenza della Pubblica Amministrazione), e, solo per quest'ultima, impongono gli adempimenti di cui sopra (Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2015, n. 862; Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 2009, n. 4216; Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2005, n. 3515; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2002, n. 1166).

Ai fini della validità della delibera condominiale di trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti individuali - adottata ai sensi dell'art. 26, comma 2, della legge n. 10/1991, a maggioranza delle quote millesimali ed in conformità agli obiettivi di risparmio energetico perseguiti da tale legge - non sono, dunque, necessarie verifiche preventive circa l'assoluta convenienza della trasformazione quanto al risparmio dei consumi di ogni singolo impianto, né si richiede che l'impianto centralizzato da sostituire sia alimentato da fonte diversa dal gas, occorrendo soltanto che siano alimentati a gas quelli autonomi da realizzare (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2014, n. 10860; Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2013, n. 22276).

In proposito, mette punto rammentare che il tema relativo alla disposizione assembleare della dismissione generalizzata dall'impianto centralizzato - oggetto della sentenza in commento - va tenuto distinto dal tema inerente al riconoscimento della facoltà individuale di ciascun condomino di provvedere alla disattivazione da un impianto che continua a funzionare per gli altri condomini.

In ordine al primo tema - come sopra rilevato - opera, secondo la legge n. 10/1991, il governo del principio delle maggioranze prescritte per la dismissione dall'impianto centralizzato, il che postula che la collettività dei condomini sia interessata al distacco, ma, a prescindere da tale volontà collettiva, resta fermo, comunque, il diritto potestativo di ciascun condomino di abdicare dall'uso dell'impianto comune di riscaldamento, affinché possa costituirsi un impianto autonomo, sempre che l'interessato provi che, dal suddetto distacco, deriverà un'effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale stesso, e, segnatamente, che da tale disattivazione non derivi né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizi (Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2006, n. 15079; Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5974).

Dunque, la delibera assembleare del distacco generalizzato dall'impianto centralizzato e la facoltà del singolo condomino di distaccarsi operano su piani diversi: nel primo caso, è dismesso l'intero impianto, mentre, nel secondo, l'impianto resta in funzione, ma i singoli condomini decidono di non avvalersene (Cass. civ., sez. II, 2 novembre 2018, n. 28051; Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2017, n. 11970; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893): in tale ultimo caso, non è interessata l'operatività di un servizio comune, che resta attivo, pur dovendosi prendere atto della rinuncia di singoli condomini ad avvalersene.

Da ultimo, l'art. 1118, comma 4, c.c., come inserito dalla legge n. 220/2012 - entrata in vigore il 18 giugno 2013 - consente espressamente al condomino di distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento (oltre che di raffreddamento) allorché una siffatta condotta non determini notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto stesso o aggravi di spesa per gli altri condomini, e dell'insussistenza di tali pregiudizi quel condomino deve fornire la prova, mediante preventiva informazione corredata da documentazione tecnica, salvo che l'assemblea abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma valutazione del loro non verificarsi (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2016, n. 22285).

In tale evenienza, il condomino autorizzato a rinunciare all'uso del riscaldamento centralizzato ed a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto comune rimane obbligato a pagare le sole spese di conservazione di quest'ultimo - quali, ad esempio, quelle di sostituzione della caldaia - perché l'impianto centralizzato è, comunque, un accessorio di proprietà comune, al quale egli potrà, in caso di ripensamento, riallacciare la propria unità immobiliare.

A questo approdo, si coniuga il rilievo secondo cui è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento, come la delibera assembleare che vi dia applicazione, che vieti, in radice, al condomino di rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti.

Invero - ad avviso degli ermellini - la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c. (secondo l'attuale formulazione), 26, comma 5, della legge n. 10/1991 e 9, comma 5, del d.lgs. n. 102/2014 (come modificato dall'art. 5, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 141/2016), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l'uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe, quindi, nulla o “non meritevole di tutela” (Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2020, n. 18131; Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 2019, n. 32441; Cass. civ., sez. II, 2 novembre 2018, n. 28051; Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2017, n. 11970; Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2016, n. 22285; Cass. civ., sez. II, 13 novembre 2014, n. 24209; Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2011, n. 19893).

Riferimenti

Celeste - Nicoletti, Tecnologia e informatica nel nuovo condominio, Rimini, 2013, 28;

Avolio, Trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari: la delibera assembleare ai sensi della l. n. 10 del 1991 sul risparmio energetico, in Riv. giur. edil., 1999, I, 944;

De Tilla, Sulla delibera di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, in Arch. loc. e cond., 1999, 824;

Ditta, Legge n. 10/1991: rilevanza del progetto delle opere e della relazione tecnica di conformità nella delibera di trasformazione dell'impianto termico comune, in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, 774;

Parmeggiani, La delibera assembleare di trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti autonomi, in Arch. loc. e cond., 1988, 404.