Indipendenza dei giudici tributari: alla Consulta le norme della legge 130/2022 di riforma dell'ordinamento giudiziario tributario
14 Dicembre 2022
Massima
Sono non manifestamente infondate, per contrasto con gli artt. 48, 97, 101, 104, 105, 107, 108 e 110 Cost., nonché con l'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, le questioni di legittimità costituzionale relative alle seguenti norme di ordinamento giudiziario tributario:
Il caso
Una società capogruppo impugnava un avviso di accertamento di oltre 42 milioni di euro, relativo ad IVA dovuta per l'anno 2006, emesso sulla base di un pvc redatto nel 2009 dalla Guardia di finanza dal quale scaturivano:
Tali contestazioni erano state già oggetto, rispetto ai precedenti anni di imposta, di autonomi avvisi di accertamento avverso i quali erano stati proposti separati ricorsi giurisdizionali, taluni già definiti nel senso dell'illegittimità della ripresa erariale. Parte contribuente impugnava innanzi alla CTP (ora CGT) di Venezia detto avviso che, in unico atto, racchiudeva per l'anno 2006 entrambe le contestazioni: ne eccepiva l'illegittimità, in tutto o in parte, invocandone l'annullamento, totale o parziale; in via subordinata, chiedeva l'annullamento, totale o parziale, delle sanzioni. La CGT di I grado di Venezia, chiamata a decidere sulla residua materia impositiva (non decisa dai precedenti ricorsi), ha ritenuto in via preliminare di non potersi pronunciare nel merito della controversia senza avere prima sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di legittimità di alcune norme disciplinanti l'ordinamento giudiziario tributario così come novellate dalla legge 31 agosto 2022, n. 130, le quali «condizionano la libera espressione dell'autonomia di giudizio che è fondamento “immanente” della funzione di rendere giustizia». La concreta rilevanza, ai fini dell'incidente di costituzionalità, è legata allo scioglimento del dubbio a riguardo della loro conformità a Costituzione che deriva lo stesso esito della lite, «conforme a diritto solo in quanto chi si appresta a giudicare si senta libero di farlo e perciò in grado di esercitare il proprio dovere di ius dicere» (§ 2). La questione
L'ordinanza in commento – che si diffonde sia sulla non manifesta infondatezza che sull'ammissibilità delle molteplici questioni sollevate – pone sul tavolo del giudice costituzionale il tema cruciale dell'indipendenza del giudice tributario, così come “concepito” dalla legge n. 130/2022. Nell'ambito dell'auspicato – e poi positivizzato – percorso di professionalizzazione e specializzazione dei giudici tributari, il problema “ordinamentale” più rilevante posto dalla nuova legge riguarda la collocazione dei giudici sotto il MEF, prevista sin dall'originario Ddl governativo e sopravvissuta anche in esito al passaggio parlamentare. Il problema non è nuovo.
Già nel previgente assetto ordinamentale si erano versati “fiumi di inchiostro” per stigmatizzare l'assenza di una piena indipendenza dei giudici tributari dal MEF, tant'è che tutti i disegni di legge di riforma di iniziativa parlamentare convergevano univocamente nello spostare i giudici sotto la Presidenza del consiglio dei ministri. La legge n. 130/2022 ha però peggiorato la situazione perché i nuovi giudici tributari, così come i (potenziali cento) togati che transiteranno in via definitiva nella magistratura tributaria (in esito all'apposito interpello bandito approvato con delibera n. 1559/2022), diventeranno – come bene evidenzia l'ordinanza annotata – «“lavoratori dipendenti” in senso stretto» del Mef: saranno cioè legati all'Amministrazione finanziaria a un rapporto esclusivo, «così da perdere finanche quella (parvenza di) terzierà sino ad oggi assicurata dalla natura onoraria (e quindi non esclusiva) del rapporto di servizio, ciò che ha sollecitato fino ad oggi - nella percezione della pubblica opinione più avveduta- una parvenza di “estraneità” (quanto meno psichica) di ciascun giudice tributario rispetto all'Amministrazione nella quale la struttura è incardinata» (§ 3.1.3). La soluzione giuridica
L'ordinanza in commento – con dovizia di argomentazioni e di profili trattati – mette bene in luce la portata “dirompente” della Legge n. 130/2022 che, se da un lato ha consolidato in via definitiva la natura giurisdizionale degli organi giudicanti tributari, pone al contempo forti dubbi di compatibilità costituzionale relativi all'indipendenza del giudice. È proprio l'istituzione del giudice tributario di ruolo – “ultimo miglio” di quel lungo processo di revisione costituzionale che ha gradatamente potato ad una vera e propria giurisdizione speciale tributaria – ad enfatizzare il vulnus dell'appartenenza organica dei giudici alla medesima Amministrazione alla quale fanno capo anche le Agenzie fiscali, tipica controparte processuale.
Per la Corte veneta, l'effetto di accentuazione del rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Mef, titolare sostanziale dell'interesse oggetto delle controversie tributarie, determinato dall'entrata in vigore della Legge n. 130/2022, si pone in «ingravescente contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell'indipendenza e dell'imparzialità dei giudici rispetto all'assetto normativo preesistente, che già appariva idoneo a pregiudicare la garanzia dei ridetti fondamentali principi in maniera di giurisdizione». Si tratta dei principi non solo dettati dagli artt. 101, 104 e 105 Cost. in combinato disposto con l'art. 108 Cost., ma anche dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU (in tema di equo processo), norma “interposta” agli effetti dell'art. 117 Cost. (vedi Corte Edu, 10 gennaio 2012, Pohoskal v. Poland).
La Cgt di Venezia insiste sulla soluzione di continuità rispetto alle censure oggetto della nota pronuncia di inammissibilità (Corte Cost. ord. n. 227/2016) facendo leva sulle rilevanti modifiche intervenute in materia di ordinamento giudiziario tributario: se allora si poneva una questione di “appartenenza di indipendenza”, oggi se ne pone vieppiù una di indipendenza tout court. Difatti, non è in discussione solo il rapporto organico dei giudici tributari perché le nuove norme ordinamentali, rispetto alle precedenti, attribuiscono al Mef una «specifica e pervasiva competenza (sebbene di carattere strumentale ed organizzativo) anche in materia di ispezioni negli uffici giudiziari e di massimazione e messa a disposizione degli operatori del settore giudiziario delle pronunce di merito adottate dalle Corti di Giustizia Tributaria» (§ 3.1). Siffatte “intrusive” competenze sonoesercitate dall'Amministrazione finanziaria – argomenta puntualmente il giudice a quo – «in palese condizione di conflitto di interesse» che è la legge stessa a determinare (§ 3.1.3).
A questo punto il remittente veneto “vira” sull'esigenza di rafforzare le attribuzioni dell'organo di autogoverno – id est: il consiglio di presidenza della giustizia tributaria – che dovrebbe assorbire ogni funzione attinente alle attività ispettive (anche quelle di mero supporto al momento rimaste al Mef), come pure le competenze dell'ufficio del massimario nazionale, per impedire che il “sapere giurisprudenziale” possa essere sottoposto ad un «condizionamento ab externo con fini contrastanti con quelli della garanzia delle pari opportunità a favore di ciascuna delle parti del processo».
Ulteriore profilo di censura è individuato dal giudice a quo nella prospettata violazione dei principi di cui agli artt. 48, 104, primo comma, e 107 e 108 Cost. per effetto del realizzato squilibrio (nella lunga fase transitoria di applicazione della legge n. 130/2022) del rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed elettorato passivo, ai fini delle elezioni del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, con riserva di posti a favore di alcune categorie soltanto di componenti dell'organico della giurisdizione tributaria (§ 3.2). Viene poi sollevato il contrasto con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di ragionevolezza da parte del combinato disposto di quelle norme (artt. 7 e 12 d.lgs. n. 545/1992) che dispongono l'irrogazione di una misura espulsiva di natura sostanzialmente disciplinare, in difetto della predisposizione di un procedimento disciplinare che consenta di valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione (§ 3.3.3).
Gli altri aspetti controversi sottoposti al vaglio della Consulta attengono all'attribuzione di funzioni monocratiche ai giudici tributari in rapporto di servizio onorario (§ 3.7), in ritenuta violazione dell'art. 106 Cost., come pure loro destinazione ex officio ad ulteriori incarichi, con ravvisata violazione dei principi di indipendenza ed inamovibilità del giudice tramite la mascherata moltiplicazione di incarichi di servizio onorario nominalmente definiti “applicazione non esclusiva” (artt. 106-107 Cost.) a mente dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130/2022, e la ritenuta violazione del principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.).
Osservazioni
La decisione in esame – che affronta molti profili di criticità tutt'altro che secondari rispetto a quello, primario, dell'autonomia (elettorato, misure disciplinari, destinazione ex officio degli onorari ad ulteriori incarichi, pari dignità della categoria “ad esaurimento”, ecc.) – non intende sollecitare «un intervento di riscrittura o di novellazione di tutte le norme che sono state censurate». Consapevole che eventuali interventi “additivi” si presterebbero a facili censure di inammissibilità da parte del giudice delle leggi, il giudice a quo non “demolisce” del tutto l'odierna riforma ma punta, semmai, a rafforzarla, previa eliminazione delle competenze intrusive del Mef esercitate «in palese condizione di conflitto di interesse» (§ 3.1.3) per effetto di quella congerie di norme che prevedono, da un lato, compiti di supporto e di organizzazione personale e strumentale e, dall'altro, il vero e proprio inquadramento organico nel ridetto plesso Amministrativo della categoria del “personale giudicante” (sia onorario che di carriera).
L'ordinanza in commento ravvisa in definitiva un «vulnus insanabile e persistente (anche oltre il termine del lunghissimo periodo transitorio delineato dalla Legge n. 130/2022, che cesserà nel 2052) alle guarentigie di autonomia ed indipendenza che costituiscono il necessario prius della funzione giudicante», con ciò facendo proprie le molte obiezioni da più parti sollevate all'indomani (ed anzi ancor prima) del varo della nuova legge.
Come si è esattamente evidenziato a prima lettura, il contribuente si trova ad essere giudicato «da un dipendente di un ente che, con la sua tipica controparte rappresentata dall'Agenzia delle entrate, stipula una convenzione in cui il raggiungimento degli obiettivi è misurato anche in funzione del gettito ottenuto; il quale gettito dipende, a sua volta, anche dall'esito degli atti impositivi emanati dall'Agenzia, sulla cui legittimità e fondatezza quel giudice è deve pronunziarsi» (G. Melis).
Il (precedente) Parlamento, rispetto all'originario Ddl governativo, era riuscito a rafforzare il ruolo consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, sotto il profilo sia dell'autonomia contabile che disciplinare-ispettivo e, per tale via, solo indirettamente, la loro “indipendenza”. Ma ciò non è parso in grado di superare – come pure auspicato da autorevole dottrina – «una modalità governativa, condizionata dall'impronta amministrativa che continuerà a non conoscere “cancellerie” ma segreterie e neppure recluterà i propri giudici togati del futuro in autonomia dal Mef» (E. De Mita).
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