Il locatore deve risarcire il danno se non adibisce l'immobile all'uso per il quale ne ha chiesto la disponibilità
14 Dicembre 2022
Massima
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'obbligo in capo al locatore, che abbia ricevuto la riconsegna dell'immobile e non lo abbia adibito, entro sei mesi, all'uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilità, di risarcire il danno al conduttore ha una duplice natura, risarcitoria e sanzionatoria che si riverbera sui criteri di quantificazione: il contemperamento tra il fine sanzionatorio e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all'anticipata restituzione dell'immobile, che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto, anche in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la suddetta presunzione dimostrando l'assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore. Il caso
A seguito della domanda, proposta dal conduttore ai sensi dell'art. 31 della l. n. 392/1978, il Tribunale aveva condannato il locatore al pagamento, in favore del primo, della somma di € 8.000,00, a titolo di sanzione per non aver lo stesso locatore utilizzato l'immobile all'uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilità. La Corte d'Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva rilevato: a) che il rapporto non era cessato per iniziativa e volontà del conduttore, diversamente da quanto sostenuto dal locatore; b) che era carente la prova che quest'ultimo avesse effettivamente destinato alla propria attività professionale l'immobile già locato al conduttore, adibito ad uso diverso da quello di abitazione; c) che era, invece, fondata per quanto di ragione, la censura rivolta alla pronuncia di liquidazione del danno ex art. 31 della l. n. 392/1978, in quanto non era dimostrato che il conduttore, a seguito della disdetta da parte del locatore, fosse stato costretto a prendere in locazione un immobile più ampio di quello precedentemente condotto in locazione, tanto più che il medesimo conduttore aveva avuto a disposizione un lungo lasso di tempo per cercare un nuovo ufficio, sicché doveva, al riguardo, escludersi la sussistenza di un danno risarcibile; e d) che, diversamente, doveva affermarsi in relazione alle spese di trasloco, non essendo stato contestato che un trasloco vi fosse stato e risultando, in proposito, congrua la somma riportata a tale titolo sulla fattura prodotta dal conduttore. Pertanto, il giudice distrettuale, in parziale riforma della sentenza impugnata, aveva condannato l'appellante al pagamento, in favore dell'appellato, della somma di € 960,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo, così riducendo l'importo di € 8.000,00, liquidato dal Tribunale, condannando il conduttore a restituire al locatore la somma di € 16.329,17, corrisposta in esecuzione della sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Corte territoriale, il conduttore aveva proposto ricorso per cassazione. La questione
Si trattava di verificare se il giudice distrettuale, applicando gli artt. 27 e 31 della I. n. 392/1978, in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., avesse o meno errato nel riformare la sentenza del Tribunale, poiché, una volta accertato l'illecito comportamento del locatore, la liquidazione del danno ne era necessariamente la consequenziale statuizione. Le soluzioni giuridiche
La doglianza avanzata dal conduttore è stata ritenuta fondata dai giudici di Piazza Cavour. Invero, questi ultimi (Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20926) hanno già avuto modo di affermare il principio che, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'obbligo in capo al locatore, che abbia ricevuto la riconsegna dell'immobile e non lo abbia adibito, entro sei mesi, all'uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilità, di risarcire il danno al conduttore ha una duplice natura, “risarcitoria” e “sanzionatoria”, che si riverbera sui criteri di quantificazione del danno. Il contemperamento tra il fine sanzionatorio - evocato dalla rubrica della disposizione in esame, intitolata, appunto, “Sanzioni” - e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all'anticipata restituzione dell'immobile, che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la presunzione suddetta provando l'assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore. Al riguardo, gli ermellini non condividono l'orientamento espresso in precedenza (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15037), in base al quale, sulla scorta dell'esclusivo dato costituito dalla lettera della norma, che la tipologia del risarcimento di cui all'art. 31 della l. n. 392/1978 non deroga al principio secondo cui deve essere risarcito soltanto il danno provato dal conduttore. Invero, la disposizione in esame, nell'imporre al locatore, che entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile non lo adibisca all'uso in vista del quale ne abbia ottenuto la disponibilità ai sensi dell'art. 29 della legge c.d. sull'equo canone, l'obbligo di risarcire il danno al conduttore - salvo che questi preferisca il ripristino del contratto ed il rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati - in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione, trova la sua ratio anche nell'esigenza che sia evitato il diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza per motivi fittiziamente addotti, con conseguente pregiudizio delle aspettative del conduttore senza correlativa soddisfazione delle esigenze del locatore sottese al diniego per una delle ragioni previste dalla legge. Tale esigenza, che avrebbe potuto essere realizzata con la previsione di un'indennità del tutto disancorata dal danno, o con la fissazione di una misura minima del danno da riconoscersi in ogni caso - com'era stabilito, per il regime transitorio, dall'analoga disposizione di cui all'art. 60 della l. n. 392/78, la quale prevedeva che il giudice determinasse il danno “in misura non inferiore a 12 e non superiore a 48 mensilità” - è dall'art. 31 perseguita mediante il “classico” meccanismo risarcitorio, che, però, si connota per la specificità dell'obiettivo suddetto, sicché non può negarsi la finalità anche sanzionatoria della previsione normativa, resa evidente dalla previsione di un limite massimo del risarcimento possibile, comunque ancorato ad un multiplo del canone locativo. Il contemperamento tra il fine sanzionatorio e quello propriamente risarcitorio può ritenersi, dunque, realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno comunque connesso all'anticipata restituzione dell'immobile, che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto, in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la presunzione suddetta provando l'assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore (v. anche, in senso conforme, Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 2052). In quest'ordine di concetti - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - la Corte territoriale, nella motivazione della gravata sentenza, aveva tradito in iure l'esegesi della norma in parola, in quanto non aveva considerato la natura anche sanzionatoria che connota il meccanismo risarcitorio dalla stessa previsto, resa evidente espressamente dalla rubrica “Sanzioni”. Pertanto, se è pur vero che deve sussistere un danno, tuttavia, la regola di giudizio per verificarne la sussistenza che determina la sanzione non impone al conduttore di dimostrare di non averlo potuto evitare; ne consegue che l'imposizione di un onere come quello ravvisato dal giudice distrettuale in ordine alla scelta di un immobile più ampio - la dimostrazione, cioè, di essere stato “costretto” a tale scelta - nonostante il medesimo avesse avuto a disposizione un lungo lasso di tempo (tre anni), non risponde alla stessa logica sanzionatoria che connota la norma in parola. Osservazioni
A seguito della mancata attuazione, da parte del locatore, dell'intenzione posta a fondamento dell'intimata disdetta, l'art. 31 della l. n. 392/1978 contempla, dunque, due distinti rimedi: il ripristino del contratto (con il rimborso delle spese di trasloco) o il risarcimento del danno (in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone). La scelta dello strumento riparatorio spetta al conduttore, il quale può proporre anche una domanda alternativa, ma deve, in ogni caso, individuare il rimedio di cui voglia avvalersi in corso di causa. Tale scelta, peraltro, non è irreversibile (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1700), potendola il conduttore modificare nel corso del giudizio: quindi, se abbia originariamente chiesto il ripristino del contratto di locazione e successivamente proposto, nell'àmbito dello stesso giudizio, domanda di risarcimento dei danni, pure prevista dall'art. 31, tale richiesta è ammissibile, costituendo la stessa una semplice emendatio libelli. Sul punto, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1984, n. 3603) ha chiarito che il termine prescrizionale per esercitare i diritti di cui sopra decorre dal momento in cui, con il rilascio, il locatore abbia ottenuto la disponibilità dell'immobile, salvo che non sia stato assegnato, con il provvedimento giudiziale, un più ampio termine, nel qual caso il dies a quo si individua nel momento in cui il termine sia trascorso senza che sia stata in concreto data all'immobile la dichiarata destinazione. Sussiste, poi, un limite temporale intrinseco alla proponibilità dell'azione ripristinatoria o risarcitoria, dato dal protrarsi del godimento dell'unità immobiliare per l'intera durata del secondo sessennio (o novennio) della locazione; in tale ipotesi, infatti, si rivela insussistente il presupposto su cui la tutela si fonda, ossia che il conduttore abbia subìto la perdita della disponibilità dell'immobile alla prima scadenza del rapporto (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1994, n. 10418). Questione diversa, ma che merita analoga risposta, è se il ripristino del contratto possa aver luogo dopo la scadenza del secondo sessennio (o novennio) della locazione. In proposito, si è statuito che il ripristino del contratto di locazione, previsto per il caso in cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilità, importa che il rapporto prosegua fino all'originaria scadenza, restando escluso che quest'ultima possa essere prorogata per un periodo uguale alla durata del mancato godimento dell'immobile da parte del conduttore (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1994, n. 1796; Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1991, n. 6346); quest'ultimo, pertanto, dopo lo spirare del termine di durata del contratto locativo, non ha più diritto al ripristino del rapporto, ma solo al risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1997, n. 4198). Orbene, ai sensi dell'art. 31, comma 1, della l. n. 392/1978, il conduttore può chiedere la reintegra nel godimento dell'immobile alle stesse condizioni stabilite nell'originario contratto che, alla prima scadenza, si sarebbe rinnovato per un altro sessennio o novennio: l'intervento giudiziale determina così la reviviscenza del contratto cessato e, a seguito del ripristino, il conduttore ed il locatore riacquistano i diritti e gli obblighi fondati sul contratto, che continua a disciplinare il rapporto fino alla successiva, naturale, scadenza. Il ripristino, come dispone la seconda parte del comma 1, non può pregiudicare “i diritti acquistati da terzi in buona fede”, sicché, a fronte del conflitto dei titoli tra il conduttore ed il terzo, la tutela giuridica accordata dal legislatore al conduttore potrebbe non operare. Tale disposizione prevede, però, un meccanismo diverso da quello disciplinato in via generale dall'art. 1380 c.c., secondo cui, nel conflitto tra più titolari, deve prevalere chi per primo ha conseguito il godimento dell'immobile; qui la norma attribuisce rilievo allo stato di buona o malafede del terzo, nel senso che quest'ultimo è preferito al conduttore vittorioso nell'azione di ripristino in tutti i casi in cui versi in buona fede, a prescindere che si sia o meno preventivamente immesso nella detenzione dei locali. Inoltre, il terzo acquirente dell'immobile, se in buona fede, prevale sul conduttore, in difformità dal principio di cui all'art. 1599 c.c., riassunto nel brocardo latino emptio non tollit locatum. Ad ogni buon conto, la buona fede, che si presume secondo la regola generale di cui all'art. 1147 c.c., va esclusa qualora il terzo sia a conoscenza del rapporto locatizio, della sua cessazione per uno dei motivi di diniego di rinnovo previsti dall'art. 29 e del correlativo obbligo, in capo al locatore, di destinare l'immobile ad uno degli usi contemplati dall'art. 31 (di solito, il terzo sarà in buona fede, considerato che la controversia relativa al rilascio non è soggetta a trascrizione e, quindi, non è conoscibile da terzi estranei). Ai fini della verifica della sussistenza della buona fede, bisogna guardare, comunque, alla situazione in atto al momento in cui al terzo è stato trasferito l'immobile, e non a quello in cui tale soggetto abbia in ipotesi stipulato il contratto preliminare di acquisto (Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2006, n. 11941). Al ripristino del contratto, si collega, infine, l'obbligazione di “rimborso delle spese di trasloco e degli ulteriori costi sopportati” dal conduttore in ragione del rilascio dell'unità immobiliare; in particolare, le spese di trasloco comprendono quelle affrontate al momento del rilascio dell'immobile locato e quelle sopportate per effetto del ripristino del contratto. In alternativa al ripristino - fattispecie esaminata nella sentenza in commento - il medesimo art. 31, comma 1, della l. n. 392/1978 prevede che il conduttore possa ottenere il risarcimento dei danni, in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione corrisposto (l'entità del danno risarcibile è, pertanto, prevista nel massimo, e non nel minimo come per le locazioni abitative). Nell'imporre al locatore che, entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile, non lo adibisca all'uso in vista del quale ne ha ottenuta la disponibilità l'obbligo di risarcire il danno al conduttore, la norma de qua tende ad elidere le conseguenze pregiudizievoli che rappresentino effetti immediati e diretti dell'anticipato rilascio e, quindi, del comportamento del locatore. Non costituiscono, pertanto, danno risarcibile, ai sensi del suddetto art. 31, né le spese occorse per la ristrutturazione del nuovo immobile preso in locazione dal conduttore, né la differenza del canone dovuto, quando essa trovi giustificazione nelle diverse caratteristiche dei due immobili. Va, comunque, risarcito solo il danno in concreto provato: come espressamente indica anche la lettera dell'art. 31, il meccanismo risarcitorio non deroga al principio fondamentale in forza del quale deve essere risarcito soltanto il danno effettivamente arrecato e provato dal danneggiato-attore; in quest'ottica, il riferimento alle quarantotto mensilità indica il limite (legalmente stabilito) entro il quale il risarcimento deve essere contenuto, limite che, evidentemente, opera quando il conduttore pretende un risarcimento maggiore e non indica, quindi, l'ammontare di una sanzione inflitta quasi a titolo di pena privata (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15037). In seguito - sul presupposto che l'obbligo in capo al locatore, che abbia ricevuto la riconsegna dell'immobile e non lo abbia adibito, entro sei mesi, all'uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilità, di risarcire il danno al conduttore ha una duplice natura, risarcitoria e sanzionatoria, che si riverbera sui criteri di quantificazione - si è, però, affermato che il contemperamento tra il fine sanzionatorio della disposizione e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno, comunque connesso all'anticipata restituzione dell'immobile; danno che il giudice è chiamato a liquidare equitativamente sulla base delle caratteristiche del caso concreto, in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la suddetta presunzione dimostrando l'assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore (Cass. n. 1700/2009, e, poi, Cass. n. 20926/2004, entrambe citate nella motivazione della sentenza oggetto di queste brevi note, cui la decisione in commento ha inteso dare continuità giuridica). L'ultimo inciso dell'art. 31, comma 1, fa salvo, poi, il diritto del conduttore alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, anche se è sorto il dubbio se tale indennità sia dovuta anche nell'ipotesi di ripristino del rapporto o se competa nel solo caso in cui venga applicata la tutela risarcitoria. L'art. 31, comma 2, prevede, infine, che il giudice, oltre a determinare il ripristino o il risarcimento del danno, debba ordinare al locatore il pagamento di una somma, da € 258,00 a € 1.032,00, da devolvere al Comune nel cui territorio è sito l'immobile, e che detta somma va ad integrare il fondo di cui agli artt. 75 ss. della l. n. 392/1978. Riferimenti
Bordolli, Locazione ad uso diverso e diniego di rinnovazione, in Immob. & proprietà, 2018, 375; Pizzimenti, Mancata attuazione del proposito indicato dal locatore quale motivo del diniego di rinnovazione e tutela del conduttore, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 509; Scarpa, Il diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 1, 46; Di Marzio, Locazioni: ultime sul diniego di rinnovazione, in Immob. & proprietà, 2010, 716; Tarantino, Contratto di locazione e legittimo diniego di rinnovazione alla (prima) scadenza, in Contratti, 2010, 1125; Vecchi, Paga i danni all'inquilino il locatore che disdice il contratto ma poi non destina davvero l'immobile a “uso personale”, in Dirittoegiustizia.it, 2010. |