Esenzione ampia per gli atti consequenziali alla separazione e divorzio dei coniugi anche se non connessi in senso stretto ai procedimenti
23 Dicembre 2022
Massima
L'esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa per gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi vada interpretata in senso costituzionalmente orientato, al di là dello schema tipico del procedimento, includendovi tutti i c.d. “negozi della crisi coniugale”, cioè quelle pattuizioni di natura patrimoniale con cui i coniugi dispongono nella patologia della relazione dei loro rapporti di natura patrimoniale. Così si pronuncia la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 4574 del 18 novembre 2022. Il caso
Una contribuente impugnava un avviso di liquidazione dell'imposta di registro emesso a suo carico dall'Agenzia delle Entrate relativamente ad un verbale di conciliazione di una causa civile. In particolare, la contribuente si era separata dal proprio marito con sentenza passata in giudicato e con conseguente scioglimento della comunione legale e sua assimilazione ad una comunione ordinaria.
Essendo interesse della ricorrente sciogliere la comunione con il coniuge e non essendo stato possibile trovare una soluzione stragiudiziale, veniva incardinato un procedimento di divisione avanti al Tribunale definito dalle parti con un verbale di conciliazione, oggetto dell'avviso di liquidazione opposto in sede tributaria, in cui le parti si erano accordate per la divisione dei beni della comunione legale (il marito cedeva alla moglie l'usufrutto della propria quota di proprietà del 50% relativa alla casa coniugale).
La questione
La ricorrente eccepiva la nullità dell'avviso di liquidazione notificatole per il recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in relazione all'immobile in questione, liquidate dall'Ufficio nella misura ordinaria, in quanto, trattandosi di trasferimento immobiliare a seguito di separazione tra i coniugi avrebbe dovuto essere esente dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa dopo l'intervento della Consulta (sentenza n. 154 del 10 maggio 1999) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19, legge 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui non estendeva l'esenzione in parola a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi.
L'Agenzia delle Entrate sosteneva in giudizio la liceità del proprio operato ribadendo il concetto che l'esenzione ai fini tributari riguarda solo gli oneri relativi al procedimento giudiziale in senso stretto e non anche gli accordi di natura patrimoniale che le parti adottano in un momento successivo e di cui non vi è alcun riferimento nel provvedimento giudiziale.
A riprova della mera occasionalità e della mancanza del nesso funzionale, l'Amministrazione faceva rilevare la circostanza che le parti avevano sciolto, mediante il verbale di conciliazione, la comunione non soltanto in relazione all'immobile in parola ma anche relativamente ad una quota di partecipazione societaria che esulava dalla pregressa separazione tra i coniugi. Riteneva, infatti, l'Ufficio che la divisione, così come posta in essere dai coniugi, rientrasse tra quegli atti che le parti di un giudizio di separazione, sulla base delle più varie valutazioni di opportunità, decidono di porre in essere in un momento successivo alla separazione, ma che esulano da tale giudizio.
I giudici di prime cure accoglievano la tesi della ricorrente affermando come il giudizio di divisione fosse strettamente correlato allo scioglimento della comunione legale conseguente alla sentenza di separazione e trovava in esso il suo antecedente necessario, così come antecedente necessario all'acquisto dell'immobile era stata la vigenza del matrimonio. La soluzione giuridica
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado conferma la sentenza di primo grado con ulteriori argomentazioni e richiami giurisprudenziali. I giudici “del riesame” ritengono che il tema giuridico in questione dovesse essere risolto nel solco ormai ampio e profondo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. V, 09 febbraio 2021, n. 3074 che espressamente, quasi in termini, fa riferimento ad un procedimento di divisione giudiziale e non ad un procedimento di separazione) la quale ritiene che la disposizione di beneficio si debba intendere come misura generale che deve essere applicata, non con una interpretazione estensiva, ma con una interpretazione costituzionalmente orientata, anche dalle precedenti sentenze della Corte Costituzionale, a tutti i c.d. "negozi della crisi coniugale", cioè a tutte quelle pattuizioni di natura patrimoniale con cui i coniugi dispongono nella patologia della relazione dei loro rapporti di natura patrimoniale. I giudici ambrosiani rammentano come la più recente giurisprudenza di legittimità ha esteso l'applicabilità della misura anche alle cessioni di quote sociali, sulla base della riflessione che il testo della norma non fa alcun riferimento circoscritto a beni immobili, ed a cessioni a favore di terzi o dei figli, purché concordate nell'ambito di pattuizioni che trovano la loro radice nella regolazione della patologia del vincolo coniugale.
Osservazioni
Ciò quindi, puntualizzano gli interpreti, necessariamente anche fuori dello schema tipico e ristretto del procedimento di separazione e di divorzio, a cui si riteneva di dover ancorare il beneficio in relazione alla pretesa letteralità della legge.
Nel merito, poi, il Collegio ritiene che anche la difforme soluzione finale scelta dalle parti rispetto a quella originariamente prevista in sede di separazione rafforzasse il legame della disposizione di volontà delle parti ed i suoi effetti patrimoniali con lo scioglimento del vincolo coniugale, essendo la modifica dell'originaria decisione del tutto ammissibile in sede di misure patrimoniali di regolazione dell'estinzione del vincolo coniugale ed espressione di quella libertà ed autonomia di cui va solo verificata la rispondenza ai principi generali dell'ordinamento in tema di parità fra coniugi e di interesse dei medesimi, che nella specie alla Corte sono apparsi congiuntamente salvaguardati stante la natura della disposizione in concreto assunta.
Con riferimento, infine, alla supposta elusività, i giudici hanno ritenuto non fondato e alquanto suggestivo ipotizzare, rispetto alla sistemazione degli affari tra ex coniugi, altre cause alla base delle attività poste in essere dagli ex coniugi con la divisione esitata nel verbale di conciliazione giudiziale in relazione alla cessazione del vincolo coniugale, che rimane pur sempre sotto il controllo del Giudice, sebbene non si tratti del giudice della separazione. |